giovedì 30 agosto 2012

DIFFERENZIATA, LA NUOVA OSSESSIONE.



















Ho l’idea per un nuovo format TV. Si intitola “E questo dove lo butto?”. In realtà si tratta più che altro di un quiz. Al concorrente viene dato un cassonetto pieno di immondizia e 4 buste: una per l’umido, uno per i non riciclabili, uno per vetro, plastica e metallo e l’ultimo nel quale infilare la carta.
Mi è venuto in mente ieri quando, dopo aver scartato un cremino, sono rimasto con la confezione in mano composta da un lato esterno in carta e uno interno con la superficie argentata. “E questo dove lo butto? In carta o in metallo?”. Ho provato a chiedere a dei colleghi non facendo altro che diffondere terrore in ufficio, c’è chi ha persino cercato una risposta su Google. Ora tanto impegno potrebbe sembrare parossistico se non il chiaro sintomo di una nevrosi collettiva ma da quando sono arrivate le circolari condominiali che intimano una raccolta differenziata scrupolosa, pena la ghigliottina, viviamo tutti in un costante regime di terrore.
Il risvolto drammatico della differenziata oltretutto è costituito non solo dal pericolo di essere multato in flagranza di reato ma anche dalla delazione di chi ti circonda che sta creando un rinnovato clima di terrore che non si vedeva dai tempi della guerra dove si regolavano vecchi conti in sospeso e liti condominiali attraverso l’accusa reciproca di collaborazionismo.
Io li sento benissimo gli occhi dei vicini conficcati dietro la mia nuca mentre, da dietro le persiane semi abbassate, aspettano un mio errore per poter chiamare i vigli mentre, con il mio bustone, sono davanti ai 4 raccoglitori nel cortile. La pressione è tanta, altro che esami universitari o colloqui di lavoro: indugio terrorizzato all’idea di mettere per errore una lattina di coca nel raccoglitore della carta e se mai fosse, preferirei sventrare il coperchio con un piede di porco tuffandomi dentro per recuperare l’errore prima che una pattugli a sirene spiegate venga a trarmi in ceppi mentre quella stronza del primo piano ha ancora la cornetta del telefono fumante.
Ma vi starete adesso chiedendo che fine abbia poi tatto fare alla carta del cremino (e non perché vi interessi davvero la mia sorte quanto piuttosto per avere un’informazione sulla differenziata che un giorno potrebbe salvarvi da una multa). Lo sto tenendo ancora in tasca. Più tardi prenderò un bus del quale non posso rivelare la destinazione e, notte tempo, con un passamontagna ben calato sul volto, lo getterò in un cassonetto qualsiasi facendo molta attenzione a che nessuno mi veda.

mercoledì 29 agosto 2012

TETTARELLE AL VENTO.





Ieri sera ero in un ristorante al Pigneto, di quelli talmente alternativi da diventare più borghesi della Pergola dei cavalieri Hilton. Pullulava di attori emergenti, parrucchieri alternativi, hipster di 12 chili e donne, tante donne, in gruppo tra di loro o con gli amici cicis-gay (il che è pure quasi peggio). Nonostante l’ora tarda, c’era anche un nutrito gruppo di quelle che io chiamo “le madri fiere”: ovvero quelle donne (meglio se primipare) che per il solo fatto di aver messo al mondo una creatura si sentono come degli eroi di guerra ai quali tributare onori e ammirazione. Equidistribuite tra le varie comitive, nel bel mezzo dei loro racconti vacanzieri, a turno, tiravano fuori le tette gonfie di latte e, con un certo automatismo, le infilavano in bocca al loro neonato, senza minimamente scomporsi o perdere il filo del discorso e senza neppure scomodarsi a controllare se gliel'avessero infilate nella bocca o in un occhio, totalmente incuranti del fatto che stavano condividendo un gesto intimità con persone che neppure sanno come ti chiami.
Senza poi contare gli sguardi imbarazzati dei loro interlocutori che mentre parlavano del viaggio in barca a vela sulle coste della Croazia le vedevano armeggiare con queste tette zampillanti e dovevano mantenere un’espressione impassibile mentre nella loro testa continuavano a ripetersi: “non guardargli la tetta, non guardargli la tetta, non guardargli la tetta!!!”.
Certo in vita mia ho visto tirare fuori ben altro che un seno e in ambiti ben più affollati ma quello che mi chiedo: aspettare di tornare a casa per allattare il pargolo o accomiatarsi prima, senza necessariamente fare mezzanotte, per dedicarsi con un po' più di cura a la creatura senza farci mangiare un filetto vedendo zinne da per tutto che farebbero passare la fame anche a un lupo della steppa siberiana, proprio no?