domenica 26 dicembre 2010

TIP OF THE DAY: HANNO ZITTITO SCARFACE


Insomma fuori nevica inesorabilmente. Detesto la neve. Non la trovo romantica a meno che uno non stia in uno chalet in montagna, davanti a un caminetto acceso, con una bottiglia di Cristal e uno o più uomini distesi accanto a te sotto una coperta di visone. E non è questo il mio caso. Stando in città è solo una rottura di palle e quindi mi ritrovo costretto in casa provando a rimorchiare sulle chat ma tanto non ti si coprono perché con la neve non li tiri fuori casa neppure se gli appicchi fuoco a casa. Quindi dopo solo 25 minuti passati a capire come funziona l’impianto televisivo dei miei amici che è una cosa così complicata che piuttosto ti verrebbe voglia di leggere un libro di Cohelo riesco ad accenderlo.
Perché un capolavoro si dice tale? Perché per quante volte lo trasmettano tu te lo guardi.
Quindi mi sto rivedendo per la X alla N volta Scarface con Pacino.
All’inizio credevo fosse un difetto audio poi ho capito che qui in America censurano le parolacce, credo almeno in fascia protetta.
Ora io mi chiedo: come ti viene in mente di passare un film del genere di mattina se poi devi eliminare tre quarti del sonoro visto che i dialoghi sono un turpiloquio continuo? In pratica sto vedendo un film muto…

sabato 25 dicembre 2010

ERANO LE 23 DI UNA VIGILIA DI NATALE.

12 minuti impiegati da casa per arrivare a una stazione della metro in tempo per raggiungere un’amica prima di mezzanotte.
12 vigilie incontrate lungo la strada.
12 alternative a tombole e capitoni.













venerdì 24 dicembre 2010

"NON HA SPICCI?"




















Ieri entro in una cartoleria per comprare una cartolina augurale per un regalo. È una botteguccia dove fanno tutto a mano e dove di conseguenza costa tutto talmente tanto che basterebbe solo quella come presente.
Vado alla cassa e prendo il portafogli per pagare. Anche se è vero che qui anche un pacchetto di gomme lo puoi pagare con la carta preferisco il cash. Tiro fuori un cartoccio di biglietti verdi manco fossi un pappone della Time Squame di Scorsese. Sono tanti resti di taxi, a vederli sembra un milione di dollari ma in realtà sono tutti pezzi da uno e comunque non mi bastano per il prezioso cartoncino. Porgo quindi un biglietto da 50. Mentre glielo allungo già sentendo un brivido lungo la schiena. E come presupponevo per un paio di esperienze già vissute in settimana, la tipa inizi a guardarli con terrore manco le avessi dato un mattone di plastico con legato sopra un cronometro. Li passa controluce, li gratta, ci manca solo che li mastichi e poi ha fatto tutto. Poi mi chiede “non hai spicci?”. “No”, e comunque li dovrò usare ‘sti 50 dollari! Alla fine mi da il resto con un sorriso gonfio di rancore.
Allora mi pare di intuire che qui hanno tutti il terrore di beccare soldi falsi quindi tagli grossi: no, grazie! E se giri con 100 euro fanno prima a cambiare un governo che darti il resto.
I tassisti sono anche peggio perché non accettano tagli più alti di 20 dollari. Vero, puoi pagare con la carta ma vi dico che comodo dover stare al buio a cercare la fessura per passarla, aggiungere sul display il tip (che poi glielo convertiresti con un pugno in faccia visto che come quelli romani gli dai un indirizzo e loro non sanno mai dove sia quindi sono IO che mi perdo in casa andando dal bagno alla camera da letto, a dover fare da guida), tutto questo mentre il tassista sbuffa pure perché sei impacciato, lui, che fa il fico quando è arrivato 20 minuti prima di te a NY e già si sente un working manager.
Se solo penso che ancora non ho tirato fuori dal reggipetto i pezzi da 100 mi viene la febbre. O li spendo per comprare droga agli angoli della strada altrimenti qui li puoi solo usare per fare origami.
In tutto questo quindi mi chiedo: ma se i negozianti sono tanto diffidenti e ti fanno sentire come se quei soldi li avessi rubati, ma per quale diamine di motivo la banca d’america continua a stamparli invece di produrre solo fiches da gioco!?

martedì 21 dicembre 2010

DALLA QUINTA CON AMORE





















Oggi mi sono fatto un giro sulla 5° per vedere le vetrine dei grandi magazzini addobbate così bene che farebbero convertire al Natale anche un kamikaze talebano.
La cosa divertente del passeggiare lungo quest’autostrada che loro invece di ostinano a chiamare semplicemente avenue è notare quanto risalendo verso nord l’inglese lasci sempre più il posto alle lingue straniere dei dannati dello shopping. Più procedevo, più provavo una sensazione più familiare e non tanto per le griffe dei negozi di casa nostra quanto per il fatto che mi sono reso conto che si parlava solo italiano con apice di romani tra Abercrombie e mega Apple store: a quel punto mi sono sentito direttamente a campo dei Fiori.
Insomma arrivo davanti Tiffany per vedere le vetrine e davanti all’ingresso c’era una chimera composta da Cristian De Sica, Massimo Boldi e Alessia Fabiani. Con il cellulare (i phone, manco te lo sto a dire) parlava a voce talmente alta che poteva anche risparmiarsi il costo della telefonata perché i parenti a Crotone (l’accento era così pieno di aspirate da fare concorrenza al vento dell’Hudson).
“Va bene, allora ne prendo due di braccialetti? Ma pure per la piccola? Fai una cosa, pensaci poi mi chiami e mi dici che altro devo prendere. Rientro che fa un cazzo di freddo”. Insomma stava facendo teleshopping come io avrei potuto farlo chiedendo a mia madre se prenderle anche i pomodori al banco della verdura.
È vero che il dollaro per noi è abbastanza leggero ma quando si tratta di fare gli sborni, non c’è niente da fare, noi italiani siamo i primi nel mondo.


Tip of the day: voglio fidanzarmi con un dermatologo. Qui in palestra vanno tutti scalzi negli spogliatoi. E vi dico solo che a terra c’è la moquette.

sabato 18 dicembre 2010

NEW YORK E TUTTO QUELLO CHE HO POTUTO FARE IN MENO DI 48 ORE



















Mettiamola così: non siamo partiti con il piede giusto. Se questo viaggio fosse una torta da 10 fette, diciamo che l’Americanino ne era una soltanto. Però quando l’ho visto l’altra sera e ho notato un lo stesso trasporto che avrebbe potuto avere la mummia di Mao qualcosa mi ha fatto intuire ci fosse l’inghippo. E così è stato. A domanda, l’indomani, lo sventurato rispose: “mi sto vedendo con uno da una settimana e m’ha preso subito alla grande (testo liberamente adattato dall’originale)”.
Vabbé, ci sono rimasto male, m’ero prefigurato corse in slitta insieme lanciati verso Central Park, ora devo ridefinire il mio tragitto. Grazie a dio i miei amici sono fantastici e mi supportano pur non avendomi promesso di segarlo con la macchina appena esce dall’ufficio.
Detto questo, passiamo al clima: freddo? Mah, non sarò un lappone ma io non lo sto patendo particolarmente.
Cellulare americano: preso (per amici locali ed eventuali puntelli, peccato abbia perso il numero stampato dal negoziante e neppure posso autochiamarmi su quello italiano per vedere il numero perché ha un limite sul territorio nazionale).
Palestra: iscritto. A Chelsea, dove anche gli abeti di natale in vendita sui marciapiedi sono gay. Ieri prima sessione. Ho fatto petto spalle e soprattutto occhi. Non sapevo dove posarli prima. Il range oscillava tra il “bono” e il “me lo farei anche su un letto di chiodi”. Donne: in traccia. Ovviamente depresse come lo possono essere loro quando nessuno le degna di uno sguardo.
La città, come direbbe mia madre, è una bomboniera ma ancora non mi sono tuffato nel “core” del Natale spinto della quinta e dintorni.
Oggi è sabato. New York è il mio villaggio. E come la donzelletta vivo l’aspettativa del weekend mirando ed essendo mirato e in cor rallegrandomi.
Ve faccio sape’…

lunedì 13 dicembre 2010

-3: raccomandazioni ed esclamazioni.

























