domenica 26 dicembre 2010

TIP OF THE DAY: HANNO ZITTITO SCARFACE


Insomma fuori nevica inesorabilmente. Detesto la neve. Non la trovo romantica a meno che uno non stia in uno chalet in montagna, davanti a un caminetto acceso, con una bottiglia di Cristal e uno o più uomini distesi accanto a te sotto una coperta di visone. E non è questo il mio caso. Stando in città è solo una rottura di palle e quindi mi ritrovo costretto in casa provando a rimorchiare sulle chat ma tanto non ti si coprono perché con la neve non li tiri fuori casa neppure se gli appicchi fuoco a casa. Quindi dopo solo 25 minuti passati a capire come funziona l’impianto televisivo dei miei amici che è una cosa così complicata che piuttosto ti verrebbe voglia di leggere un libro di Cohelo riesco ad accenderlo.
Perché un capolavoro si dice tale? Perché per quante volte lo trasmettano tu te lo guardi.
Quindi mi sto rivedendo per la X alla N volta Scarface con Pacino.
All’inizio credevo fosse un difetto audio poi ho capito che qui in America censurano le parolacce, credo almeno in fascia protetta.
Ora io mi chiedo: come ti viene in mente di passare un film del genere di mattina se poi devi eliminare tre quarti del sonoro visto che i dialoghi sono un turpiloquio continuo? In pratica sto vedendo un film muto…

sabato 25 dicembre 2010

ERANO LE 23 DI UNA VIGILIA DI NATALE.

12 minuti impiegati da casa per arrivare a una stazione della metro in tempo per raggiungere un’amica prima di mezzanotte.
12 vigilie incontrate lungo la strada.
12 alternative a tombole e capitoni.













venerdì 24 dicembre 2010

"NON HA SPICCI?"




















Ieri entro in una cartoleria per comprare una cartolina augurale per un regalo. È una botteguccia dove fanno tutto a mano e dove di conseguenza costa tutto talmente tanto che basterebbe solo quella come presente.
Vado alla cassa e prendo il portafogli per pagare. Anche se è vero che qui anche un pacchetto di gomme lo puoi pagare con la carta preferisco il cash. Tiro fuori un cartoccio di biglietti verdi manco fossi un pappone della Time Squame di Scorsese. Sono tanti resti di taxi, a vederli sembra un milione di dollari ma in realtà sono tutti pezzi da uno e comunque non mi bastano per il prezioso cartoncino. Porgo quindi un biglietto da 50. Mentre glielo allungo già sentendo un brivido lungo la schiena. E come presupponevo per un paio di esperienze già vissute in settimana, la tipa inizi a guardarli con terrore manco le avessi dato un mattone di plastico con legato sopra un cronometro. Li passa controluce, li gratta, ci manca solo che li mastichi e poi ha fatto tutto. Poi mi chiede “non hai spicci?”. “No”, e comunque li dovrò usare ‘sti 50 dollari! Alla fine mi da il resto con un sorriso gonfio di rancore.
Allora mi pare di intuire che qui hanno tutti il terrore di beccare soldi falsi quindi tagli grossi: no, grazie! E se giri con 100 euro fanno prima a cambiare un governo che darti il resto.
I tassisti sono anche peggio perché non accettano tagli più alti di 20 dollari. Vero, puoi pagare con la carta ma vi dico che comodo dover stare al buio a cercare la fessura per passarla, aggiungere sul display il tip (che poi glielo convertiresti con un pugno in faccia visto che come quelli romani gli dai un indirizzo e loro non sanno mai dove sia quindi sono IO che mi perdo in casa andando dal bagno alla camera da letto, a dover fare da guida), tutto questo mentre il tassista sbuffa pure perché sei impacciato, lui, che fa il fico quando è arrivato 20 minuti prima di te a NY e già si sente un working manager.
Se solo penso che ancora non ho tirato fuori dal reggipetto i pezzi da 100 mi viene la febbre. O li spendo per comprare droga agli angoli della strada altrimenti qui li puoi solo usare per fare origami.
In tutto questo quindi mi chiedo: ma se i negozianti sono tanto diffidenti e ti fanno sentire come se quei soldi li avessi rubati, ma per quale diamine di motivo la banca d’america continua a stamparli invece di produrre solo fiches da gioco!?

