lunedì 25 marzo 2013

GLI AMANTI PASSEGGERI E LA RATA DEL MUTUO IN SCADENZA.



Venerdì sera, dopo mesi di assenza dalle sale cinematografiche, ho deciso di tornare al cinema. Aspettavo un titolo adatto per farlo o quantomeno, visto il mio culo pesante, qualcosa che venisse proiettato nel raggio di 2 km da casa mia e che non fosse uno di quei film che prendono premi nei festival dove solitamente sono in giuria assessori alle politiche sociali e giornalisti di Limes.
Amanti Passeggeri+cinema Maestoso (una sala semiperiferica che sembra un’acciaieria dell’ex blocco sovietico in disuso) sembravano quindi la quadratura del cerchio.
Ci sono film che solitamente ti “compri” per il solo fatto che vengano girati da certi registi. Se Tarantino fa un film, lo vado a vedere a prescindere dalla trama perché sono convinto che una sua produzione non scenderà mai sotto una certa soglia di decenza. Così pensavo anche di Almodovar che però questa volta il film l’ha girato con il culo. Ora non so se aveva una rata del mutuo in scadenza e ha dovuto usare qualche scarto dell’86 ma chi ama il suo cinema, o anche solo chi ama il cinema in generale, uscirebbe dalla sala con l’impressione di aver visto un film che poteva essere stato girato da Neri Parenti e dove gli attori, fossero stati sostituiti da Boldi, De Sica e la Ferilli, avrebbero prodotto lo stesso risultato, con la differenza che un cine panettone è più onesto perché sai in anticipo cosa ti aspetta.
Non faccio la disamina “scena per scena” perché c’è ben poco da analizzare né io pubblico manuali di critica cinematografica ma mi limito a fare una sola considerazione tirando in ballo di nuovo il buon Neri Parenti (che cito solo come sineddoche per rappresentare la ridda di autori che fanno quel genere di film): se avesse prodotto lui una pellicola del genere la critica non solo lo avrebbe messo in croce (nonostante la nuova corrente revisionista che vuole far passare la Fenech per la Streep e “Giovannona cscia lunga” per un film di Sorrentino) ma tutti i gay si sarebbero scagliati accusando la pellicola di aver spolverato i soliti cliché sugli omosessuali (o più facilemnte avrebbero gridato all’omofobia!!).
I Protagonisti di Amanti Passeggeri sono degli steward tutti omosessuali (del resto ne conoscete di eterosessuali?), alcolizzati, drogati e che non riescono a stare lontani dal cazzo per più tempo di quanto un diabetico lo stia dall’insulina. Se poi metti tre gay insieme e accendi  uno stereo, sta sicuro che coreograferanno la canzone come fossero le vedette del Lido di Parigi.
A me, per carità, non da fastidio vederci rappresentati così. Non ho mai avuto il risentimento di molti gay che sono terrorizzati all’idea di essere presi per troppo effeminati o esageratamente ancheggianti ma mi chiedevo che tzunami si sarebbe levato se, appunto, a girarlo non fosse stato un gay dichiarato ma un regista qualsiasi.
In considerazione di questo si ha spesso l’illusione di pensare che i gay sappiano sempre raccontare i gay, come le donne il dramma della depressione post parto o i registi neri il disagio sociale delle periferie di Los Angeles. Ma mi sa tanto che non è così. “Una giornata particolare” (cito il primo film di genere che mi viene in mente) fu scritto da Costanzo (che voi mi direte è sposato con la De Filippi quindi un’ombra di dubbio viene spontanea), eppure, essendo etero fino a prova contraria, ha raccontato il dramma di un omosessuale con una capacità sorprendente.
Almodovar invece ha riproposto dei personaggi eccessivi perfetti 30 anni fa dove l’omosessualità era dirompente, politica e rappresentava, anche con i suoi eccessi, la “rinascita” culturale della Spagna post franchista. Personaggi che però, riproposti oggi, sembrano stanchi, noiosi, superati e anche un bel po’ tristi.