Ormai mancano 3 giorni alla partenza e, scusate la poca eleganza, ma io ormai sto facendo applicazioni di lozioni lenitive sui genitali a forza di apotropaizzare perché fino a che non tocco suolo statunitense non mi fido che andrà tutto bene.
La migliore delle tradizioni illuministe vorrebbe quindi che per fronteggiare strali di sfiga o invidie recondite uno si tenesse tutto per se e che sparisse dall’oggi al domani senza lasciare tracce.
Ma a parte il fatto che come diciamo da queste parti “non mi so tenere un cecio in bocca”, io un po’ cerco di non dare retta alla scaramanzia, un po’mi da una soddisfazione piuttosto grossolana annunciare urbi et orbi che vado a New York per le vacanze di Natale, motivo per cui ora non c’è essere vivente sulla faccia della terra che non sappia della mia partenza.
Il 98% delle persone ha reagito esclamando “beato te!”. Che insieme a “hai messo su qualche chilo?” è la frase che più odio al mondo. Ma beato di cosa? Non è che abbia guadagnato il biglietto aereo vincendolo a un gratta e vinci. L’estate scorsa mentre era tutto un coro di “io vado 3 settimane in Grecia”, “io al Circuit di Barcellona”, “io sul piroscafo con Falco, Briatore e la Gregoraci” io mi sono fatto la villeggiatura sul trenino per Ostia. Oltretutto ho applicato una politica di risparmio che in confronto quella dei tagli di Tremonti è una colletta scolastica per il regalo alla maestra. Non mi lamento certo dei sacrifici fatti ma “beato te” un paio di cefali!
Se poi accenno a qualcuno il grande dilemma del “cosa mettere in valigia” esce fuori una doppietta di frasi che è la seguente: “ma dai compri tutto lì”, seguita dopo un secondo di riflessione da “ma copriti bene che fa un freddo boia”. A me questo invito consumistico a partire solo con un paio di mutande (ovviamente di flanella) e farmi lasciare dal taxi direttamente davanti a un negozio di abbigliamento mi sa di immigrato che non aspettava altro per rifarsi il guardaroba. Certo sarei falso come Giuda se non dicessi che un po’ di shopping uno può anche farlo, ma che debba quasi motivare il viaggio dall’altra parte della terra perché si spende bene come se stessimo parlando del banco della frutta di Luisa al mercato, mi sembra una cosa un po’ piccola rispetto al miliardo di cose da fare e da vedere a NY. Che poi che altro mi devo comprare che non ho già? Quello che posso permettermi ce l’ho e quello che mi piacerebbe non me lo potrei comprare neppure se il dollaro cadesse in picchiata e venisse scambiato al prezzo di due conchiglie e un dattero. Quindi…
Ah, si certo, la frase filotto: “portati cose pesanti che fa freddo!”. E vabbé, tanto si sapeva e comunque a me dopo che mi hai dato un tetto, una connessione a internet e una tazza di caffè bollente può pure venire la terza glaciazione che tanto non m’ammazza nessuno.
Ma invece il caveat che non mi aspettavo è quello che mi sono sentito dire da tanti: “mi raccomando attento alle malattie che lì è pieno di sieropositivi”.
Quando uno mi dice una cosa del genere un po’ la prendo come un insulto perché nonostante gli abbia appena detto che vado per trovare materiale su cui scrivere, che è un viaggio alla ricerca di me stesso (lo so che potevo anche andare a Camaldoli se era per questo, ma il mio “me stesso” è più facile che lo trovi lì che tra i silenzi monastici), che ho prenotato spettacoli a Broadway e lo “Schiaccianoci” del NY City Ballet, te lo dice come se davanti avesse uno di quei bavosi che parte per la Thailandia con dei giocattoli in valigia per adescare prede sessuali agli angoli delle strade.
Però siccome “la morte ma non l’ipocrisia”, anche qui, se disgraziatamente un bono mi dovesse dare il tormento per voler a tutti i costi venire a letto con me, non sarò certo io a buttarlo giù da letto e buttarlo fuori di casa. Tantomeno visto che, come mi hanno detto molti: “fa un freddo boia!!”.
E un morto assiderato sulla coscienza non ce lo voglio avere.

sabato 11 dicembre 2010

-5: THE CAT IS ON THE TABLE.


















Si chiama “Capire e farsi capire in inglese”.
È un frasario che ho comprato qualche settimana fa in vista del mio viaggio a New York. Io adoro i frasari. Ad ogni viaggio ne compro sempre uno della lingua del luogo. Usato: 0, ma mi piace spulciarlo qua e la.
L’ho preso perché magari sarei anche in grado di discutere in un inglese quasi impeccabile tutte le implicazioni politiche che ci sono dietro alla dissidenza di Liu Xiaobo davanti all’assise plenaria al palazzo di vetro dell’ONU ma se dovessi dire “sono allergico al glutammato di sodio” nell’impossibilità di farlo probabilmente morirei con la faccia riversa nel piatto.
Ora quindi oltre a sapere come evitare cibi potenzialmente letali e scoprire in quante parti è composto il motore di una macchina (fossi lesbica, apprezzerei di più ma tutto fa cultura) mi sono ritrovato al capitoletto dedicato al sesso.
La lista delle frasi seguono la cronologia di un approccio reale passano da quelle più soft come: “ti andrebbe di andare da qualche parte stasera” fino a quelle di chiusura di un rapporto: “credo che tra di noi non possa funzionare”.
Ma come in tutte le relazioni, tra questi estremi c’è sempre un lasso di tempo (che va dai 5 minuti in un bagno a giorni di travolgente passione) che ha tutta una sua ritualità verbale ben sintetizzata in questo libricino. Alcuni banali ma sempre efficaci (“hai un bel sorriso”, “balli benissimo”) ad altri che speravo fossero spariti da secoli (“scusa, ma ci conosciamo?”) che se ancora qualcuno ci casca come minimo merita di ritrovarsi di fronte il serial killer degli idioti.
C’è persino il paragrafo sui “rifiuti” che trovo francamente obsoleto dal momento che se qualcuno non ti piace, semplicemente puoi ignorarlo senza neppure addurre una scusa.
La frase di confine tra la sezione romantica e quella più pruriginosa è “ti va di entrare un momento?”, dopo di che la lettura diventa molto più divertente ed illuminante.
“Voglio fare l’amore con te”- ma se sei riuscito a catturarlo facendolo entrare in camera questa risulta una domanda pleonastica;
“Hai un preservativo?”-beh, sesso sì ma con coscienza!
“Non lo farò senza protezione!”- che detta così ha un tono melodrammatico da eroina di romanzi ottocenteschi, ma anche qui ne appreziamo lo scrupolo;
“penso che dovremmo fermarci adesso”- mai sentito dire in vita mia ma si sa che i maschi sono dei maiali, questa è un’evidente frase introdotta per il pubblico femminile;
“sto venendo”- beh, mi auguro che uno l’abbia imparato a dire già nel primo capitolo dedicato agli “spostamenti”;
“non ci riesco”- imbarazzante ma può capitare;
“non ti preoccupare, faccio io”- mortificante, ma può capitare anche questo.
E dopo la passione si fanno sempre largo i sentimenti con le solite frasi noiose:
“sono innamorato di te”
“Ti amo”
Penso stiamo bene insieme”; ma se dette esattamente così, senza neppure inframezzarle con una sigaretta o un altro paio di fellatio non può che causare la reazione illustrata ne sottoparagrafo: “problemi”.
“Non credo funzionerebbe tra di noi” (questa la so capire anche in aramaico antico);
“preferirei restassimo amici”, più umiliante per chi la dice che per chi se la sente raccontare;
“Non voglio vederti mai più”, tipica esclamazione da femmine un po’ stile “Attrazione Fatale”.
Così, delle frasi che solitamente escono dalla bocca solo quando sei diretto dagli ormoni come fa un ventriloquo con il suo pupazzo, te le ritrovi qui stampate, crtistallizzate, raffreddate e deprivate di tutta l’emotività. E se la passione del momento te le fa sembrare tanto originali e travolgenti (o per lo meno non così scontate), lette così freddamente, rivelano la loro banalità semantica, come i dialoghi di un film porno.
Ad ogni modo, ironia dell’impaginazione, dopo tutto questo turbinio di sesso e sentimenti, di approcci e rotture, sapete con che domanda inizia la sezione successiva? “A che ora apre la vostra galleria d’arte?”. E la passione lascia il passo alla borghesia.

martedì 7 dicembre 2010

UN PO' DI PEPE A ROMA



















La mia amica Egizia ha curato l’evento d’inaugurazione dello store romano di Pepe Jeans a via del Corso. “Vieni all’inaugurazione” (il punto interrogativo non l’ho dimenticato ma semplicemente omesso da momento che lei non richiede ma impone). Siccome la conosco bene e so che qualora non fossi andato sarebbe venuta a cercarmi sotto casa per prendermi a calci nel sedere, nonostante la pioggia e nonostante il mio culo pesante, mi sono presentato in negozio zuppo come un filtro per il te. Facevo talmente schifo che il fotografo all’ingresso ha messo l’otturatore all’obiettivo per evitare che al mio solo passaggio si incrinasse.
Mentre continuavo a gocciolare mi sono dato uno sguardo in giro. Pezzi davvero molto beli soprattutto quelli ispirati ai lavori di Warhol e spulciando nel reparto femminile (indubbiamente è sempre quello più divertente) mi sono reso conto ancora una volta di quanto sia dura essere una donna. E se in cima alle loro disgrazie c’è quella di avere relazioni sentimentali con gli uomini subito dopo viene l’incredibile quantità di vestiti tra i quali dover scegliere prima di uscire di casa. Tra accessori, trucchi e scarpe, sono convito dovrebbero guadagnare almeno il 20% in più rispetto a noi e se riescono ad essere comunque sempre carine e eleganti nonostante i periodi di crisi e recessione non può che essere la dimostrazione della loro superiorità genetica.

lunedì 6 dicembre 2010

6-12-1973

All’incrocio tra via di Portonaccio e via Prenestina c’è un angolo di muro completamente ricoperto di piccole lastre di marmo. Alcune a forma di cuore. Quasi tutte hanno come intestazione un PGR scritto in lettere di ferro battuto.
Tra queste ce n’è una con una A. e sotto una data: 6-12-1973. Quella l’andarono ad appendere i miei genitori poche settimane dopo la mia nascita. Il frutto di tante preghiere, di scale sante fatte in ginocchio da mia nonna e la consultazione di diversi ginecologi, alla fine aveva dato il frutto desiderato.
Il mio compleanno oggi celebra anche l’amore struggente di chi mi ha voluti qui a tutti i costi.