martedì 21 dicembre 2010

DALLA QUINTA CON AMORE





















Oggi mi sono fatto un giro sulla 5° per vedere le vetrine dei grandi magazzini addobbate così bene che farebbero convertire al Natale anche un kamikaze talebano.
La cosa divertente del passeggiare lungo quest’autostrada che loro invece di ostinano a chiamare semplicemente avenue è notare quanto risalendo verso nord l’inglese lasci sempre più il posto alle lingue straniere dei dannati dello shopping. Più procedevo, più provavo una sensazione più familiare e non tanto per le griffe dei negozi di casa nostra quanto per il fatto che mi sono reso conto che si parlava solo italiano con apice di romani tra Abercrombie e mega Apple store: a quel punto mi sono sentito direttamente a campo dei Fiori.
Insomma arrivo davanti Tiffany per vedere le vetrine e davanti all’ingresso c’era una chimera composta da Cristian De Sica, Massimo Boldi e Alessia Fabiani. Con il cellulare (i phone, manco te lo sto a dire) parlava a voce talmente alta che poteva anche risparmiarsi il costo della telefonata perché i parenti a Crotone (l’accento era così pieno di aspirate da fare concorrenza al vento dell’Hudson).
“Va bene, allora ne prendo due di braccialetti? Ma pure per la piccola? Fai una cosa, pensaci poi mi chiami e mi dici che altro devo prendere. Rientro che fa un cazzo di freddo”. Insomma stava facendo teleshopping come io avrei potuto farlo chiedendo a mia madre se prenderle anche i pomodori al banco della verdura.
È vero che il dollaro per noi è abbastanza leggero ma quando si tratta di fare gli sborni, non c’è niente da fare, noi italiani siamo i primi nel mondo.


Tip of the day: voglio fidanzarmi con un dermatologo. Qui in palestra vanno tutti scalzi negli spogliatoi. E vi dico solo che a terra c’è la moquette.

sabato 18 dicembre 2010

NEW YORK E TUTTO QUELLO CHE HO POTUTO FARE IN MENO DI 48 ORE



















Mettiamola così: non siamo partiti con il piede giusto. Se questo viaggio fosse una torta da 10 fette, diciamo che l’Americanino ne era una soltanto. Però quando l’ho visto l’altra sera e ho notato un lo stesso trasporto che avrebbe potuto avere la mummia di Mao qualcosa mi ha fatto intuire ci fosse l’inghippo. E così è stato. A domanda, l’indomani, lo sventurato rispose: “mi sto vedendo con uno da una settimana e m’ha preso subito alla grande (testo liberamente adattato dall’originale)”.
Vabbé, ci sono rimasto male, m’ero prefigurato corse in slitta insieme lanciati verso Central Park, ora devo ridefinire il mio tragitto. Grazie a dio i miei amici sono fantastici e mi supportano pur non avendomi promesso di segarlo con la macchina appena esce dall’ufficio.
Detto questo, passiamo al clima: freddo? Mah, non sarò un lappone ma io non lo sto patendo particolarmente.
Cellulare americano: preso (per amici locali ed eventuali puntelli, peccato abbia perso il numero stampato dal negoziante e neppure posso autochiamarmi su quello italiano per vedere il numero perché ha un limite sul territorio nazionale).
Palestra: iscritto. A Chelsea, dove anche gli abeti di natale in vendita sui marciapiedi sono gay. Ieri prima sessione. Ho fatto petto spalle e soprattutto occhi. Non sapevo dove posarli prima. Il range oscillava tra il “bono” e il “me lo farei anche su un letto di chiodi”. Donne: in traccia. Ovviamente depresse come lo possono essere loro quando nessuno le degna di uno sguardo.
La città, come direbbe mia madre, è una bomboniera ma ancora non mi sono tuffato nel “core” del Natale spinto della quinta e dintorni.
Oggi è sabato. New York è il mio villaggio. E come la donzelletta vivo l’aspettativa del weekend mirando ed essendo mirato e in cor rallegrandomi.
Ve faccio sape’…

