lunedì 29 agosto 2011

L'ESPERIENZA E' UN'OTTIMA MAESTRA DI VITA.


Dopo qualche anno di errori di valutazione e di sportellate in faccia, a meno che tu non sia del tutto deficiente, te ne accorgi già dopo 5 minuti se quel tentativo di rimorchio ci sono reali possibilità di uscirci o se tanto vale girare i tacchi e con un residuo di dignità fuggire via.
A me è capitato pochi giorni fa. Conosco una persona, faccio il preciso, tendo la mano e mi presento con nome e cognome e con la formalità inappuntabile di chi si sta proponendo al nuovo capo reparto. Ma tanto lo vedi subito, lo sguardo dell’altro che sfugge, quasi a cerca un appiglio, una via di fuga neppure lo avessi trafitto con uno spiedo e lo stessi rosolando sulla brace. Ma vado avanti comunque, almeno per un altro po’ fino ad essere sicuro al cento per cento che piuttosto che uscire con me preferirebbe tuffarsi in un fiume amazzonico infestato da pirana (o nel lago di Martignano sempre pieno di lesbiche al bagno).
Alla fine faccio il tentativo estremo e propongo “ci vediamo uno di questi giorni per un aperitivo?”. Il tentativo è blando, la data non è fissata e certamente è uno sforzo che chiunque potrebbe fare, soprattutto se deve uscire con me che magari non lo attrarrei sessualmente neppure gli assicurassi di avere due peni ma quanto meno 4 risate te le faccio fare. Questo è il tipo di domanda brevettata e registrata che ho chiamato “Cartina al tornasole”. È quella proposta che ti fa capire immediatamente se ce ne sarà o meno.
A me è stato risposto che lavora molto, che fa tardi la sera, che non sa cosa farà domani figuriamoci nel fine settimana e se non l’avessi fermato io con un “va bene, tranquillo” avrebbe continuato con un’escalation esasperata che lo avrebbe portato a mettere in ballo una madre storpia da accudire e la costruzione di un orfanotrofio in Africa.
A quel punto, per me finisce lì.
Ma non sempre la cosa è così lampante perché c’è poi “il disfunzionale”. Archetipo purtroppo ben più diffuso e assai più pericoloso. Anche questo, in quanto cazzaro, lo riconosci ma ci metti un po’ più di tempo. È per intenderci quello che ti fa il filo in discoteca (leggi pure: che ti infila le mani nelle mutande facendoti una rettoscopia), che ti sorride, ti fa i complimenti, ti guarda come un carcerato fissa una donna dopo 25 anni di detenzione. Ti si avvicina e ti chiede anche il numero e tu, ovviamente, glielo dai ma adesso lo scambio si fa così: “fammi uno squillo che mi resta il numero in memoria e ti richiamo”. Te provi a digitare il numero che ti fai ripetere almeno 12 volte visto che la musica non ti fa sentire e le luci basse ti impediscono di leggere il labiale. Il suo dislpey alla fine si illumina e ti mostra soddisfatto il numero impresso e poi “ciao, ciao”.
Te aspetti qualche ora per non dare l’impressione di essere così disperato da mandargli la buonanotte usando qualche ridicolo emoticon. Ti mordi la mano per far passare almeno l’ora di pranzo poi alla fine guardi l’orologio e alle 6 del pomeriggio fai un tentativo (ovviamente in questo lasso di tempo non che l’altro che solo la sera prima ti stava mettendo incinta con lo sguardo si sia degnato).
Lanci questa bottiglia nel mare e più o meno ricevi lo stesso tipo di risposta ovvero: nessuna. Aspetti la sera. Magari si è perso il cellulare, magari lo hanno rapito per asportargli un rene magari ha fatto scudo con il suo corpo per salvare un cucciolo di cane da un tir ed è morto.
Poi alla fine arriva e la risposta che nel mio caso è stata: “Si ci vediamo dopo anche con Luca per la cena”. “Siccome il tuo messaggio è stato “ciao come va?” ti rendi conto che si è trattato di un messaggio mandato per sbaglio, il che è persino più umiliante che se non avesse risosto affatto. Cosa che per altro ha fatto poco dopo quando gli scrivo “forse hai sbagliato destinatario”. E neppure si prende la briga di spendere 10 cent per dire “vammoriammazzato!”.
A questo punto entra in gioco un protocollo mutuato dal mio amico Meloni che quindi si è preso l’onore di registrarlo a suo nome come “protocollo Meloni”. Questo è un servizio che offre assistenza 24/7. Chiamandolo si sente la voce di una signorina che illustra i vari benefici che consistono nell’annullamento del numero dalla rubrica, dei messaggi inviati, quelli in entrata e ogni forma possibile di reperimento successivo del numero. Con un piccolo supplemento è possibile aggiungere una lamia evocata da una gitana che lo perseguiterà per i successivi 8 mesi. Ed è questo quello che ho fatto.
La pratica è stata archiviata e registrata nel file “cazzari”, il più voluminoso di tutti insieme all’altro complementare chiamato “arrizzacazzi”.
Il fatto è che tanto questo lo ribeccherò prima o poi ma l’esperienza di cui parlavo all’inizio mi ha anche insegnato che queste persone hanno la faccia come il culo e farlo notare non fa altro che farti passare per rosicone e isterico quindi tanto vale sorridergli, salutarlo e dissimulare sportività quando invece vorresti appenderlo al soffitto per i malleoli e prenderlo a bastonate nei reni.

venerdì 26 agosto 2011

26 agosto: Alessandro Santo, subito!
