giovedì 2 dicembre 2010

DIVA MON AMOUR
























Sul numero in edicola di vanity Fair c'è un marchettone prenatalizio di diverse pagine sui 100 regali di Natale da fare a partire da 50 Euro.
Ma quest'anno ce li frego io e vi propongo un libro appena uscito che di euro ne costa mooolti meno è fa mooolto più bene di una centrifuga di sedano e carote.
Il titolo è “Diva Mon Amour” (casa editrice Azimut), una raccolta di racconti dedicati alle più grandi icone gay della storia che come saprete in genere sono personaggi disgraziati, possibilmente privi di qualsiasi talento ma le cui tragiche vite le hanno rese tanto care ai gay che in quanto a melodramma non scherzano.
Uno di questi racconti è mio ed è dedicato alle quattro tardone di Sex&The City, altro poker di archetipi omoricchioni.
Ma ci sono anche fior di scrittori che hanno partecipato che sono di un numero di poco inferiore alle comparse usate per girare “Ben Hur”.
La cosa meritevole di questa operazione però non è quella di avermi fatto pubblicare un racconto quanto quella che l’intero incasso andrà in beneficienza per la lotta all’AIDS che, vale sempre la pena ricordare, è ancora una malattia incurabile, che fa soffrire, che emargina e che uccide e se il nostro “talento” per una volta può servire a qualcosa di davvero utile, ben venga. E se i vostri soldi possono andare ogni tanto a fare del bene, ben vengano ancora di più.



Ecco l'leenco delle Dive e dei loro adoranti:

Nancy Reagan
Costantino della Gherardesca

Carrie Samantha Miranda Charlotte
Insy Loan

Viola Valentino
Daniele Vecchiotti

Madonna
Gianluca Reina

Wonder Woman
Sergio Calvaruso

Joan Crawford
LaKarl Du Pigné

Loredana Berté
Luca De Santis

Marlene Dietrich
Quince

Loretta Goggi
L.R. Carrino e Ettore Petraroli

Laura Pausini
Emiliano Reali

Britney Spears
Davide Martini

Patty Pravo
Michele Gabbanelli

La Lupe
Alessio Arena

Derek Jarman
Andrea Adriatico

W.H. Auden
Franco Buffoni

mercoledì 1 dicembre 2010

UN FIOCCCO ROSSO DA LEGARSI AL DITO.
























Ormai non se ne parla quasi più e la sua commemorazione ha la fiacchezza di un evento dall'eco distante eppure vale ancora la pena ricordare in questo 1° dicembre che di AIDS ci si ammala, più che negli ultimi anni, che è una malattia la cui cura ancora non è stata trovata (e forse non la si vorrà mai trovare per motivi economici, con buona pace delle teorie del complotto) e che sebbene le aspettative di vita siano migliori e più lunghe rispetto a 15 anni fa non è facile conviverci.
Vale ancora la pena di ricordare che i più colpiti sono i giovani, ignoranti in campo di sesso, che vivono in uno stato come il nostro ancora più colpevolmente ignorante in fatto di prevenzione. E più in là del nostro ombelico, ricordiamoci anche che in Africa ed Estremo Oriente l'AIDS è una piaga endemica che non fa che martoriare aree già fin troppo flagellate da ogni sorta di sciagura.
Il potere di rimozione della nostra coscienza collettiva ci ha illuso che l'AIDS fosse diventata ormai una malattia cronicizzabile al pari del diabete ma non è così perché anche nella nostre splendide "ipad society" c'è ancora chi di AIDS muore perché è un virus subdolo, multiforme e mutevole e perché a volte la cura è tanto nociva quanto il male che cerca di sconfiggere. Per questo ricordiamoci ancora che esiste un solo modo per contrastarlo: il preservativo. Fare sesso senza è un atto irresponsabile verso di noi ma soprattutto nei confronti degli altri.
In fondo, cosa costa? Basta una pellicola spessa appena una frazione di millimetro può tenere il virus miliardi di chilomentri alla larga.

martedì 30 novembre 2010

QUANDO LA COPPIA TROPPIA.


Una volta in un film sentii dire: "in 2 è una coppia, in 3 un'ammucchiata".
Ecco cosa ne penso delle troppie.
INSY

mercoledì 24 novembre 2010

PILLOLA ANTI HIV. MI SFUGGE QUALCOSA.

















Scusate ma solo io trovo ci sia qualcosa che non torni in questo farmaco e nella sua sperimentazione? (ecco l'articolo)

1)Come hanno calcolato la percentuale di contagio del gruppo di soggetti sottoposti a sperimentazione? Li seguivano ad ogni atto sessuale?
2) se chi lo ha sperimentato ha usato comunque anche il preservativo come si fa ad attribuire il merito della protezione all'uno piuttosto che all'latro?
3) l'assunzione quotidiana non è quantomeno disagevole soprattutto se si considera la non totale preservazione da parte del virus?
4) come calcolano l’aumento di percentuale di rischio a fronte di un uso non quotidiano del farmaco?
5) come mai il campione testante era composto solo da omosessuali, trans e bisessuali?

Io non sono un medico ma almeno da quel che si legge la cosa non è chiarissima.
Oltretutto la necessità di un dosaggio quotidiano mi fa sorgere il sospetto che possa essere una trappola commerciale che fa leva sulla paura dell'AIDS (tant'è che è già acquistabile).
Ben vengano comunque sperimentazioni che abbiano il fine di debellare o ridurre il contagio da HIV ma credo si debba puntare molto più sulla cura dal momento che la prevenzione migliore e più efficace, a tutt'oggi, non è l'astensione come dice Benedetto ma il profilattico.

martedì 23 novembre 2010

UNA PICCOLA CONSIDERAZIONE SUL CONCETTO DI INFALLIBILITA' E DI MORALE.






















Dio è infallibile. Quello che crea è perfetto. Quindi se l’omosessualità è congenita (come ipotizza il Santo Padre) è voluta così da Dio. Se poi però il Papa dice che questa essenza non è moralmente giustificabile non mette in discussione l’infallibilità del Creatore? L’omosessualità è sicuramente una devianza (non in termini di morale, ovviamente) rispetto a norma fissata sui numeri.
E se la maggioranza determina il concetto di “sano” e se implicito nel concetto di congenito c’è l’impossibilità da parte del soggetto di determinare la sua essenza perché non pretende anche dagli storpi di correre i 200 metri a ostacoli? Ai cechi di dipingere? Perché non condanna moralmente anche chi nasce idrocefalo o ritardato perché diverso dal?

mercoledì 17 novembre 2010

UNA STORIA D'AMORE E DI RABBIA.

Per tutti quelli che con ostinazione e cieca ignoranza vogliono mortificano l'omosessualità negandoci la capacità d'amare, giudicandoci indegni di sentimenti profondi, osteggiando il diritto ad un'unione che sia sancita e riconosciuta. E anche a tutti quei leader politici che in monologhi autopromozionali si "dimenticano" di citare le nostre istanze nella lista di ciò che dovrebbe essere un valore per la sinistra. Una storia d'amore come tutti vorremmo che fosse e come non vorremmo finisse mai.

lunedì 15 novembre 2010

-30

























Non sono mai stato un dormiglione ma ultimamente sono io a svegliare la sveglia. E questo succede ormai anche nel fine settimana. Ci provo a restare nel letto, a concentrarmi per riprendere sonno, ma il cervello una volta acceso non riesce a fermarsi e iniziando a macina pensieri.
Provo comunque a godermi con calma tutto quel tempo che resta prima di dover uscire di casa. Per molti questo è solitamente brevissimo e si scapicollano per infilarci dentro la doccia, la colazione, la scelta degli abiti da indossare e una controllatina al proprio profilo su Facebook (o latri social/erotic network). Io invece, anche se forzatamente, posso fare tutto questo con moltissima calma.
Oggi fuori c’è un tempo da lupi. Piove e fa freddo e mi godo il conforto di chi non è ancora costretto ad uscire. Il rumore del traffico è un lento crescendo che inizia a partire dalle 6. Alle sette, arriva il camion dei rifiuti a svuotare i cassonetti. E’ sempre puntuale. Alzo la serranda ma non troppo per evitare che la luce della lampada faccia della mia stanza un teatrino ancora più visibile a quei 20 appartamenti del palazzo di fronte che affacciano sul mio (spiarli è un piacevole passatempo del quale posso anche io a mia volta esserne vittima).
Attraverso il vetro guardo le persone giù in strada che si muovono con passi brevi e rapidissimi, avvolti da sciarpe e cappotti. Alcuni raggiungono la fermata del bus che inizia ad affollarsi.
Mi rimetto a letto e sotto la coperta con i piedi vado a cercare il tepore lasciato lì dal mio corpo.
Accento la televisione, seguo il telegiornale che quasi sempre propone le notizie riscaldate della sera precedente poi mi alzo, mi preparo il pranzo che mi porterò in ufficio e mentre aspetto che si cuocia mi sdraio nuovamente nel letto. Incrocio le mani dietro la nuca e guardo passivamente le notizie sul calcio (figuriamoci con che interesse).
Insomma nonostante le gocce di biancospino, continuo a dormire sempre pochissimo. Saranno i pensieri.
E tra un mese esatto sarò a New York.