lunedì 13 dicembre 2010

-3: raccomandazioni ed esclamazioni.

























Ormai mancano 3 giorni alla partenza e, scusate la poca eleganza, ma io ormai sto facendo applicazioni di lozioni lenitive sui genitali a forza di apotropaizzare perché fino a che non tocco suolo statunitense non mi fido che andrà tutto bene.
La migliore delle tradizioni illuministe vorrebbe quindi che per fronteggiare strali di sfiga o invidie recondite uno si tenesse tutto per se e che sparisse dall’oggi al domani senza lasciare tracce.
Ma a parte il fatto che come diciamo da queste parti “non mi so tenere un cecio in bocca”, io un po’ cerco di non dare retta alla scaramanzia, un po’mi da una soddisfazione piuttosto grossolana annunciare urbi et orbi che vado a New York per le vacanze di Natale, motivo per cui ora non c’è essere vivente sulla faccia della terra che non sappia della mia partenza.
Il 98% delle persone ha reagito esclamando “beato te!”. Che insieme a “hai messo su qualche chilo?” è la frase che più odio al mondo. Ma beato di cosa? Non è che abbia guadagnato il biglietto aereo vincendolo a un gratta e vinci. L’estate scorsa mentre era tutto un coro di “io vado 3 settimane in Grecia”, “io al Circuit di Barcellona”, “io sul piroscafo con Falco, Briatore e la Gregoraci” io mi sono fatto la villeggiatura sul trenino per Ostia. Oltretutto ho applicato una politica di risparmio che in confronto quella dei tagli di Tremonti è una colletta scolastica per il regalo alla maestra. Non mi lamento certo dei sacrifici fatti ma “beato te” un paio di cefali!
Se poi accenno a qualcuno il grande dilemma del “cosa mettere in valigia” esce fuori una doppietta di frasi che è la seguente: “ma dai compri tutto lì”, seguita dopo un secondo di riflessione da “ma copriti bene che fa un freddo boia”. A me questo invito consumistico a partire solo con un paio di mutande (ovviamente di flanella) e farmi lasciare dal taxi direttamente davanti a un negozio di abbigliamento mi sa di immigrato che non aspettava altro per rifarsi il guardaroba. Certo sarei falso come Giuda se non dicessi che un po’ di shopping uno può anche farlo, ma che debba quasi motivare il viaggio dall’altra parte della terra perché si spende bene come se stessimo parlando del banco della frutta di Luisa al mercato, mi sembra una cosa un po’ piccola rispetto al miliardo di cose da fare e da vedere a NY. Che poi che altro mi devo comprare che non ho già? Quello che posso permettermi ce l’ho e quello che mi piacerebbe non me lo potrei comprare neppure se il dollaro cadesse in picchiata e venisse scambiato al prezzo di due conchiglie e un dattero. Quindi…
Ah, si certo, la frase filotto: “portati cose pesanti che fa freddo!”. E vabbé, tanto si sapeva e comunque a me dopo che mi hai dato un tetto, una connessione a internet e una tazza di caffè bollente può pure venire la terza glaciazione che tanto non m’ammazza nessuno.
Ma invece il caveat che non mi aspettavo è quello che mi sono sentito dire da tanti: “mi raccomando attento alle malattie che lì è pieno di sieropositivi”.
Quando uno mi dice una cosa del genere un po’ la prendo come un insulto perché nonostante gli abbia appena detto che vado per trovare materiale su cui scrivere, che è un viaggio alla ricerca di me stesso (lo so che potevo anche andare a Camaldoli se era per questo, ma il mio “me stesso” è più facile che lo trovi lì che tra i silenzi monastici), che ho prenotato spettacoli a Broadway e lo “Schiaccianoci” del NY City Ballet, te lo dice come se davanti avesse uno di quei bavosi che parte per la Thailandia con dei giocattoli in valigia per adescare prede sessuali agli angoli delle strade.
Però siccome “la morte ma non l’ipocrisia”, anche qui, se disgraziatamente un bono mi dovesse dare il tormento per voler a tutti i costi venire a letto con me, non sarò certo io a buttarlo giù da letto e buttarlo fuori di casa. Tantomeno visto che, come mi hanno detto molti: “fa un freddo boia!!”.
E un morto assiderato sulla coscienza non ce lo voglio avere.

