martedì 29 marzo 2011

LA MELA E L'ALBERO


Quando qualche anno fa iniziarono a manifestarsi i primi esemplari di metrosexua (uomini dall’attitudine omosessuale ma sessualmente attratti dalle donne) non trovai il fenomeno particolarmente sorprendente essendo stato generato probabilmente dal prototipo di questa nuova razza urbana. Vanitoso come una vedette del Lidò di Parigi, mio padre aveva il conto aperto da Bertozzini (una delle profumerie più rinomate e care della capitale) dove ogni mese passava ore intere sedotto dalla capacità affabulatoria del proprietario di proporgli nuovi profumi, creme e pennelli di visone per montare a dovere schiume da barba che promettevano rasature di raso.
Mia madre al contrario aveva forse due rossetti, dei quali uno squagliato, qualche ombretto intonso e dai coloro improponibili persino per un daltonico che oltre ad essere la frustrazione della curiosità cosmetica di un gay in erba (io) era deprimente anche per un pioniere della cosmesi maschile (mio padre) in anticipo su quanti solo molti anni dopo sarebbero approdati sulle terre di Gaultier. “Ma chi vuoi se ne accorga?”, si giustificava ad una moglie contrariata che lo guardava mentre si arricciava le ciglia con un rimmel trasparente picchettandosi il contorno occhi con un correttore esattamente della sua tonalità di pelle.
Iniziando a frequentare le case dei mie compagni di casa iniziai quindi a scoprire che non era normale che i papà passassero in bagno più tempo delle mamme, che non era così comune che i loro pantaloni fossero attillati come dei leggins e che dedicare 3 ore di palestra al giorno a fini puramente estetici invece che stare stravaccati sul divano a guardare la TV non era affatto così comune.
Con il mio sviluppo fisico e la conseguente sostituzione dei calzini fatti di merletto con abiti un po’ più alla moda (che per un neofinocchio sono sempre piuttosto eccentrici) mio padre cominciò a depredare il mio guardaroba e finché si trattava di jeans un po’ troppo alla moda per un 45enne, potevamo anche soprassedere, ma quando iniziò a venirmi a prendere a scuola con un maglioncino d’agora arancione ANAS che avevo comprato in un mercatino dell’usato che già su di me gridava Querrelle de Brest iniziai a provare un vago senso di disagio.
“beh, perché mi sta male?”. Il punto non era se gli stessero o meno a pennello, ci mancava anche altro con tutto lo sport che faceva, la questione era che sembrava piuttosto innaturale che uscendo con la moglie fischiassero a lui piuttosto che a lei.
Nei primi anni ‘90 le meduse stampate sulle camice traslucide sbottonate fino all’ombelico di Versace furono il colpo di grazia alla nostra reputazione. Uno stile che, ovviamente, interpretava a pieno l’idea di “eleganza” di mio padre il quale, unico sui lidi dell’Adriatico, aveva avuto l’audacia di indossare un costume viola bordello legato da una fibbia dorata con impressa una “V” visibile fin sulle coste della Croazia. Siccome però la sua idea di mare consisteva nell’attirare gli sguardi anche dei pesci, aveva l’egocentrica abitudine di cospargersi di un olio solare che solo dopo anni i chimici delle case cosmetiche avrebbero ammesso essere cancerogeni come un gavettone di plutonio. Poi, si piazzava su una sdraio sul bagnasciuga rendendo il suo corpo scultoreo abbagliante come la statua crisoelefantina dello Zeus per la gioia di centinaia di femmine abituate a vedere i corpi, lo ammetto, piuttosto flaccidi dei rispettivi compagni. Per l’imbarazzo però, noi eravamo quindi l’unica famiglia nella quale il marito e la moglie si trovavano a 12 stabilimenti di distanza e neppure la minaccia di sgozzare i propri figli avrebbe costretto mia madre ad ammettere che quel piacione fosse suo marito.
Ora io non lo so se l’omosessualità sia genetica o indotta e francamente neppure mi interessa, ne posso dire se la mia attrazione per la forma fisica sia dovuta a qualche complesso di Edipo, Giocasta i di Sarchiapone ma di certo mio padre una bella spinta verso la frociaggine me l’ha data di sicuro.

giovedì 24 marzo 2011

LA MERENDA E LA LOTTA DI CLASSE.


















