Immergersi nelle acque
putride di Ostia in confronto alle quali il Gange sembra un ruscello alpino era
fuori questione. Volendo comunque sgranchirmi le ossa, ho proposto quindi a
Scrappy una passeggiata. Eravamo così distratti dalle nostre chiacchiere e
talmente io bisognoso di consigli per gestire la nuova, ennesima e drammatica
emergenza sentimentale che ci siamo accorti d’essere arrivati molto lontani
solo quando abbiamo iniziato a sentire i bagnanti parlare con le vocali
aspirate tipiche della terra di Calabria.
Sulla strada del ritorno
abbiamo visto dei bambini chinati a dare schicchere stellari a delle biglie che
schizzavano lungo una pista di sabbia di poco meno grande dell’autodromo Enzo
Ferrari di Imola.
Mi ha sorpreso vedere fare
ancora oggi quel gioco che pensavo si fosse estinto con l’avvento di Hungry
Birds e mi sono tornate alla mente le giornate passate a dare il culo sul
bagnasciuga di San Salvo Marina. Nel vero senso della parola.
Come per quasi tutte le
attività da spiaggia quali racchettoni, bocce e limonare con le coetanee, anche
dalle biglie non ero minimamente attratto. Laura era una delle poche ragazze
ammesse nel gruppo di amici da spiaggia che sporadicamente frequentavo. Erano 3
fratelli, 2 ragazze e un ragazzo. Benché avesse appena 12 anni, la prima era la
più bella della spiaggia quindi destinata alla solitudine per inarrivabilità.
La seconda, era appena più piccola ma tanto Anna (la sorella bella) era dotata
di un fascino fin troppo conturbante per la sua età, quanto Antonella invece ne
era a tal punto priva che capivi si trattava di una ragazza solo perché si
ostinava a indossare il pezzo di sopra del costume. Era comunque accettata dal
gruppo per un solo motivo: aveva il sedere grosso abbastanza per essere
impiegato come calco per le piste da biglia. L’operazione era di per sé
piuttosto umiliante. Antonella veniva messa nella posizione della “quaglia”. Le
caviglie e i polsi venivano trattenuti dalle mani degli altri ragazzini quasi a
formare un fagotto umano e poi la trascinavano fino a disegnare curve e incroci
come non se ne vedono neppure nelle complanari e tangenziali di Los Angeles.
Antonella aveva però un problema, il bacino era abbastanza largo ma il culo era
irrimediabilmente piatto, difetto che purtroppo si portò dietro per sempre, nel
vero senso della parola. Quello di cui avevano bisogno invece era di qualcuno
che avesse un culo bombato da dare anche profondità alla pista.
Fu quella la prima volta dei
maschi iniziarono a guardarmi il sedere con un certo interesse. Tanto infatti
era rinsecchito quello di Antonella quanto il mio sembrava fatto con due
braccioli gonfiabili.
“Vieni a giocare con noi”, mi
fecero un giorno venendo in delegazione al mio ombrellone quando mai prima di
allora mi avevano coinvolto nelle loro attività marinare.
“Dai vai a giocare con loro”,
mi incitava mia madre sognando così per me un primo passo verso l’integrazione
adolescenziale.
Io tenevo invece la testa ben
conficcata tra le pagine del Corriere dei piccoli, non perché mi interessasse
leggere le avventure della Pimpa ma perché avevo intuito la mala parata e
trovavo umiliante che mi cercassero solo per il mio sedere senza contare quanto
lo sarebbe stato poi dire a mia madre il reale motivo del loro interesse.
Alla fine però, pur di
renderla felice, accettai.
Le cose andarono esattamente
come avevo previsto.
Mi presero, mi posizionarono
come un aratro sul campo e, dopo appena qualche metro di tracciato, si potevano
già iniziare a vedere le loro espressioni soddisfatte come quelle degli
ingegneri durante le prime trivellazioni per il canale sotto la Manica che
decretavano l’esattezza dei loro calcoli. In effetti non occorreva neppure fare
un secondo ripasso: dopo di me, carambole, sci can e pivot, erano garantiti!
Antonella, ormai davvero
inutile, venne estromessa dal gruppo ma quel giorno, mentre si allontanava
verso il confino, mi guardò e, leggendo il labiale, carpii un “grazie”. Quanto
a me, beh, avere il culo giusto per creare le piste non significava
automaticamente che venissi invitato a partecipare alle gare.
“Hai già fatto” mi chiese mia
madre vedendomi tornare dopo neppure una mezz’ora. Io annuì con la bocca
curruciata mentre mi toglievo chili di sabbia dal costume, con il culo
arrossato come quello di un babbuino.
La storia andò avanti per
un’estate intera, 2 volte al giorno, 7 giorni a settimana, nella mia più totale
omertà. Non volevo infatti rivelare ai miei che la mia popolarità era molto
limitata ed estremamente specifica. La sola cosa che mia madre notò era come tutti
i miei costumi quella stagione fossero incredibilmente lisi sul di dietro, ma
lo imputò alla pessima qualità della stoffa.
La vessazione l’anno
successivo per fortuna terminò.
Al sopraggiungere dei 13 anni
i miei coetanei iniziarono a preferire le bocce delle ragazze ai boccini delle
biglie. Di lì e per i successivi 5 anni il mio sedere tornò ad essere del tutto
inviolato.
3 commenti:
Adesso capisco perché le piste che costruivo con i miei fratelli erano sempre un po' disastrate: ci mancava l'attrezzatura specifica.
Mi sorge un dubbio. Esiste una relazione tra gli abusi subiti a 12 anni e "la nuova, ennesima e drammatica emergenza sentimentale"?
amo follemente il tuo stile di scrittura..
quando farai un altro libro? :)
PS- io ero un fanatico delle piste.. ma niente culi.. da novello ingegnere andavo con palette e soprattutto con mani e kg di sabbia per costruire curve con parabole assurdamente alte e ponti inutili ma esteticamente appaganti!
Jack Pot
Deliziosamente romantio,
irriverente, retrò, e spassosissimo...
Che riordi quelli delle estati al mare!!!
kizz kizz e buona estate!!!!
Posta un commento