mercoledì 10 novembre 2010

ROMBO DI TUONO





















Quando l’anno scorso venne il carrattrezzista per prendere e portare al cimitero dei rottami il mio motorino mi disse chiaramente che sarebbe stato più adatto portare paletta e rastrello per rimuovere quel cadavere macilento che orami era diventato il mio scooter.
Pensai quindi che con l’acquisto del nuovo avrei dato fine all’umiliazione di farmi vedere in giro con un “qualcosa” che viaggiava su due ruote e andava a benzina ma che aveva il parabrezza spaccato, la marmitta legata col fil di ferro, il cruscotto tenuto con il nastro isolante e il cavalletto allentato che toccando terra creava scenografiche scintille apprezzabili soprattutto all’imbrunire (ah, dimenticavo, una busta nera della mondezza ne copriva il sellino squarciato).
Regola numero uno, quando devi comprare qualcosa: mai rivolgersi ad amici.
Regola numero due, quando devi comprare qualcosa: mai rivolgersi a parenti.
Regola numero tre, la più importante di tutte, quando devi comprare qualcosa: mai rivolgersi ad amici di parenti.
Contravvenendo a 3 regole su 3 mi sono fidato degli amici di mio fratello per acquistare un SH 150 (almeno così mi hanno detto si chiamasse quel mezzo ma per me poteva essere anche un Tornado dell’aviazione italiana, la mia capacità di distinguerli infatti è pari a zero).
A vederlo comunque sembrava tutto a posto. Mio fratello garantiva con la sua conoscenza dei motori (io però so distinguerti un punto croce da uno a giorno, è solo questione di talenti diversi) che “era tutto apposto”.
Ora io non so se per “apposto si intende uno scooter che quando supera il 40 all’ora inizia a sibilare come uno spiffero attraverso la porta aumentando di frequenza fino a diventare un ultrasuono perfetto come richiamo dei cani che mi facevano codazzo come a una cagna in calore, ma con il tempo ho imparato a non farci caso: bastava aumentare il volume dell’ipod.
Dopo 3 settimane sulla tangenziale mi vola uno specchietto e per poco non rischio di essere travolto da un tir per recuperarlo.
Dulcis in fundo, mi accorgo che il freno davanti mi blocca inspiegabilmente la ruota ogni volta che percorro più di 500 metri per cui la mia velocità di crociera è pari a quella di un bruco mela da luna park.
Faccio presente a mio fratello che sto motorino è una mezza sola. Lui mortificato lo porta ad aggiustare. Riparano il freno (temporaneamente perché adesso ha ripreso a farmi lo stesso scherzetto), riattaccano lo specchietto ma aggiungendo una struttura in ferro battuto “perché il buco era spanato”, quindi adesso è comodamente montato su una specie di baldacchino che ricorda molto la macchina di Santa Rosa di Viterbo.
Ma non finisce qui.
La maledizione del vecchio scooter, quella che gli si era accanita contro rendendolo molto simile a un pacchetto accartocciato di Marlboro, pare sia passato come una tassa di proprietà anche al nuovo.
Una mattina infatti mi ritrovo il cruscotto e parte della fiancata sbriciolati. A giudicare da come era stato riparcheggiato qualche testa di cazzo deve aver fatto una manovra di parcheggio come solo le donne sanno fare (o forse è stata una donna vera) procurandomi il danno.
Lo specchietto riaggiustato si è spanato di nuovo per cui se devo fare un sorpasso mi affido alla clemenza del cielo dal momento che il braccio è pendulo e si muove in funzione della velocità sembrando piuttosto il flap di un aereo che un sistema di retro visione.
Ma la cosa al momento peggiore è la marmitta. Un giorno prendo lo scooter e mi accorgo che non sibila più. Poi mi accorgo che al mio passaggio la gente guarda il cielo, tende il palmo per sentire se sta iniziano a piovere e nel dubbio apre l’ombrello. In effetti il sibilo c’è ancora ma è sovrastato da un rombo assordante che mi segue. Poi mi accorgo che sono io. Insomma mi si è sfondato l’ugello della marmitta. Inspiegabilmente. Il giorno prima c’era, il successivo no. Per cui adesso me ne vado in giro per Roma su un SH che fa il rumore di un Harley e non mi restano che 2 opzioni: o faccio aggiustare la marmitta violentando la mia indole fancazzista o mi metto una bandana al collo e un giubbotto di pelle e inizio a frequentare qui raduni di fanatici che si vedono sfrecciare in carovane lungo le autostrade.

lunedì 8 novembre 2010

UN BIGLIETTO SOLO, GRAZIE.




















Venerdì sera sono uscito dall’ufficio, ho fatto un salto in palestra, cena da clinica a base di merluzzo bollito e passato di verdure consumato rigorosamente alle 19,30 e poi cinema. Da solo. Si, lo so che a molti la cosa sa di piccola fiammiferai ma a me piace andare al cinema da solo anche perché il più delle volte faccio fatica a trovare compagni a cui piacciano horror e porcate americane varie.
Al di la della mia ormai patologica misantropia c’è una lunga serie di motivi che mi fa preferire la visione solitaria a quella di gruppo.
Innanzitutto non si perdono ore e ore cercando di accordare gli amici sull’orario e, cosa più ardua sul film da vedere. Eviti battute e commenti negativi al limite dell’insulto qualora il film da te così calorosamente caldeggiato si riveli una boiata.
Quando ti presenti al botteghino e chiedi un biglietto solamente, certo hai sempre la sensazione di apparire uno sfigato ma becchi sempre e comunque posti ottimi e centrali al contrario dei grupponi che, per una malsana perversione voglio sempre e comunque stare tutti raggruppati beccandosi così le poltrone peggiori della sala (che poi mi chiedo: ma che ti frega di stare tutti insieme? Cos’è devi commentare ogni scena con ognuno dei componenti della brigata?).
Quando vai da solo hai sempre il piacere di assistere a una duble fiture: non solo ti godi il film ma puoi ascoltare i cazzi degli altri prima che cominci lo spettacolo e, in alcune sale, anche tra il primo e il secondo tempo, senza che però gli altri ascoltino i tuoi.
La cosa però che apprezzo di più della solitudine dell’ultimo spettacolo è la serenità di non dover dare immediatamente un giudizio sul film perché quando mi ritrovo invece ad andare con altri, non ti danno nemmeno il tempo di far accendere le luci in sala che parte la domanda: “allora che ne pensi?”. O Signore che ansia!

giovedì 4 novembre 2010

SE QUESTO E' UN MEDICO (E la cosa aberrante è che a fare queste dichiarazioni siano proprio delle donne).



Parto dalla dichiarazione di Daniela Santanché per arrivare all'ultima idiozia del medico deputata del Pdl Melania Rizzoli che scrive sul Giornale in difesa del premier. "Quale donna incinta si augura di partorire un figlio gay?", dichiara la donna di scienza. Mi chiedo allora se non sia altrettanto inauspicabile mettere al mondo una figlia se il clima politico e culturale in cui viviamo le penalizza al punto da renderle cittadine di serie B se non vera e propria carne da bordello. Stessa linea di pensiero andrebbe la possiamo ovviamente applicare anche ai portatori d'endicap o, perché no, anche ai credenti in di altre religioni (non sia mai mi nascesse un figlio che poi voglia diventare musulmano!!).
Credo infatti sia proprio questo il punto dolente della questione: per le persone in possesso ancora di intelletto il timore di mettere al mondo un figlio omosessuale (o andicappato o musulmano o che desideri fare il ricercatore senza dover partire dagli Appennini per andare verso le Ande) non riguarda tanto il fatto in sé quanto il terrore di vederlo soffrire crescendo in una società ostile e violenta come quella italiana.

martedì 2 novembre 2010

FINO A QUANDO, BERLUSCONI?


Amici, compagni, minorenni marocchine e dittatori magrebini, il mio punto di vista sull'ennesimo sproposito del Signor Premier.

giovedì 28 ottobre 2010

MA CHE FREDDO FA?




















Forse ho sbagliato meta perché se sono così suscettibile al freddo di questi giorni a Roma non oso immaginare la reazione del mio corpo a quello di Niuiorc.
È pur vero che l’essere umano è l’animale capace più di ogni altro ad adattarsi ad ogni situazione (dai un tema a una festa, fosse anche “cellule staminali e Helvetica e puoi stare certo che trovi chi riesce meravigliosamente a interpretarlo) ma se il freddo ti arriva di botto quando solo fino a 10 giorni fa passeggiavi in infradito e ghiacciolo tra le mani, la cosa si fa davvero dura.
Anche stamattina mi sono armato di buoni propositi. Svegli all’alba, colazione e palestra. Diciamo che però questi si sono congelati alla prima fase alla quale è succeduto un più prudente “stare a letto, spostare la sveglia e avvolgersi come un cicchen vrap di Burger Ching nel piumone”. E così sostituendo alla posizione fetale quella larvale, ho atteso che il sole intepidisse un po’ la città.
Il dramma è reso ancora più algido dal fatto che il mio palazzo ha il riscaldamento centralizzato. Una misura che poteva andare bene 100 anni fa quando la gente era munita di braceri a carbonella per contrastare i freddi anticipati, ma adesso, nell’era del 3d e dell’ipad potremmo anche aggiornarci cercando di trovare una soluzione a tutto questo, no?
Ho chiesto stamattina alla portiera mentre attaccavo i miei 8 siberian aschi alla slitta quando avessero intenzione di attivare i riscaldamenti e lei, più intirizzita di me, ha preso un ramo e sulla neve mi ha scritto la risposto “credo i primi di novembre”.
Non c’è dubbio a questo punto che ci sia dietro a tutto questo un evidente speculazione immobiliare. Il mio comprensorio sembra infatti il set di Cocun, il film dei vecchi se si ringalluzziscono grazie ad una piscina nella quale i narcos colombiani hanno messo a macerare foglie di coca. Qui è un tripudio di stampelle, tutori, arti artificiali e ricordi diretti dell’unità d’Italia e solo il cielo sa quanti arriveranno ai fatidici “primi di novembre” se continua con questo freddo per cui di conseguenza, sono pronto a scommettere che una decina di appartamenti potrebbero liberarsi a breve.
Ad ogni modo il sottoscritto, noto un tempo per andare in discoteca senza mutande, stamattina si è messo una calzamaglia sotto i pantaloni. Una sobria 30 denari che se dovesse capitarmi Raul Bova che mi dice “ti voglio, qui è ora” sarei capace di rinunciarci non foss’altro per non farmi vedere in uno stato tanto ridicolo.
Ma scusate una cosa: sto global uorming non sarà una cazzata tirata fuori dalle lobbi degli istallatori di aria condizionata?

martedì 26 ottobre 2010

SO CHE NON E' ELEGANTE...