sabato 11 dicembre 2010

-5: THE CAT IS ON THE TABLE.


















Si chiama “Capire e farsi capire in inglese”.
È un frasario che ho comprato qualche settimana fa in vista del mio viaggio a New York. Io adoro i frasari. Ad ogni viaggio ne compro sempre uno della lingua del luogo. Usato: 0, ma mi piace spulciarlo qua e la.
L’ho preso perché magari sarei anche in grado di discutere in un inglese quasi impeccabile tutte le implicazioni politiche che ci sono dietro alla dissidenza di Liu Xiaobo davanti all’assise plenaria al palazzo di vetro dell’ONU ma se dovessi dire “sono allergico al glutammato di sodio” nell’impossibilità di farlo probabilmente morirei con la faccia riversa nel piatto.
Ora quindi oltre a sapere come evitare cibi potenzialmente letali e scoprire in quante parti è composto il motore di una macchina (fossi lesbica, apprezzerei di più ma tutto fa cultura) mi sono ritrovato al capitoletto dedicato al sesso.
La lista delle frasi seguono la cronologia di un approccio reale passano da quelle più soft come: “ti andrebbe di andare da qualche parte stasera” fino a quelle di chiusura di un rapporto: “credo che tra di noi non possa funzionare”.
Ma come in tutte le relazioni, tra questi estremi c’è sempre un lasso di tempo (che va dai 5 minuti in un bagno a giorni di travolgente passione) che ha tutta una sua ritualità verbale ben sintetizzata in questo libricino. Alcuni banali ma sempre efficaci (“hai un bel sorriso”, “balli benissimo”) ad altri che speravo fossero spariti da secoli (“scusa, ma ci conosciamo?”) che se ancora qualcuno ci casca come minimo merita di ritrovarsi di fronte il serial killer degli idioti.
C’è persino il paragrafo sui “rifiuti” che trovo francamente obsoleto dal momento che se qualcuno non ti piace, semplicemente puoi ignorarlo senza neppure addurre una scusa.
La frase di confine tra la sezione romantica e quella più pruriginosa è “ti va di entrare un momento?”, dopo di che la lettura diventa molto più divertente ed illuminante.
“Voglio fare l’amore con te”- ma se sei riuscito a catturarlo facendolo entrare in camera questa risulta una domanda pleonastica;
“Hai un preservativo?”-beh, sesso sì ma con coscienza!
“Non lo farò senza protezione!”- che detta così ha un tono melodrammatico da eroina di romanzi ottocenteschi, ma anche qui ne appreziamo lo scrupolo;
“penso che dovremmo fermarci adesso”- mai sentito dire in vita mia ma si sa che i maschi sono dei maiali, questa è un’evidente frase introdotta per il pubblico femminile;
“sto venendo”- beh, mi auguro che uno l’abbia imparato a dire già nel primo capitolo dedicato agli “spostamenti”;
“non ci riesco”- imbarazzante ma può capitare;
“non ti preoccupare, faccio io”- mortificante, ma può capitare anche questo.
E dopo la passione si fanno sempre largo i sentimenti con le solite frasi noiose:
“sono innamorato di te”
“Ti amo”
Penso stiamo bene insieme”; ma se dette esattamente così, senza neppure inframezzarle con una sigaretta o un altro paio di fellatio non può che causare la reazione illustrata ne sottoparagrafo: “problemi”.
“Non credo funzionerebbe tra di noi” (questa la so capire anche in aramaico antico);
“preferirei restassimo amici”, più umiliante per chi la dice che per chi se la sente raccontare;
“Non voglio vederti mai più”, tipica esclamazione da femmine un po’ stile “Attrazione Fatale”.
Così, delle frasi che solitamente escono dalla bocca solo quando sei diretto dagli ormoni come fa un ventriloquo con il suo pupazzo, te le ritrovi qui stampate, crtistallizzate, raffreddate e deprivate di tutta l’emotività. E se la passione del momento te le fa sembrare tanto originali e travolgenti (o per lo meno non così scontate), lette così freddamente, rivelano la loro banalità semantica, come i dialoghi di un film porno.
Ad ogni modo, ironia dell’impaginazione, dopo tutto questo turbinio di sesso e sentimenti, di approcci e rotture, sapete con che domanda inizia la sezione successiva? “A che ora apre la vostra galleria d’arte?”. E la passione lascia il passo alla borghesia.