Ho scoperto solo da poco che alle elementari non si indossa più il grembiule. E non avendo il diritto a una genitorialità che non contempli il sequestro di minori o risorse economiche sufficienti per noleggiare un utero era ovvio non ne sapessi nulla. Io ero rimasto ai maxi fiocchi bianche e blu che uniformavano tutti i bambini, ricchi e poveri, mettendoci al riparo da confronti di classe valutati in base alla preziosità dei vestiti indossati. Ai miei tempi, potevi portare sotto la divisa anche lo stesso paio di pantaloni per una settimana che nessuno ti avrebbe potuto giudicato. Ma il fatto che io sia invece cresciuto in un contesto educativo di apparente proletariato non ostacolava però l’infame pratica della discriminazione. Diciamo solo che erano altri gli elementi su cui si basava. Prove, indizi, dettagli che non sfuggivano alla perfidia spudorata che solo i bambini sanno mettere in atto.
La più evidente di tutti era la merendina.
Nella mia aula le classi sociali si potevano dividere in tre gruppi che manifestavano il loro benessere proprio durante la ricreazione.
La prima, la più altra sulla scala sociale, era composta dai compagni i cui genitori compravano le pizzette la mattina stessa nei forni o nei supermercati. Caldi incarti profumati che ti facevano salivare sin dalla prima ora.
La seconda era formata da chi si portava la merendina da casa. Ovviamente comprarne a pacchi era più economica ma garantiva una sufficiente considerazione e accettazione da parte del branco.
Poi c’ero io con pane burro e zucchero avvolto nello scottex che mi rendeva la persona più prossima a un paria.
Non che il sapore del burro e dello zucchero spalmati sul pane fosse sgradevole, ma anche la carbonara è più gustosa del sushi ma fa meno fico e a quell’età, tanto quanto poi da adulti, l’accettazione è fondamentale, pena: anni di analisi da sviscerare sulla inadeguatezza personale e il rancore verso i genitori non appena si inizia a guadagnare il primo stipendio.
Non che fossimo poveri ma diciamo che venivo da una cultura familiare frugale, essenziale, che mal si amalgamava con l’incedere dell’edonismo spendaccione dei primi anni ottanta e Dio solo sa quante volte (in pratica tutte le mattine, per 5 anni) abbia implorato mia madre di comprarmi la pizzetta rossa anche a me passando davanti il minimarket dietro casa che come un pusher ne piazzava un canestro pieno all’ingresso (geni del marketing!).
“No, hai già la tua merenda”.
“Ma non mi piace, almeno una Girella”, provavo a frignare.
“La tua è più sana, molto meglio di quelle porcherie preconfezionate. E poi fanno ingrassare”.
Era evidente che, cuore di mamma, aveva una strana percezione della magrezza, non solo perché a 7 anni pesavo come uno di 15 ma anche perché il burro e lo zucchero insieme non sono certo la dieta base di un’aspirante anoressica.
Così ogni giorno, l’arrivo della campanella che sanciva la mezz’ora di ricreazione era invece per me il momento della gogna pubblica. Tutti scartavano le loro merende invece io svolgevo il mio mesto pasto. E se la frustrazione da sola non fosse bastata, ci si metteva anche l’umiliazione inflitta dagli altri stronzetti che passavano al mio banco chiedendomi: “ti va di scambiare un pezzo del mio waffer al cioccolato con la tua merenda?” (c’era infatti anche questo curioso rito del baratto per cui ricordo sempre Simona, una venditrice nata, che con una pizzetta riusciva poi a stendere sul banco un buffet composto da brandelli di tutte le altre merendine scambiate degno del 4 Seasons di New York).
Io entusiasta rispondevo: “si, volentieri!!”.
Poi mostravo il mio fardello e loro, immancabilmente mi guardavano con la pena e il ribrezzo che si riservano al peggiore degli accattoni e rispondevano: “no, mi fa schifo ‘sta roba”.

mercoledì 23 marzo 2011

SQUARCI D'ITALIA.





