...ma che pretendete da uno che in discoteca va in giro senza mutande!?
E' appena arrivata la notizia che il mio corto teatrale "Ma liberaci dal male" ha ricevuto 4 candidature su 5 al concorso a cui ha preso parte. Manca solo quella per il ruolo femminile perché non ce n'erano! Peccato. L'8 novembre vedremo chi vincerà.
INSY MOLIER LOAN

mercoledì 20 ottobre 2010

CHI E' DI SCENA?




















Eschilo, Sofocle, Euripide e adesso Insy nell’olimpo del teatro. Grazie a dio quando leggete i miei post non siete mai al volante altrimenti rischierei denunce per gli incidenti causati. Comunque state tranquilli, era tanto per annunciarvi con una certa enfasi che Sabato 23 e domenica 24 debutta il mio corto teatrale: “LIBERACI DAL MALE” al'interno del concorso di corti organizzato da LA CORTE DELLA FORMICAMA presso TEATRO SANCARLUCCIO - Via San Pasquale a Chiaia, Napoli.
La trama è molto divertente (lo so che non dovrei dirmelo da solo ma al corso di autostima mi hanno detto che il primo a sostenere le cose che faccio devo essere io): c’è una madre disperata che vuole convertire il figlio e farlo diventare eterosessuale, quindi “normale”. Si affiderà ai consigli del presidente di un’associazione votata a riportare sulla buona strada le pecorelle perse nella valle del peccato omoricchione. Ma…
Invito quindi tutti i napoletani, ma anche gli avellinesi, i caserani, i romani e tutti gli altri amici di tutte le città d’Italia ad assistere allo spettacolo (ci saranno anche altri 2 corti di altri 2 autori per cui, almeno per loro, credo valga la pena venire).
Alla peggio vi sarete fatti una gita a Napoli che vale sempre la pena di visitare.

martedì 19 ottobre 2010

GF11. Prima e ultima puntata.


Ieri sera si sono accese le luci sulla casa più spiata d’Italia e vai a capire però se sia quella della povera Sarah, la villa di Berlusconi ad Antigua o l’appartamento di Montecarlo di Fini. In effetti sembrano tutti set da realiti ma quello che ho seguito ieri sera si riferiva all’11 edizione che conduce la Marcuzzi, per intenderci.
Ma siccome ci si deve adeguare al trend del momento fatto di morbosa curiosità su adolescenti strangolate e romene picchiate a morte, la diretta parte con un bel tributo a povero Taricone morto.
Ma io non sto certo qui per fare l’Aldo Grasso o la Barbara D’Urso perciò rimettiamoci subito in carreggiata parlando delle tette della Marcuzi che sono sempre abbondanti dato che, come sapete, è tra le poche fortunate a cui crescono in continuazione (ha non so che disfunzione mammaria per cui ogni tanto deve andare a farsele rimpicciolire donando gli avanzi a colleghe come la Moric che però ultimamente non avendo più posto sul seno se le è fatte impiantare al posto degli zigomi) .
Anche quest’anno, cast tutto al femminile grazie alla presenza di Signorini.
Ma passiamo ai concorrenti. Diciamo che non gli sono stato molto appresso avendo in ballo una video ciattata con un ragazzo di NiuIorc che fa foto porno per riviste erotiche e che quindi potete immaginare con che pudicizia si mostrasse in video, per cui anche fosse avvenuto un assalto in diretta dei separatisti della lega che avessero costretto Signorini a indossare mutande da uomo, non sarei mai potuto essere particolarmente attento. Il primo ad entrare comunque è Nando di Pomezia che è vicino la capitale quel tanto che basta da far credere di nuovo che noi romani siamo tutti una versione coatta de “Er mmonnezza” e mangiamo pajata a colazione. Non è tanto che non si capisce quello che dice, ma anche come lo dice: è roba da trattato di glottologia. Sospetto sia un sabotaggio di Bossi introdotto per vincere poi giustamente le elezioni e poterci continuare ad insultare. Per descriverlo la Marcuzzi dice che è verace e del popolo. Ecco un’altra che a forza di bazzicare via della Spiga s’è dimenticata da dove viene e parla come Maria Antonietta.
La prima donna ad entrare è Norma, afro-torinese lei dice che non vuole si scherzi sulla sua arte di ballerina e intanto scorrono le immagini di lei avvinghiata a un palo vestita con la carta di un ferrero Roscé (le dimensioni sono quelle) durante una serata in qualche locale di calsse dove ti infilano gli euro negli slip.
E per la parità dei sessi e il rispetto dei minori (ma quei rompipalle del Mioge intervengono solo se un ghei passa per caso davanti a una telecamera?) Norma fa un balletto elegante come una serata al Volturno dimenandosi davanti al coatto di Pomezia. Manca solo che in sottofondo mandino Faccetta nera bell’abbissina e il quadro sarebbe completo.
Come nelle tombolate per dare una svegliata ai concorrenti abbrutiti dalla noia, segue una raffica di tre: una salentina, una napoletana bona che parla per proverbi come le vecchie di paese e una milanese trasferitasi in Calabria, per dire che matta che è. I nomi non me li chiedete perché per me le donne so come i cinesi: non le distinguo e neppure sono particolarmente invogliato a farlo.
Arriva anche un’escort come concorrente. Intervistato con un casco in testa per mantenere la suspans manco fosse un collaboratore di giustizia. Poi se lo toglie e tutt’Italia capisce al volo che tra le gambe deve avere un tubo Innocenti altrimenti non si spiega come si possa pagare per andarci a letto.
Parlano di lui come se avesse scelto di fare la cavia per farmaci sperimentali. Volano frasi come “scelta estrema”: ma dare il cazzo a pagamento a vecchie babbione annoiate è davvero così “estremo”?
Entra anche un bono da catalogo di Abercrombi. Si chiama Clivio, come parete scoscesa, e sono pazzo di lui dal momento in cui Alessia l’ha apostrofato come ragazzo iperattivo…
Alla fine il porno modello di NI ha la meglio sul resto. Vedo entrare di sfuggita lo scemo del villaggio, l’anti Nevruz di X Factor ma, se possibile, anche più stonato (di testa sicuramente).
Nessuno di loro quest'anno pare sopravvissuto a drammi familiari tipo incesti, genittori morti sotto una slavina o cambi di sesso. Evidentemente hanno capito che tutto questo faceva troppo 2009 ma concludo facendo una considerazione sulla considerazione di Signorini che dice quanto i concorrenti quest’anno siano specchio dell’Italia. Allora, d’accordo che se davvero dovessero far entrare esempi di italiani ci ritroveremmo la casa affollata di vuoaier da tele tragedie, parlamentari corrotti in odore di cocaina di cocaina e animali da branco in cerca di vittime da dilaniare ma dire che un puttano e una serie sparsa di simil-modelli e pseudo vallettine siano rappresentativi, beh mi pare un azzardo.

lunedì 11 ottobre 2010

-64






















Tesi.
A Niu Iorc tutti, ma proprio tutti, compresi vecchi, storpi e bambini hanno un fisico che sembra uscito dalle matite di Stan Lii.

Antitesi.
Io.