martedì 19 marzo 2013

19 MARZO.



Mia nonna era morta da poco. Mio nonno, rimasto solo, aveva chiesto alla figlia di trasferirsi con il marito e me, appena nato, in quella casa dove lui era rimasto l’unico ad abitare e la cosa era sembrata ai miei estremamente conveniente.
L’affitto era irrisorio, la zona ben collegata, e mio nonno, all’occorrenza, mi avrebbe potuto fare da baby sitter. I contro erano la loro limitata privacy, che per una coppia appena sposata è sempre piuttosto frustrante, e il fatto che avendo solo 3 camere, tolta quella da pranzo e quella in cui dormiva mio nonno, non restava che condividere la loro stanza da letto con me.  Dio solo sa se non sono stato testimone, ancora abbastanza piccolo da esserne inconsapevole, del sesso che i miei comunque immagino facessero, in silenzio (e senza particolari acrobazie) per non svegliarmi e procurarmi chissà che traumi edipici o peggio, per non svegliare mio nonno che dormiva poco distante e che avrebbe subito, più o meno, lo stesso tipo di trauma vagamente incestuoso.
La mia “camera” nella camera era rappresentata da un box di legno, robusto come la gabbia di un gorilla allo zoo. Il più delle volte però finivo per dormire con i miei, pratica che avrebbe fatto inorridire qualsiasi pediatra e, molti anni dopo, la mia psicologa che provò a imputare anche a quello una mia cerca confusione dei generi sessuali.
Mia madre, tra i due, era quella più nottambula e se mio padre andava a letto piuttosto presto, lei continuava fino a tardi a guardare la televisione e a rassettare la casa. Per questo non appena mio padre si sdraiava a letto, come il protagonista di Papillon, scavalcavo l’alto muro di cinta del mio box e mi piazzavo accanto a lui. Papà è stato un genitore tutto fuorché severo con i figli. Pretendeva molto, è vero, ma un “no” alle nostre richieste (che fosse definitivo e perentorio) non l’ha mai pronunciato. Figuriamoci quindi se al primo genito che a 4 anni gli si rannicchiava accanto nel letto avrebbe mai avuto il coraggio di dire “tornatene nel tuo”.
Le mie gambe si intrecciavano immediatamente alle sue, quasi a volerle fondere insieme e mentre con un braccio mi cingeva, con l’altro faceva roteare nel buoi l’ultima sigaretta della giornata, disegnando una scia luminosa che danzava al ritmo del tema de “Il Padrino” e che mi fischiava nell’orecchio come fosse una ninnananna.
L’erotismo è un istinto che si sviluppa ben dopo quell’età, mi è chiaro, ma il piacere fisico di avvinghiarmi al corpo di mio padre, sentire il tepore della sua pelle, il respiro vigile che mi dava la certezza che fosse ancora sveglio e pronto a difendermi dai mostri che il buio genera nella mente di un ragazzino, sono sensazioni che ho cercato e ritrovato, tanti anni dopo, le prime volte che mi trovavo a dormire con degli uomini. Sensazioni diverse eppure così assimilabili a quelle più ingenue di allora.
Forse è vero che l’uomo che si ama di più nella vita è il proprio padre e che passiamo tutta la nostra esistenza ricercandolo in altri, odiandoli a volte perché troppo simili o restandone altrettanto spesso delusi, esattamente per lo stesso motivo. 

domenica 10 marzo 2013

SAME LOVE: MATRIMONI, PER TUTTI!




Sta partendo in questi giorni l'avventura di SAME LOVE
la prima agenzia italiana di wedding planner dedicata interamente alla comunità LGBT. 

Diciamo che al momento mi trovo sprovvisto della materia prima per poter diventare a mia volta un loro cliente ma sono comunque felice di sapere che in Italia, in attesa che anche i politici si diano una svegliata, ci siano realtà imprenditoriali che prendono in considerazione le necessità che la comunità omosessuale pretende giustamente di vedersi riconosciuta, come nel caso del matrimonio (o come diavolo volete chiamarlo, ma il senso è lo stesso). 
Ho dato una mano alla realizzazione del sito e mi farebbe piacere che gli deste un'occhiata. Così, anche solo per curiosità, sia che accarezziate l'ipotesi di "convolare", sia che non ci pensiate proprio ad accasarvi. 


PS: 
qui trovate anche il link alla pagina Face Book. Andate e "likate"!


giovedì 7 marzo 2013

INSY AL VOLANTE, PERICOLO IMMINENTE.



Premesso, io di macchine ci capisco poco e niente. 