Ieri la decisione di Usa, Francia e Inghilterra di spostare il comando di tutte le attività militari sotto l'ombrello della Nato. L'annuncio è arrivato in serata, dopo il decisivo ok dell'Eliseo. L'accordo a tre, però, ha escluso l'Italia. Ora una piccola considerazione: l'Italia è considerata poco più che un parcheggio per le forze armate della Nato. In virtù della scarsa considerazione che questo governo si è guadagnato al livello internazionale probabilmente mangeremo in cucina insieme alla servitù quando il banchetto allestito in Libia sarà pronto. Gli attestati di stima delle nazioni coinvolte sulla preziosità della nostra alleanza sembrano i contentini elargiti delle ragazze belle alle compagne racchie dalle quali hanno ricevuto i compiti d matematica già fatti e in tutto questo il premier si preoccupa di mettere la sua faccia da Madame Toussaud per pubblicizzare una Italia che più che meta turistica assomiglia al soggiorno polveroso delle sorelle Materassi. Uno spot che farebbe venire il latte alle ginocchia a mia nonna e che ignora che il turismo è fatto in grande maggioranza da giovani che sai quanto gliene può sbattere si due gondole e il cuppolone al tramonto. Insomma nonostante la bellezza del nostro paese il panorama che si gode è tutt'altro che piacevole.

martedì 15 marzo 2011

LONTANO DAGLI OCCHI, VICINO AL CUORE.

L’altro giorno parlavo con un amico. Ha conosciuto da poco un ragazzo che vive e lavora in Spagna e mi raccontava del grosso ostacolo che per lui rappresenta la distanza e di come sia convinto che questa lo porterà all’interruzione della frequentazione. Certo, ognuno deve fare quello che si sente ma penso sia sempre un peccato rinunciare a qualcosa di potenzialmente bello e appagante a causa di ostacoli che, da mio punto di vista, insormontabili non sono. È talmente difficile trovare qualcuno giusto che se anche te lo trovi a 3 ore d’aereo, per me vale sempre la pena tentare.
Poi ovviamente è questione di carattere. Sarà che per me la distanza rappresenta un vantaggio piuttosto che un limite.
Prima di tutto, vedendosi di meno si cerca di dare maggiore qualità al tempo trascorso insieme ed è tutto un organizzare cose che quasi mai si fa quando si vive sullo stesso pianerottolo.
Sempre per lo stesso motivo si ha meno tempo da perdere in discussioni e litigi dedicando spazio semmai a una più profonda conoscenza reciproca.
Impari usi, costumi e lingue di paesi diversi dal tuo e questo vale più di una qualsiasi vacanza studio a 18 anni e il limite linguistico a volte è una benedizione: si lascia più spazio allo sguardo, al tatto e alla sensualità .
Quando sei da lui nessuno ti conosce e la tua fama, spesso pessima, non ti precede. Al contrario, quando lui è da te, il fatto che non capisca può rivelarsi un valido alleato perché non gli arrivino alle orecchie illazioni false e tendenziose sul tuo conto.
E poi vogliamo ignorare lo struggente romanticismo da eroina di fine ottocento che stringe al petto le e-mail dell’amato in attesa di poterlo riabbracciare (scusate la moderna contaminatio epistolare)?
Ovviamente anche nella distanza c’è un limite e sebbene Domenico Modugno ci conforti assicurandoci che la lontananza è come il vento che alimenta il braciere della passione, è pur vero che per quanto mi riguarda, tranne recenti sbandamenti intercontinentali, preferirei tenermi su territori comunitari che Ryan e Easyjet hanno ormai reso economici e accessibili come fermate della metropolitana.
Nonostante però tutte queste motivazioni che io trovo assolutamente persuasive, il mio amico ha ancora i suoi dubbi.
“ma io ho bisogno di uno che se lo chiamo viene da me o posso raggiungere in poco tempo”.
Dunque vediamo, adesso ognuno di voi scavi nella sua memoria e poi con una grande dose di onestà dica: quante volete questa cosa è successa?
E a supporto di questo mio scetticismo ho elaborato “la teoria di San Lorenzo”.
Per 10 anni ho vissuto in questo quartiere che potremmo definire la Soho di Roma, il Village Capitolino, il Mares dei sette colli. Locali, bar, pub, cinema e teatri. Uno di quei quartieri dove vai a vivere dicendo: “almeno lì ho tutto e posso scegliere ogni sera di approfittarne. Molto meglio che vivere in periferia dove se ti va di farti una pizza devi prendere la macchina e farti almeno 20 minuti di strada!!”.
Sapete in quante occasioni tornato da lavoro ho preferito cogliere una delle migliaia di offerte di svago del quartiere piuttosto che piazzarmi davanti la TV? Quattro, forse cinque volte.
Quindi, quand’è che vi potrà capitare di saltare in scooter nel cuore della notte, magari con il freddo e la pioggia, per congiungervi al vostro amato? Siamo seri, tanto vale aspettare un po’, farsi una doccia fredda o vedersi un porno e prenotare l’indomani un biglietto aereo per fine settimana successivo.
Del resto io sono stato 7 anni con un ragazzo che abitava a 2 chilometri da casa mia e una volta che in preda ai fumi della febbre gli ho chiesto di venire da me per portarmi le medicine mi ha detto: “ma come faccio, sono senza mezzi!”. Certo direte, bello stronzo, ma questo è e tutto sommato avere un fidanzato a un tiro di schioppo che non può raggiungerti per un motivo tanto idiota è frustrante tanto quanto avercelo in orbita geostazionaria sulla MIR.