martedì 7 dicembre 2010

UN PO' DI PEPE A ROMA



















La mia amica Egizia ha curato l’evento d’inaugurazione dello store romano di Pepe Jeans a via del Corso. “Vieni all’inaugurazione” (il punto interrogativo non l’ho dimenticato ma semplicemente omesso da momento che lei non richiede ma impone). Siccome la conosco bene e so che qualora non fossi andato sarebbe venuta a cercarmi sotto casa per prendermi a calci nel sedere, nonostante la pioggia e nonostante il mio culo pesante, mi sono presentato in negozio zuppo come un filtro per il te. Facevo talmente schifo che il fotografo all’ingresso ha messo l’otturatore all’obiettivo per evitare che al mio solo passaggio si incrinasse.
Mentre continuavo a gocciolare mi sono dato uno sguardo in giro. Pezzi davvero molto beli soprattutto quelli ispirati ai lavori di Warhol e spulciando nel reparto femminile (indubbiamente è sempre quello più divertente) mi sono reso conto ancora una volta di quanto sia dura essere una donna. E se in cima alle loro disgrazie c’è quella di avere relazioni sentimentali con gli uomini subito dopo viene l’incredibile quantità di vestiti tra i quali dover scegliere prima di uscire di casa. Tra accessori, trucchi e scarpe, sono convito dovrebbero guadagnare almeno il 20% in più rispetto a noi e se riescono ad essere comunque sempre carine e eleganti nonostante i periodi di crisi e recessione non può che essere la dimostrazione della loro superiorità genetica.

lunedì 6 dicembre 2010

6-12-1973

All’incrocio tra via di Portonaccio e via Prenestina c’è un angolo di muro completamente ricoperto di piccole lastre di marmo. Alcune a forma di cuore. Quasi tutte hanno come intestazione un PGR scritto in lettere di ferro battuto.
Tra queste ce n’è una con una A. e sotto una data: 6-12-1973. Quella l’andarono ad appendere i miei genitori poche settimane dopo la mia nascita. Il frutto di tante preghiere, di scale sante fatte in ginocchio da mia nonna e la consultazione di diversi ginecologi, alla fine aveva dato il frutto desiderato.
Il mio compleanno oggi celebra anche l’amore struggente di chi mi ha voluti qui a tutti i costi.

