giovedì 7 luglio 2011

IL MISTERO DEL PANE.

















Era una fredda notte d’inverno. Mio padre era alla guida, mia madre sedeva accanto e, io (avrò avuto otto anni) come al solito piantato sul sedile posteriore.
Lungo via Collatina intravedo un fuoco in lontananza. Non ne avevo mai visti in città e tantomeno di quel genere perché non erano alimentati da ceppi di legno o cartoni ma da ruote di macchina. Nonostante fosse già buio si poteva comunque vedere la lingua di fumo nero che saliva verso il cielo. Arrivati all’altezza del falò notai che intorno si era assiepato un piccolo gruppo di donne. Alcune in piedi, altre adagiate su sediole di nylon pieghevoli, di quelle che avevamo anche noi quando andavamo in spiaggia.
Loro erano vestite con molto poco. Per questo, mi dissi, sono tutte intorno al falò! Ma allora perché non si coprono di più? Ma soprattutto che ci fanno delle donne lungo una strada buia, di notte, sole solette?
“Papà, chi sono quelle?”.
Mio padre che era preso in una conversazione con mia madre rispose senza pensare e istintivamente mi disse: “Mignotte”.
“Mignotte?”, ripetei io cercando di capire cosa significasse quella parola mai sentita prima.
La gomitata di mia madre nel costato del marito fu fulminea come altrettanto folgorante il suo sguardo di disapprovazione.
Il sesso in casa nostra era un tabù. Per rendere l’idea di che specie di comunità amish fossimo mio nonno ogni volta che in televisione vedeva una donna succinta (e per lui lo erano già dal primo bottone della camicetta sbottonato) abbassava lo sguardo e bofonchiava. Credo preghiere. Degna figlia, mia madre durante le scene di sesso in tv iniziava a ridere nervosamente trovando sempre un motivo per piazzarsi davanti lo schermo nel tentativo eroico di difende i miei occhi innocenti. E tutto questo alla fine degli anni ’70 in piena rivoluzione sessuale catodica, dove, forse più di oggi, anche “Parole di vita” veniva presentato da una suora in minigonna e senza mutande.
“No, volevo dire “pagnotte” ”, tentò disperatamente di riparare mio padre non facendo altro che generare nella mia testa ancora più confusione.
“Pagnotte”, feci io. “Il pane? E che c’entra il pane”.
“Si il fuoco che accendono serve per cuocere il pane”, intervenne anche mia madre per cercare di sventare un pericolo ai suoi occhi tanto dannoso per lo sviluppo psicologico del figlio.
“Quindi cuociono il pane qui in strada e poi lo portano nei negozi”, continuai soddisfatto di aver capito finalmente come fosse composta la filiera del pane alimentando una conversazione che aveva del surreale.
“E’ proprio così”, insistette mio padre evidentemente più sollevato.
Più complicato fu spiegare invece alla maestra cosa non andasse in famiglia quando qualche giorno dopo volle parlare con i miei genitori dopo aver letto un mio riassunto a tema libero dal titolo “Sapete voi come si prepara il pane?”.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E meno male che c'era il falò...se foste passati sulla statale dietro casa mia dove sono sul ciglio della strada che avrebbe inventato per "sventare" il pericolo?

Nanà Lanuit ha detto...

Che spettacolo questo racconto...
mi ha portato alla mente tante immagini dal passato; i viaggi in auto con i miei, gli anni 70, le battone davanti i falò...

Grazie mille Ale.

for you

Anonimo ha detto...

inizio anni '80 signore ai bordi della strada vicino la Pineta di Ostia per attirare la clientela usavano piegarsi a 90 gradi da cui mio padre alle mie domande insistenti se ne uscì con un infelice: "raccolgono pinoli" mal gliene incolse visto che io adoravo i pinoli e ogni volta che vedevo le signorine lo tormentavo perchè volevo fermarmi a raccoglierli con loro....