venerdì 11 marzo 2011

DUE MONDI

Ci sono due mondi.
Due modi di intendere ciò che è buono da quello che è sbagliato. Visioni diametralmente opposte, stridenti e in conflitto tra loro. Io so da che parte sto e quelli che sono schierati come me su questo lato sanno quanta rabbia, dolore e frustrazione si debbano ingoiare, assorbire e, quando siamo in grado, contrastare.
Siamo immersi nella rozzezza di pensiero, nella sicumera dell'arroganza, nella desolazione dell'ignoranza. E restare a galla non è per niente facile. Poi vedi queste due testimonianze che non hanno bisogno di esegesi e capisci: sarà pure dura, costerà fatica, ma io lo so di stare dalla parte giusta.

Il primo è la ripresa di un matrimonio gay, il secondo è un estratto dell'intervista di Nando, concorrente del GF. Non ho trovato il video per ora però leggere il "cuore" del suo pensiero.

Wes and Mark from Key Moments Productions, Inc. on Vimeo.





















“Persone quelle gay, però io ce sto a distanza perchè… perchè i gay nun me piace proprio. Pijate una pasticca che poi guarisci, te devi da solo da curà”









grazie a River e Queerblog per i contributi.

mercoledì 9 marzo 2011

L'OMOSSESSIONE DI LUCA DI TOLVE




Insomma Luca Di Tolve, un sedicente ex gay ora sposato con una donna, ci racconta che dopo essersi fatto anche i pali segna neve di Cortina ha visto la Madonna (e giuro che non è una battuta ma è quanto ha riferito) che lo ha salvato dalla sua omosessualità trasformandolo in un probo eterosessuale. E lo condivide pubblicando un libro (tremi la Parodi!!) e rivelando di essere lui quel famoso Luca che era gay della canzone di Povia (e fattene pure un vanto, piuttosto confesserei di essere stato io l'assassino di Yara che essere stato l'ispiratore di quella porcheria).
A parte il fatto che immagino che se la Madonna dovesse fare un miracolo renderebbe muta la Santanché ma, caro Luca, il termine "salvare" mi sembra un po’ esagerato. Ammesso e non concesso che crediamo alla storia della conversione (del resto c’è chi crede che le piramidi le hanno fatte i marziani e che Minzolini faccia una buona informazione) perché se la tua esperienza con la frociaggine è stata tanto traumatica devi pensare che sia per tutti un pericolo da cui essere “salvati”? se è funzionata così per te, siamo tutti felici (e scettici) ma vivitela come un’esperienza intima, privata, del resto non hai trovato la cura al cancro e possiamo vivere benissimo anche senza la tua continua testimonianza. Ma soprattutto, puoi incentrare tutta la tua vita sull’omosessualità o sulla negazione di essa? Sei come le anoressiche che pensano solo al cibo, i preti che parlano solo di sesso e Berlusconi che inneggia alla libertà. Insomma un’ossessione per quel che si vorrebbe ma ci si impone di non avere.

martedì 8 marzo 2011

8 marzo: tra mimose e Minogue.



