Sintesi.
Correre al più presto ai ripari prima che 64 giorni diventino 4 e a quel punto la sola soluzione sarebbe dirottare nel Niu Gersi dove in media la popolazione pesa 6 chili in più rispetto agli abitanti di Manattan e il “fat Fri” suona come una bestemmia in sacrestia. Oltretutto non ho mai creduto alle favole che ti raccontano di zucche che trasmutano in carrozze, di principesse che dormono cento anni né tanto meno che la gente si innamori solo della bellezza interiore e siccome io lì vado a cercare marito…beh, initile che spieghi oltre.
Il mio personal treiner lo scorso anno era riuscito a farmi avere un corpo che sfiorava la decenza (era uno degli ultimi rimasti in negozio quindi mi sono dovuto un po’ adattare ma ha fatto comunque il suo effetto nella stagione passata). Grazie a questo successo il mio milirarP.T. si è conquistato l’ingresso in lizza al nobel per la fantascienza.
Ora lui ha cambiato palestra e riceve in un'altra che ha il nome che rievoca vecchi garag convertiti in sale pesi giganti, pareti di specchi infranti tenuti su da nastro isolante e tanto, tanto sudore. Di conseguenza mi vedo costretto a disertate la Finoc First per seguirlo lì per le lezioni, il che tra l’altro non è affatto scomodo visto che è a 500 metri da casa mia.
Sono appena tornato dalla prima lezione. La palestra conferma l’idea che mi ero fatta già dal nome: pesi veri, tanti. Macchine a perdita d’occhi. Qualche donna inutile sparsa qua e là e poi loro: una distesa di maschi etero, nerboruti, boni e muscolosi come ne ho visti solo su Nescional gegrafic durante un documentario sui carceri in Texas.
L’effetto è ancora più dirompente visto che vengo dalla palestra di Barbi, dove il peso più alto è 22 mele (unità di misura elaborato dalla Mattel apposta per la bambolina ossigenata) e la fauna ha un reing di pubblico che oscilla tra il ghei e l’omosessuale.
Certo, non esiste ancora luogo dove non ci sia sempre e comunque un nutrito grappolo di omoricchioni ma un conto è allenarsi un altro è girare tra gli attrezzi come si stesse al Privé di Muccassassina portando in mano una bottiglietta d’acqua allo stesso modo con il quale si sorregge un bicchiere di vodca tonic.
E poi, il dio delle palestre (anche lui con bicipiti che sembrano barili per la stagionatura del gin) ha voluto farmi un regalo: il super-iper-mega bono della palazzina accanto. Lo so che quando si tratta di fare complimenti non lesino aggettivi ma questo è davvero uno che se lo vedi per più di 30 secondi te la fai addosso dall’emozione. Lo avevo incrociato nel cortile del mio comprensorio 4 o 5 volte e in ogni occasione la mia espressione non è mai riuscita a sembrare meno che ebete. E adesso, me lo ritrovo lì, in pantaloncini e con il bonus di poterlo anche vedere in doccia! Ditemi voi se non sono un ragazzo fortunato! Insomma, credetemi, è incredibile. Datemi carta e matita, chiedetemi di disegnare un bono e vedrete uscire il suo identichit (su un foglio inzuppato di bava). Come non bastasse ha quell’attitudine rilassata che solo gli etero hanno (non come noi che viaggiamo con un palo in culo incorporato e con il collo proteso a mirare ed essere mirati anche fossimo stati mandati come unico essere umano sul Voiager in viaggio verso Marte).
Da oggi quindi ricomincino gli allenamenti. Seriamente. affiancati dal nuoto il sabato e il pattinaggio la domenica. E questo significa che, solo la buona volontà vale qualcosa, il 15 dicembre dovrei sbarcare a NIC in una forma decente. Altrimenti, c’è sempre Gersi Siti…

giovedì 7 ottobre 2010

SARAH E LA GARA TRA MOSTRI























Io una porcata del genere non solo l’avevo mai vista ma speravo proprio che a farla non saremmo mai stati noi in Italia. La Sciarelli si vergogni e si vergognino i responsabili di Chi l'ha visto? Dire ad una madre in diretta che la figlia è stata trovata cadavere, uccisa dallo zio. Con che faccia potremo mai più accusare gli stati islamici per le barbare lapidazioni quando qui, per mere esigenze di odiens, si stupra mediatamente il cadavere di una bambina e si fa mattatoio del sentimento dei familiari, tutto in diretta televisiva?
Con questo episodio si è toccato il punto più basso dove un essere umano può arrivare a scavare.
Sembra un racconto crudissimo di Ammaniti. Ma purtroppo senza neppure un briciolo d'ironia.
Provo pena per la famiglia di Sara e disgusto per questi che stento a chiamare esseri umani e che non sono poi tanto lontani dall’omicida stesso, tutti nello stesso fango, contendendosi il primato in una feroce gara tra mostri.

martedì 5 ottobre 2010

Piccoli ghei crescono





Da un piccolo ghei viene sempre un ghei grande.
Con buona pace di Froid, il mio articolo per gay.it sugli gli omobambini.

venerdì 1 ottobre 2010

-75







Mancano ancora 75 giorni alla partenza per Niu Iorc, qui a Roma ci sono ancora 23°, la sera le cicale gracchiano ancora e continuo a dormire nudo coperto solo da un lenzuolo e due gocce di Aqua Vella. Qualche giorno fa stavo ciattando con un mio amico di quelle parti laggiù e mentre parlavamo di Giast Chids, la biografia di di Patti Smit, mi è venuto da chiedergli come fosse l’inverno niuiorchese (inutile alambiccarsi, non ci sono connessioni tra le due cose, mi è venuto così). “E’ molto freddo qui, la temperatura può scendere tranquillamente anche a 26°, anche di giorno”. Devo dire che rimango un po’ perplesso perché a meno che uno non arrivi da Urano, 26 gradi non sono male, è pur vero che NI è alla stessa latitudine di Napoli ma anche lì non è certo così caldo. Poi mi viene in mente un intreccio di pollici, piedi e miglia e, punto da vaghezza, gli chiedo: “ovviamente parli di gradi Farenait…”. “Sì, certo”, e che ti pare che questi pensano possano esistere altri mondi al di fuori del loro!
Senza fare un fiato gugolizzo la cifra e mi appare un convertitore di misure e scopro che l’equivalente in gradi centigradi è -3°! Mi informo meglio e vengo anche a sapere che la città è soggetta a tormente di neve che possono arrivare a paralizzarla per giorni, senza contare l’umidità dell’oceano, dell’Azzon e delle fogne a cielo aperto. Insomma scene da film di Emeric. Eppure quelle 4 squinzie di Secs and the Siti mi avevano fatto credere con i loro vestitini di seta che Niu Iorc fosse la capitale della Giamaica. Ad ogni modo, diciamo che in generale io no sono un tipo freddoloso, ricordo ancora con orgoglio il mio viaggio a Stoccolma (sempre in dicembre perché sia mai che possa godermi una città in primavera) dove andavo in giro solo con una polo e un giubbotto e con un po’ meno d’entusiasmo ricordo pure la pleurite che mi sono portato poi al ritorno. Quindi ieri ho dato uno sguardo nell’armadio e siccome Roma -3° non li fa almeno da un paio di ere geologiche non ho trovato che giubottini primaverili che lì non andrebbero bene neppure indossati in una doccia solare. Siccome la previdenza è compagna del successo è partito il casting alla ricerca del giubbotto adatto. Detta così uno penserebbe: “Fatti un Moncler e non ci pensare più”. Seee, fosse così semplice. Io con un piumino addosso sembro l’offerta di un televendita di Mastrota dove ti danno materasso, 4 cuscini, 3 piumoni, 2 coperte e un microonde. Tutto insieme, tutto addosso.
Chi senti, senti, tutti mi consigliano un giubbotto tecnico e tra tutti i produttori di giubbotti tecnici pare che il migliore sia Nort Feis.
Quindi ieri, a pausa pranzo, vado in negozio. Un posto dove se non fossi costretto non entrerei neppure morto. Piuttosto troverei più interessante un ferramenta o un ricambio auto ma lì, proprio no. Sono circondato da capi d’abbigliamento dove gli aggettivi “comodo e pratico” hanno sostituito “elegante e alla moda” ma se voglio arrivare a capodanno senza mandare in necrosi il mio corpo per assideramento è meglio che mi adatti.
Io non colgo molto le differenze tra i modelli, sono tutti scuri e qui pochi che hanno 2 colori sembrano esser stati disegnati da Leopardi in un momento di depressione.
Chiedo quindi a una commessa che, visto il negozio, sprizza energia dalle guance rubizze e ossigenate.
“Allora a me serve un giubbotto per andare a Niu Iorc in dicembre. Non voglio piumini, non voglio tre quarti che mi sbassano, se è possibile, un po’ corto e avvitato, non troppo voluminoso né ingombrante”, in pratica un modello disegnato da Mugler. “Ce l’avete?”.
Le i mi guarda con sospetto, abituata a una clientela di rocciatori dai volti rugosi sferzati dai gelidi venti del nord, non capisce (anche lei) io che cosa ci stia facendo lì dentro.
E poi parte.
“beh, dipende. Abbiamo giubbotti in pail, in gortex, climasciel e polartec. Poi ci sono quelli con un interno removibile o sostituibile a seconda del freddo, e dell’umidità. Ogni modello ha diverse varianti, ogni variante, diverse specifiche, ogni specifica diverse caratteristiche…” e continua senza sosta per altri 5 minuti.
Poi passa alle domande, tutte a raffica, di cui registra mentalmente le risposte per tracciare un profilo del mio giubbotto.
“sei freddoloso?”
“no”
“farai moto?”
“si tra un negozio e l’altro”. Ma lei non ride.
“nevicherà?”.
“mah, non lo so…”.
“pioggia?”
Aridaje! MA CHE NE SO!
Alla fine la pizia sentenzia: PLASMA.
Un giubbotto carino, un po’ troppe scritte per miei gusto ma al limite ci passo sopra con un pennarello nero ed è scampato l’effetto tuta da formula 1.
Lo provo, mi piace e mi sta bene.
Non che lo voglia comprare subito ma chiedo il prezzo.
“400 euro”.
Avvampo. Ecco qual è il segreto della Nort Feis, ha i prezzi che bruciano.
Con la classica formula: “grazie, ci penso in caso ripasso”, esco dal negozio.
400 euro è più di quanto ho pagato il biglietto. Piuttosto me ne compre un altro per i Carabi.
Per fortuna ho ancora tempo per provinare altri giubbotti. Alla peggio mi vestirò a strati, mi cospargerò di grasso di foca, mi farà litri di uischi e poi mica devo per forza stare per strada durante la tormenta ma io 400 euro per un giubbotto che metti caso entri in un locale e lo appoggi sulla sedia e te lo fottono non ce li spendono.
Avanti il prossimo!