Per anni sono stato convinto che si sorpassasse a destra e che si desse la precedenza a sinistra. Motivo per il quale mio padre è sempre stato piuttosto restio a prestarmi la sua.
Ad ogni modo guido abbastanza bene, come bene fanno le cose quelli non dotati di quel talento che rende un’azione spontanea e brillante.
Ma arriviamo al punto: 3 settimane fa mi chiama la mia amica Egy, quella che fa l’ufficio stampa. Lei mi chiama sempre per le presentazioni dei prodotti di cui si occupa e nonostante sappia che sto al mondo dell’auto come un leone alla dieta vegana mi invita alla presentazione delle nuova linea di auto ibride della Toyota Auris Hybrid.
Sedotto dalla prospettiva di un rinfresco, vado (c’è chi si è venduto un regno per un piatto di lenticchie io posso ben garantire la mia presenza per 2 tartine e un bicchiere di prosecco).
Ovviamente lo spazio espositivo è fatto benissimo, tecnologico, interattivo, con dei ragazzi pronti a spiegare le meraviglie dell’ibrido che alla fine ho capito essere la versione meccanica del “versatile” sessuale ovvero: un po’ così un po’ cosà.
“Vuoi fare una prova della macchina?”. Mi chiede Egy e io, come spesso succede per ben altri e più scabrosi inviti, dico sì prima che il suono dall’orecchio raggiunga il cervello e lo decodifichi come un potenziale pericolo.
Mi guardo intorno e nelle tre sale dello spazio espositivo non vedo nessun simulatore. 

Tiro un respiro di sollievo: “avrò capito male io”, mi tranquillizzo quando, all'improvviso, sento una ganascia dentata afferrarmi il polso (Egy è campionessa mondiale di braccio di ferro) e trascinarmi verso una hostess che annota dei dati su una cartella. 
“Ecco è lui il prossimo”, dice Egy mentre mi scaraventa verso la povera ragazza la quale mi chiede i dati anagrafici prima di accompagnarmi fuori. A pochi metri da lì, in piazza Mignanelli, c’è una piccola scuderia di Toyota dove baldi piloti aspettano gli avventori per seguirli nel test driving.
Io non guido da mesi, direi anni, se si fa eccezione di qualche sporadico episodio di pochissime ore quando mi spingo oltre il raccordo anulare per raggiungere centri commerciali di estrema periferia, quindi mentre salgo su questa Toyota mi sento più spaventato che eccitato.
Grazie al cielo, ho accanto il mio amico Dario, vero esperto di macchine. Sa cos’è una cilindrata e parla di consumi per chilometri. Nasce quindi subito un feeling tra lui e il nostro accompagnatore che trasecola quando io, provando a cercare senza successo il pedale della frizione, gli dico che non ho la minima idea di come si possa guidare una macchina a cui manca un pezzo.
La cosa che detesto è quando davanti a una cosa complicata, gli esperti ti dicono: “ma è un gioco da ragazzi!”, facendoti sentire ancora più deficiente di quanto già uno non si senta. “Ha il cambio automatico, vedrai è facilissimo guidarla!”. Come volevasi dimostrare. 

Confidando che la vettura sia assicurata soprattutto contro danni a persone, premo il tasto di accezione (una macchina come questa ovviamente non ha una comune chiave) e si illumina una plancia uguale a quella della Enterprise di Star Treck.
Durante i 20 minuti di guida il mio povero accompagnatore fa riferimento a caratteristiche mirabolanti, io afferro solo quelle legate alle comodità, Dario alle prestazioni, e non finge come me limitandosi ad annuire, fa anche domande specifiche! Nonostante sia concentrato a non imboccare sensi vietati o a “incollarmi” qualche pedone, una cosa la capisco anche io: la macchina va sia a benzina che a elettricità. Quando cammina piano, usa il motore elettrico, quando va veloce usa il carburante il che significa consumi ridotti e rispetto per l’ambiente (detta come una brochure di settore). Oltretutto, si autocarica ogni volta che frena: come faccia è un mistero (una volta sceso e tornato nello show room mi hanno spiegato in realtà il segreto ma io ho ancora problemi a capire le regole del gioco dell’oca e il successo editoriale di Fabio Volo, non mi si può chiedere troppo!!).