L8 marzo e il gay pride in Italia cos’hanno in comune? La loro totale inconsistenza e l’amara ironia di voler celebrare un’emancipazione che non solo non sta avvenendo ma che negli ultimi anni, se è possibile, si è involuta.
Prendete un quotidiano qualsiasi, leggete tutti i fatti di cronaca e vi renderete conto di quanto questo sia vero. Non ci sono avvenimenti nei quali le donne o gli omosessuali non ne escano malamente. La politica è sempre più impigliata tra le mutande delle mignotte televisive che con il loro comportamento fanno più male alla categoria di quanto possa il maschilismo più becero. Le cronache nere dei settimanali cartacei e televisivi campano di stupri, omicidi e soprusi come se le donne fosse state messe sulla terra per assorbire la frustrazione violenta o libidinosa degli uomini. E persino nelle rubriche più frivole è tutto un mostrare tette al vento in prove ricompensa isolane.
Gli omosessuali invece sono ormai uno spauracchio politico da sacrestia, perfetto da sventolare come lo straccio di un untore ogni qual volta che un deputato deve fare un carico di voti. La crisi della famiglia? Colpa dei gay. Il prezzo del greggio? Colpa dei gay lo stesso. Le motivazioni? Sempre vaghe, fumose se non surreali. Quando poi abbiamo l’opportunità anche noi di essere protagonisti della cronaca ci riusciamo solo grazie a qualche pestaggio o accoltellamento.
La storia dell’altra faccia della medaglia delle donne e dei gay che si fanno il culo per emanciparsi (scusate l’involontaria allusione) è cosa altrettanto nota e ugualmente retorica: ci mancherebbe pure non ci fossero e di sicuro a loro va tutto l’onore e il merito che daremmo a Don Chisciotte, se davvero fosse esistito. Ma il problema è più grande della somma di tutte le loro buone volontà e se oggi importanti e preoccupanti movimenti sociali e associazionistici spingono con arrogante ignoranza verso una “rivisitazione” delle leggi sull’aborto e il divorzio vuol dire che in 30 anni, incredibile ma vero, la marcia innescata è stata la retro.
Otto marzo: la festa delle donne. Verranno sradicate piantagioni di mimose, comprati chilometri di tubi di Baci e così la coscienza dei coccodrilli sarà placata. Femmine sguaiate e inconsapevoli assieperanno pizzerie allietate da spoglarellisti dai nomi di tamarrissimi venti sahariani, fingeranno pudore quando si strusceranno ai loro corpi oleati come pistoni di un motore e poi a casa prima di mezzanotte perché il “negro day” è finito ed è arrivato il momento di mettersi a pulire i piatti della cena preparata prima di uscire e lasciata in frigo per il marito.
Qualche politico, meglio se uomo, farà dichiarazioni sulla necessità di una parità numerica in parlamento, i sindacalisti: copia e incolla, badando soltanto a riportare il discorso in ambito lavorativo davanti a un pubblico interessato quanto i ragazzi de Il Grande Fratello a un simposio di semiotica tenuta da Eco.
Otto marzo: concerto di Kylie Minogue. Altra data miliare per quel milione di gay che sta dando vita ad un esodo lungo il paese per raggiungere Milano come non se ne vedeva dai tempi di Mosé e che non vedremo mai in nessuna manifestazione di rivendicazione politica. Lo so che tra di loro ci sono anche attivisti pluridecorati sul campo e sarebbe ridicolo e veteroattivisa se pensassi che non si possano conciliare un sit-in davanti al Parlamento con 2 cocktail in discoteca ma è proprio questo quello che ci manca: la versatilità (non quella sessuale). La capacità di poter essere impegnati e frivoli, senza temere che l’una cosa limiti o infici l’altra invece, mia sensazione, per carità, sembra che tu possa indossare solo o la kefiah o le canotte strippate e che sia impossibile far convivere una coscienza per indignarti davanti ai soprusi con un incredibile senso del ritmo per ancheggiare in discoteca.

martedì 1 marzo 2011

MI ADEGUO.