sabato 25 settembre 2010

CHEC AUT

Finalmente è stata dimessa. E finalmente non lo dico tanto per lei quanto per quei poveri medici e infermieri dell’ospedale. Dal primo giorno di ricovero aveva deciso che lei lì non voleva starci, che si sentiva costretta quindi “ditemi dove devo firmare per andarmene!”. Per questo mercoledì io, mio fratello, 2 infermiere, il cardiologo, il primario e un esorcista abbiamo cercato di trattenerla mentre cercava di staccarsi sensori, tubi e tubicini per poter scappare via.
“E’ sempre stata furastica”, è stato il commento laconico di mio zio che commentava la scena a debita distanza.
Per fortuna dove non siamo potuti arrivare noi è intervenuto il Signor Tavor e con lui è sopraggiunta un po’ di serenità per tutti.
Stamattina il medico le aveva promesso che l’avrebbe dimessa alle 9. Alle 8 ero lì ma dalle 6 lei era già seduta sul letto, tre le sue borse e una pila di riviste, tutta eccitata all’idea di tornare a casa (per quanto lo possa essere una che ha in corpo più sedativi che globuli rossi).
Nell’attesa che il dottorebello finisca di compilare le scartoffie di prassi ci raggiunge mia zia. È nel suo periodo mistico e tira fuori dalla borsa un acqua benedetta di Lurd, una medaglietta di Megiugori, un’acquasantiera mignon della Madonna di Fatima e un pezzo della croce di Cristo ed è già tanto che non faccia apparire la madonna con un proiettore tascabile. Mia madre osserva questo carosello sacro con lo sguardo frastornato. I sedativi ancora scorazzano allegramente nelle sue vene e devono essere piuttosto potenti se penso che solo ieri continuava a raccontarmi una storia famigliare credendo che io fossi suo fratello (“è normale, che abbia questi problemi, tra i farmaci e la degenza”, mi rassicura subito dopo il dottorebello, mentre io lo ascolto con gli occhi a cuore e un barlume di decenza mi schiaffeggia cercando di non farmi immaginare erotiche evoluzioni degne di una scena almodovariana).
Il dottorebello è alla fine del turno di notte ma ha ancora la grazia di spiegarci quali sono i farmaci da prendere, a che ora in che dose. Il cuore non ha subito danni gravi e può riprendere le sue attività precedenti. Per lasciare un buon ricordo di se, mia madre sente la necessità di lanciare un’ultima rivelazione: “Lo sa dottorebello che tutte le infermiere le vengono dietro?” (sempre i farmaci che parlano, ovvio). L’imbarazzo delle paramediche ghiacciano il pavimento dell’intero reparto e su questo scivoliamo via alla guida di una slitta trainata da 4 aschi siberiani, prima che ne dica altre. Varchiamo le porte della sala e, forse me lo faranno le orecchie ma sento un chiasso allegro e festoso e il rumore di un paio di tappi sparati dalla pressione delle bottiglie di sciampagn.
Ora è a casa.
Si è lanciata in camera sua per controllare che tutte le sue cose siano al loro posto con l’entusiasmo con cui un bambino vuota la cesta dei suoi giocattoli al ritorno da un lungo viaggio. Così, per riappropriarsi del suo spazio, del suo mondo fatto di piccole cose tanto importanti. Barcolla da una stanza all’altra, sembra ubriaca e mi fa sorridere. “Mi metto un attimo sul letto ma non andate via”.
E chi si muove.

martedì 21 settembre 2010

Hart Bit

Ieri mio fratello mi telefona. Quando lo fa ho sempre un brivido lungo la schiena e non sentendoci solitamente per commentare le partite o le puntate di X Factor c’è sempre un motivo che è quasi sempre grave.
Infatti è così: mia madre è in ospedale. Avendo problemi all’anca penso che sia quello il motivo ma viene subito spazzato via da una causa che ha la dirompenza di uno zumami: ha avuto un attacco di cuore.
30 secondi dopo un razzo argentato sfreccia lungo la tangenziale in direzione ospedale.
Entro come una furia nella sala d’attesa che è il solito caroselli d’umanità. C’è persino la polizia penitenziaria che scorta una pregiudicata in barella.
A mio fratello hanno detto che ci faranno sapere qualcosa di lì a un ora. Ne dubito fortemente e ci prepariamo alla lunga attesa. Mi racconta che mamma ha avuto un dolore al petto e al braccio. I sintomi sono inequivocabile. Lui è abbastanza sereno ma lo siamo di famiglia: finché non vediamo una bara, non ci agitiamo mai.
Due caffé, una bottiglietta d’acqua, una sfogliata poco attenta al giornale.
L’ora è passata e con una puntualità inaspettata. Ci chiamano.
La scorgo appena dalla porta socchiusa. Non me la possono far vedere, non tanto per il suo stato quanto perché è ancora in una stanza piena di pazienti e il rispetto per la sofferenza è un limite che condivido.
Un infermiere ci da i suoi effetti personali. Averli lì in una busta mi fa uno strano effetto. Ma scaccio il pensiero. Mi conferma che ha avuto un problema cardiaco. Entro 2 ore la assegneranno al reparto di terapia intensiva. Questo è quanto. Lui non sa di più io non so che chiedergli.
Torniamo in sala d’attesa. Fuori fa un caldo insopportabile. O almeno così mi sembra.
Ne approfitto per passare a casa e prendere beni di conforto per l’attesa. Poi, passo a staffetta lo scuter a mio fratello che passa a prenderle pantofole, camicia da notte e tutte quelle cose che servono quando si va in ospedale, compresa una pila di riviste che sembrano essere scritte apposta per degenti e vacanzieri.
Facciamo un giro delle telefonate. Parenti, amici, persino mio padre.
Ancora una volta, puntualmente, allo scadere della seconda ora ci chiamano e ci fanno salire in terapia intensiva.
Si entra uno alla volta, abbiamo solo un’ora di tempo e bisogna indossare camice e copriscarpe: sembrano le regole di un gioco ricompensa da realiti.
Entro prima io.
Sento mia madre arringare la cardiologa che ha lo sguardo sgranato. Mia madre le sta comunicando che non ha alcuna intenzione di stare lì per più di un giorno.
“Signora io non la posso obbligare ma ha avuto un infarto”.
Mia madre polemizza e un po’ mi tranquillizzo. È tipico di lei. Ma capisco anche che ha paura, non vuole essere ricoverata pensando che uscire dall’ospedale significhi lasciarsi dietro il dolore. È un pensiero semplice, emotivo, infantile e mi fa tenerezza. La bacio, mi siedo accanto a lei. La cardiologa permette anche mio fratello di entrare.
“Facciamo l’anamnesi insieme. E’ importante che ci siano anche i figli”.
La dottoressa parte con una sfilza di domande alle quale mia madre risponde sempre più docilmente. Il sedativo che le hanno dato inizia a fare effetto ed è meglio per tutti noi.
La cardiologa le spiega che dovrà fare la coronarografia che per noi potrebbe essere anche un ballo tribale africano. Ci spiega di cosa si tratta ma a prescindere da questo, è un test inevitabile quindi tanto vale.
Poi ci lascia con lei per un’altra mezzora. Mentre lei mangia io e mio fratello scherziamo con mamma. Le facciamo notare che c’è anche una telecamera che la sorveglia 24 ore su 24. Lei fa le corna con la mano e ci chiede: “che dite, m’avranno vista? “.
Nonostante i camici che indossiamo, i monitor alle pareti e il letto che sembra una capsula spaziale, la sensazione è quella di stare a casa. Siamo tutti inaspettatamente sereni. Forze è una tecnica inconscia di rimozione ma chissenefrega. Mi passano per la testa tanti pensieri sul tempo che passa, sull’invincibilità presunta dei nostri genitori che con gli anni si umanizza sempre di più mostrandoceli fragili e vittime della vecchiaia e penso che questo, proprio questo, è il momento del contraccambio. L’attimo in cui le parti si invertono e i figli devono diventare tutori dei loro genitori tanto quanto hanno fatto per anni loro con noi. E tutto all’improvviso ha un senso.

lunedì 20 settembre 2010

GUSTI SBANDIERATI AL VENTO


Guardate sul mio articolo per gay.it cos'ho scoperto a proposito di gusti sessuali sbandierati.

