sabato 24 dicembre 2011

Poi, ovviamente, la pace nel mondo.




Esattamente un anno fa ero a New York per un viaggio in solitaria di un mese. Il giorno della vigilia stavo cercando i resti di una discoteca molto famosa negli anni ottanta che si chiamava The Saints. Avevo letto e visto documentari su questo santuario della “queer cultur”, antesignano di tutti i Circuit, e benché sapessi che aveva chiuso i battenti verso la fine degli anni ’90 ero andato a cercarlo come un devoto va incontro alla tomba del suo santo patrono. La mappa indicava un posto ben preciso nell’East Village ma quando arrivai all’indirizzo trovai al suo posto un centro accoglienza per immigrati. A nulla era servito chiedere informazioni a una lavanderia cinese che si trovava esattamente dall’altro lato del marciapiede: a malapena il proprietario parlava inglese, figuriamoci che ne sapeva lui di quell’enorme “dome” che aveva ruggiti il suo dominio sulla scena della nightlife di quella città quando forse lui ancora neppure sapeva esattamente dove fosse situata l’America.
Sconsolato andai a mangiare un boccone ad Alphabet City, in un ristorantino messicano scassato dove alla cortesia delle cameriere faceva da contraltare un menù degno di una sosta per autotrasportatori in autostrada. Mi ero seduto accanto alla vetrina. Non avendo nessuno con cui parlare e così mi distraevo nel vedere la gente che passava lungo la strada con l’incanto di chi si perde a guardare i pesci in un acquario. La giornata era limpida e serena sebbene facesse un freddo da lasciarti sterile.
Era la vigilia di Natale, una completamente differente rispetto a tutte quelle che avevo vissuto fino ad allora. Nessun pacchetto da incartare né frasi originali da scrivere nei bigliettini né parenti da incontrare. Il fuso mi graziava per qualche ora ancora dall’inviare persino dei semplici sms di auguri. Nessuno nel ristorante sembrava particolarmente invasato dall’aria di festa che comunque a New York ti costringono a vivere anche se sei uno dei bambini di Satana.
Il concetto di evoluzione è totalmente soggettivo.
Puoi sperare di migliorare nel lavoro ottenendo un contratto vero, impegnarti giurando che perderai finalmente quei chili che non vogliono andare via o sperando il meglio per una persona cara che in quel momento sta combattendo con una malattia che rischia di inghiottirla. Sono desideri semplici, comuni ma che per noi sembrano fare la differenza di un’esistenza e che molti, abbandonata l’ingenuità di una letterina scritta con i pennarelli colorati, continuano tuttavia a stilare ma solo mentalmente, per evitare di lasciare tracce scritte in giro che ridicolizzerebbero ulteriormente un’operazione di per se piuttosto imbarazzante. Mentre mi ingozzavo di burritos impastato con della birra che aveva sull’etichetta una rosa rossa disegnata anche io mi auguravo che qualcosa potesse cambiare nella mia vita, certo, con l’impegno necessario di chi sa che nulla avviene per magia ma anche con la pigra speranza in una piccola spinta di incoraggiamento che scenda a darti un aiuto come un gancio in mezzo al cielo.
Oggi è di nuovo il 24 dicembre e si presenta il conto di quella giornata. Pochi cambiamenti ma nessun peggioramento, e questo è già tanto. Deluso? Affatto, una cosa, la più importante, oggi è sideralmente migliorata da allora e mi sta bene così. Per le altre, c’è sempre tempo basta resistere e sperare e chissà che tra esattamente un anno non abbia di che gioire per un’evoluzione al cui confronto quello della razza umana non è che una passeggiata.
Tutto questo, ovviamente, con buona pace dei Maya.
Tanti auguri a tutti voi.
Alessandro