Dopo quasi 4 anni di blog anche io mi adeguo dopo tante resistenze a quanto hanno già fatto tanti altri amici bloggaroli: mettere il servizio di scrematura dei commenti ricevuti.
Mi sono seccato del vile anonimato e dell'offesa fatta tanto per farla. Mi sono stancato di insulti travestiti da commenti, sterili e ripetitivi che in questi ultimi tempi si sono fatti più insistenti e fastidiosi e siccome non meritano neppure delle repliche, semplicemente finiranno nel cestino.
Da sempre qui tutti hanno potuto esprimere il loro parere, anche con toni accesi, ma in una direzione che era il confronto. Spero che quanti intenzionati a questo tipo di scambio continuino a farlo ma per gli altri non c’è più posto. Sorry.
Premetto già a quanti grideranno alla censura che non si tratta di questo. Evitiamo paragoni con le politiche dittatoriali di questo o quel governo. Questo blog è come il salotto di casa mia, tutti possono entrare e sono i benvenuti ma se pretendono di venire solo per insultarmi allora troveranno la porta chiusa.

COME CAMELIA



















Sta arrivando la primavera. Anche sul mio balcino. Me lo ha annunciato stamattina la Camelia che fino a ieri sera aveva i boccioli serrati come gli occhi di un neonato mentre stamattina ha iniziato a mostrare i primi lembi candidi dei suoi petali.
La primavera è una stagione che adoro perché è una tiepida e piacevolissima anteprima dell’estate, che mi piace ancora di più. Si dice che i gusti cambino con l’età e che il tempo che passa modifichi le nostre preferenze tanto quanto i tratti somatici.
Per anni quindi sono stato convinto che fosse l’inverno la mia parte dell’anno preferita.
Forse perché coincideva con il mio compleanno o forse per quell’iconografia calda e confortevole fatta di camini scoppiettanti, cioccolate calde e tiepidi bivacchi sulle poltrone a guardare film alla tv. Capirai, io che ogni volta che ordino un caffè americano mi ustiono l’esofago perché non ho il tempo di aspettare che si freddi per l’insofferenza all’attesa e non riesco a stare fermo in un posto più di dieci minuti, figuriamoci quanto posso godermi un pomeriggio sdraiato con un plaid sulle gambe a vedere il DVD de “Il signore degli anelli” mentre fuori fa freddo e soffia la bufera (test realmente effettuato la scorsa domenica. Tempo di resistenza: fine dei titoli di testa).
No. Io sono per le stagioni calde, il sole che splende, le gambe scoperte e le bibite ghiacciate. Quel clima che ti libera e ti fa uscire così come sei, che non ti impegna ad abbinare più di una maglietta con un paio di ciabattine di plastica, che ti fa andare in giro fino a che l’ultima frusta di sole non schiocca all’orizzonte. Il caldo quasi assillante che non ti da tregua, ti perseguita ovunque.
Il mare, il sole, la birra comprata al volo dagli ambulanti lungo il bagnasciuga e la sensazione dei pori che con il calore si allargano come fossero piccole bocche pronte a succhiare ogni raggio di sole, la sabbia che ti scrolli dai piedi prima di rientrare in macchina, i ragazzi in costume che giocano a beach volley e la piccola pozza di sudore che ti si forma sull’incavo della schiena durante la pennichella pomeridiana.
E con i primi caldi finalmente si risveglia anche la mia sessualità letargica, a sangue freddo. Ancora qualche giorno quindi e si riapre anche la mia stagione venatoria ed è un istinto che si armonizza con il ritorno delle rondini, lo stoccaggio dei maglioni e lo sbocciare definitivo della mia Camelia e fa sentire anche a me parte di una natura che vive.