sabato 18 settembre 2010

18/9/09-18/9/10




















Oggi è passato esattamente un anno dall’insediamento nella nuova casa. Non avrei mai pensato che tutto quello che si era accumulato in quasi 10 anni di vita sarebbe entrato in un Rascal, in appena un viaggio e mezzo. Dopo 12 mesi la maggior parte delle cose che avevo portato dalla vecchia casa sono state sostituite, regalate, buttate. Non si adattavano più né alla nuova stanza né tanto più a me. Sono partito il 18 settembre del 2009 alla firma di un contratto per un appartamento (insieme ai miei adorati coinqamici, resi ancora più “cari” dal fatto che leggeranno questo post) che non sapevo neppure se mi sarei potuto permettere visto che, allora, non avevo ancora trovato un nuovo lavoro e la linguetta dell’autonomia finanziaria puntava pericolosamente al rosso. Qualche settima dopo finalmente arrivò anche questo. All'improvviso, come spesso arrivano le buone notizie, ma la sensazione di precarietà era difficile da superare e per diversi mesi a seguire ho continuato a non sentire questa casa completamente mia. Non riuscivo ad affezionarmici, terrorizzato dall’idea di perderla. E' stato un periodo difficile, nervoso, nel quale tante volte mi sono perso, incapace di gestire la mia nuova vita. Era arrivato d’un colpo tutta la tensione dell’anno complicato che avevo appena passato.
C'è voluto un po' di tempo per sentire finalmente che questo appartamento stava diventando “casa” e contemporaneamente è ritornata, finalmente, anche la voglia di ricominciare, cambiare, progredire.
Un anno fa ero a San Lorenzo, un santo irrequieto, giovane, rumoroso, oggi vivo a San Giovanni, patrono ben più calmo e sereno ma prodigo di fermenti.

venerdì 17 settembre 2010

LA MISERIA E' DEMOCRATICA




Questo video per carità non ha niente a che vedere con le rivelazioni dell’inchiesta Uotergheit, sono tutte cose che bene o male si sanno. Ma come per i filmati sullo sterminio degli animali da pelliccia un conto è lo sdegno teorico un altro è il ribrezzo reale di vedere concretamente certe scene.
No so se sia più desolante la mancanza di coscienza di questi 4 magnaccia o la miseria intellettuale e l’inconsapevolezza plebea di chi va in costa Smeralda con le pezze al culo solo per ammirare i VIP da quaggiù, accomunati, solo in questo, da una democratica pochezza umana.
Lo so che sembrano discorsi provenire da una vecchia incattivita inchiattata su una sedia di vimini mentre capa faggiolini guardando la tivvù, ma è più forte di me: quando vedo queste cose mi ribolle la bile dal fegato e mi sale su su fino a formare un bolo che mi verrebbe voglia di sputare in faccia a questi 4 magnaccia, alle loro puttane e a quegli accattoni che mangiano pane e merda per potersi permettere un fine settimana in campeggio per guardare tra le grate del Billioner a chi sono destinate le bottiglie di Cristal da 900 euro.
Quando sento che degli imprenditori spendono anche 20 mila euro (si certo…) per il “relax” mi viene subito da chiedere se i contratti dei loro dipendenti sono tutti regolari o quanti ne hanno licenziati per poter mantenere intatti i loro privilegi, per poter continuare a tenersi a debita distanza dal mondo reale, per disinteressarsi ancora delle sorti del Paese che per loro non è altro che una grassa greppia in cui abbuffarsi. Una società nella società così simile a quella nobiltà francese perversa e decadente che purtroppo però non sconterà mai l'impeto di nessuna rivoluzione.

giovedì 16 settembre 2010

-90



















La schermata della compagnia aerea è aperta.
L’importo è segnato in rosso.
In basso lampeggia un pulsante verde con su scritto ACQUISTA ORA.
Accarezzo con il dito il tasto del maus e con l’altro compongo un numero.
“senti Cla, ma che faccio parto o non parto?”, gli chiedo con un filo d’ansia senza neppure dirgli “ciao” o “buongiorno”.
“Ancora con questa storia? Ma certo. Parti!”, il tono è rassicurante come quello di un allenatore che sprona un tuffatore indeciso a scaraventarsi da una piattaforma di 10 metri .
“E se poi i soldi non mi bastano?”. Ping.
“Si trovano”. Pong.
“E se di qui a dicembre succede un imprevisto?”. Ping.
“Ci penseremo allora, eventualmente”. Pong.
“Mia madre forse avrebbe bisogno di me”. Ping.
“C’è tuo fratello”. Pong
“Le piante chi me le annaffia?”.ping
“Ale, sono moribonde già adesso per allora saranno polverizzate. Mi fai il cazzo di piacere di comprare quel cazzo di biglietto?”
Schiaccio ACQUISTA.
La clessidra sullo schermo gira e rigira e un avviso mi avverte che stanno verificando i dati della carta. Spero ci sia un intoppo, un cambio di tariffa una dichiarazione di guerra e invece dopo 30 secondi un altro avviso si congratula con me per l’acquisto effettuato.
“Fatto”. E tiro il fiato. Ormai è andata.
“Ecco bravo, adesso torno in riunione”. E il mio amico riattacca il telefono. Anche lui senza dire neppure ciao.

La scorsa settima ho comprato il biglietto per Niu Iorc.
Partirò tra tre mesi esatti (o 90 giorni, se proprio vogliamo dar via a un caunt daun) e ci resterò per 4 settimane: 28 giorni, come un turno in un centro di riabilitazione.
Inizialmente doveva essere la vacanza che non ho fatto quest’estate mentre grondante sudore venivi crivellato dalle foto del miei amici in spiaggia a Miconos, con i moito a Ibiza e con le mani appoggiate sulle impronte della Loren su Ollivud Bulvar. Ma poi ha preso una valenza molto diversa.
Una sfida con me stesso (ho provato a trovare una formula meno banale per esprimere il concetto ma, credetemi, non esiste, sarà per questo che è così usata).
Mi rendo conto che non stiamo parlando di una solitaria di un anno in pattino attraverso i 7 mari e la destinazione e la permanenza non fanno di me Ulisse ma per me l’impresa è quasi altrettanto epocale.
Primo perché vado da solo. Cosa che non faccio neppure per andare in bagno. Fino ad oggi i miei viaggi sono sempre stati legati a gruppi che non fossero inferiori al numero della Nazionale, riserve allenatore e massaggiatori compresi.
Secondo perché vado per “sentire che aria tira” e in caso, più in là, legare lo spago alla valigia di cartone. E solo pensare a questa ipotesi mi da le vertigini.
Chi conosce le mie rocambolesche avventure estive con Americanino, può maliziosamente credere che la scelta di quella città non sia casuale e in parte è così. Me lo sono chiesto e richiesto prima di decidere perché non volevo che questo fosse un viaggio della speranza, in cerca di qualcosa che è stata poco più di una bella esperienza e solo dopo essermi convinto con spietata sincerità che non è lui quello che vado cercando ho confermato che la destinazione fosse Niu Iorc: la città dove ancora succedono delle cose, l’unica capitale che dopo la sbornia delle On Cong, delle Dubai e delle Sidnei rimane sempre e comunque la capitale del mondo.
Potere dell’auto suggestione? Forse eppure, da quando ho premuto quell’ACQUSTA, è come se avessi trovato stimoli ed energie che non sentivo da anni dandomi degli obiettivi e dei progetti da perseguire e realizzare e dei quali per ora non parlerò per scaramanzia (anche perché sono ancora in fase di definizione) ma che nei prossimi giorni inizierò a condividere con chi vorrà seguirmi in questo viaggio.

martedì 14 settembre 2010

MENGONI, C'AVRAI LA VOCE MA LASCI SENZA PAROLE.






Non so se sia dovuto all’età che avanza inesorabile o alla zitellaggine che mi sta rinsecchendo come una prugna della California rendendomi sempre più rigido e intransigente su certi argomenti ma vedere questo filmato dello scorso Sanremo mi ha provocato un prolasso alle gonadi e un innalzamento del livello di bile.
E stiamo sempre qui a ribadire le stesse cose ma non mi stancherò mai di denunciare: l’imbarazzo e la vergogna che mi provoca sentire dichiarazioni come quelle di marco mengoni.
Allora diciamocelo chiaramente, non bisogna essere un’aquila per capire che mengoni ha visto più ufo che fiche. Come altrettanto chiaramente ribadisco che nessuno lo obbliga a rivelare che sia ghei. Per carità, io sono il primo a rivendicare il diritto alla privasi, tanto più se giovane e all’inizio di una carriera incerta come quella del cantate. Ma santa miseria nera, puoi dire frasi del tipo “no io non lo sono anche se ho tanti amici come loro”?
Ma loro chi? Ma che siamo una razza aliena?
Puoi poi diventare paonazzi e farti tremare la voce quando quella volpona della Parietti ti chiede cosa ci sarebbe di male ad essere ghei? Se ti avesse chiesto cosa ci possa essere di male ad essere di colore, o ebreo o donna (beh quest’ultima evidentemente sì, potresti esserla), avresti reagito così?
Io un panico del genere l’ho solo visto solo in “Lo&Order” quando l’imputato viene accusato di aver sparato in testa a un bambino di 5 anni. Possibile che questo debba reagire in una maniera così appanicata?
Ripeto, non dirlo è lecito ma spergiurare come San Pietro il venerdì Santo è deprimete per la persona che abiura quanto per chi lo ascolta. E di nuovo torna la questione dell’esempio dei personaggi pubblici.
Mengoni non è certo un eroe di guerra ma potrebbe aiutare tanti ragazzi a non sentirsi più “de onli ghei in de villag”, potrebbe contribuire a creare un nuovo clima culturale in Italia, a partire dalle canzonette. Negli anni ’70 la musica era anche impegno politico. Oggi è puro intrattenimento. Perché non ridarle allora nuovo vigore con valenze che gli appartengono per natura?
Visti poi gli esempi di altri cantanti, sarà mille volte più fico fare come Richi Martin che continuare a essere uno scarafaggio come Renato Zero?