giovedì 2 dicembre 2010

DIVA MON AMOUR
























Sul numero in edicola di vanity Fair c'è un marchettone prenatalizio di diverse pagine sui 100 regali di Natale da fare a partire da 50 Euro.
Ma quest'anno ce li frego io e vi propongo un libro appena uscito che di euro ne costa mooolti meno è fa mooolto più bene di una centrifuga di sedano e carote.
Il titolo è “Diva Mon Amour” (casa editrice Azimut), una raccolta di racconti dedicati alle più grandi icone gay della storia che come saprete in genere sono personaggi disgraziati, possibilmente privi di qualsiasi talento ma le cui tragiche vite le hanno rese tanto care ai gay che in quanto a melodramma non scherzano.
Uno di questi racconti è mio ed è dedicato alle quattro tardone di Sex&The City, altro poker di archetipi omoricchioni.
Ma ci sono anche fior di scrittori che hanno partecipato che sono di un numero di poco inferiore alle comparse usate per girare “Ben Hur”.
La cosa meritevole di questa operazione però non è quella di avermi fatto pubblicare un racconto quanto quella che l’intero incasso andrà in beneficienza per la lotta all’AIDS che, vale sempre la pena ricordare, è ancora una malattia incurabile, che fa soffrire, che emargina e che uccide e se il nostro “talento” per una volta può servire a qualcosa di davvero utile, ben venga. E se i vostri soldi possono andare ogni tanto a fare del bene, ben vengano ancora di più.



Ecco l'leenco delle Dive e dei loro adoranti:

Nancy Reagan
Costantino della Gherardesca

Carrie Samantha Miranda Charlotte
Insy Loan

Viola Valentino
Daniele Vecchiotti

Madonna
Gianluca Reina

Wonder Woman
Sergio Calvaruso

Joan Crawford
LaKarl Du Pigné

Loredana Berté
Luca De Santis

Marlene Dietrich
Quince

Loretta Goggi
L.R. Carrino e Ettore Petraroli

Laura Pausini
Emiliano Reali

Britney Spears
Davide Martini

Patty Pravo
Michele Gabbanelli

La Lupe
Alessio Arena

Derek Jarman
Andrea Adriatico

W.H. Auden
Franco Buffoni

mercoledì 1 dicembre 2010

UN FIOCCCO ROSSO DA LEGARSI AL DITO.
























Ormai non se ne parla quasi più e la sua commemorazione ha la fiacchezza di un evento dall'eco distante eppure vale ancora la pena ricordare in questo 1° dicembre che di AIDS ci si ammala, più che negli ultimi anni, che è una malattia la cui cura ancora non è stata trovata (e forse non la si vorrà mai trovare per motivi economici, con buona pace delle teorie del complotto) e che sebbene le aspettative di vita siano migliori e più lunghe rispetto a 15 anni fa non è facile conviverci.
Vale ancora la pena di ricordare che i più colpiti sono i giovani, ignoranti in campo di sesso, che vivono in uno stato come il nostro ancora più colpevolmente ignorante in fatto di prevenzione. E più in là del nostro ombelico, ricordiamoci anche che in Africa ed Estremo Oriente l'AIDS è una piaga endemica che non fa che martoriare aree già fin troppo flagellate da ogni sorta di sciagura.
Il potere di rimozione della nostra coscienza collettiva ci ha illuso che l'AIDS fosse diventata ormai una malattia cronicizzabile al pari del diabete ma non è così perché anche nella nostre splendide "ipad society" c'è ancora chi di AIDS muore perché è un virus subdolo, multiforme e mutevole e perché a volte la cura è tanto nociva quanto il male che cerca di sconfiggere. Per questo ricordiamoci ancora che esiste un solo modo per contrastarlo: il preservativo. Fare sesso senza è un atto irresponsabile verso di noi ma soprattutto nei confronti degli altri.
In fondo, cosa costa? Basta una pellicola spessa appena una frazione di millimetro può tenere il virus miliardi di chilomentri alla larga.