ALESSANDRO: dal greco "Alexein": proteggere e "Andros": uomo, quindi "protettore di uomini" ma come si sa il greco antico ha 100 significati per ogni parola e tra quelli del verbo “alexein” preferisco l’accezione “tormentatore” .


Numero portafortuna: 3 (meglio se alti, belli e muscolosi, 2 biondi e uno moro)

Colore: verde (o meglio al verde)

Pietra: smeraldo (ma anche rubini e diamanti purché donati con il cuore)

Metallo: oro (perfetto per incastonare le suddette pietre).

Il nome greco è certamente di derivazione asiatica, forse frigia o forse di origine aliena e diffusa quando atterrarono per costruire le piramidi, insegnarci la medicina e togliersi dalle palle la Santanché mollandola sul nostro pianeta.
E' diffuso in tutta Italia, mentre, nella forma abbreviata Lisandro, è un nome tipicamente toscano ma trovatemi qualcuno che porti questo nome da bischero e gli offriamo tutti da bere.

Il più famoso personaggio dell'antichità portatore di questo nome è Alessandro Magno re di Macedonia. Nell’era moderna si segnalano due padri della letteratura italiana: Alessandro Manzoni e il ben più noto Alessandro Michetti.
Assunto nel mondo latino, ebbe grande diffusione nel Rinascimento, sostenuto anche dal culto di ben quaranta santi riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa quasi tutti martiri motivo per il quale i portatori del nome passano la maggior parte della loro vita grattandosi abbondantemente.
Tra questi si ricordano s. Alessandro, patrono di Bergamo, onorato come protettore dei carbonai ed è per questo che insieme al patrono dei minatori, è tra i più bestemmiati della storia.

Otto papi, tra cui Alessandro VI Borgia, famoso per le sue dissolutezza e per il suo nepotismo, tre re di Scozia, tre imperatori di Russia, insomma tutta gente che stava bene.

Assai diffusi sono i diminutivi Sandro e Sandrino o, come nel mio caso, Pezzo di merda.
L'onomastico si festeggia anche il 27 marzo, il 3 maggio e il 6 giugno quindi non crediate di cavarvela facendomi gli auguri soltanto oggi.

Temperamento da lottatore (soprattutto nei primi giorni di saldi), una mente brillante (anzi diabolica), amante appassionato (peccato che agli altri non interessi), un ardente amore per l'avventura (soprattutto quando si lancia con sprezzo del pericolo dal letto al divano e dal divano alla poltrona) caratterizzano questo indomito sognatore di gloria e successo. Generosità (mani bucate), orgoglio (presunzione), pazienza (inesistente) rendono imprevedibile (nevrastenico) i portatori di questo nome ed è per questo che preferisco farmi chiamare Michetti che almeno quelli, come dice Mulino Bianco, sono buoni come il pane.

giovedì 25 agosto 2011

IS THIS THE REAL TIME OR JUST A FANTASY?













Sabato scorso ero con un gruppo di amici al mare.
Le uniche preoccupazioni erano cadenzare le ore con puntate al bar e sincronizzare la posizione dei lettini in funzione dell’inclinazione del sole.
Nell’indolenza del momento la sola cosa che ha eccitato la nostra attenzione, ben più dei pacchi portati con sportività dai ragazzi che giocavano a pallavolo proprio davanti ai nostri occhi, è stato l’aver nominato “Ma come ti vesti?”, uno dei programmi di punta del canale Real Time. Da lì è stato tutto uno snocciolare del palinsesto della rete che, visibile ora anche su digitale terrestre, ha allargato a dismisura il proprio pubblico e il cui zolloso duro, come qualcuno potrebbe intuitivamente immaginare dalla reazione esagitata dei miei amici, non è composto sicuramente dalle giovani leve del FUAN.
Mentre si parlava di “Case da incubo” (2 maniache compulsive della pulizia dalle sembianze di Barbamamma e Barbabella girano il Regno Unito andando a ripulire case che sembrano la discarica di Napoli), “Paint Your Life” (programma sul “fai da te e fallo male” più vicino a un programma di reinserimento per detenuti che a un corso per borghesi annoiate) e tutti gli altri programmi trasmessi ho iniziato a considerare come Real Time sta ridefinendo il concetto di televisione di servizio. Raccogliendo il testimone della RAI, cauto ormai da decenni, che vedeva come missione della rete televisiva pubblica la divulgazione della cultura, Real Time propone una visione moderna e pratica di quel che potremmo definire una pop utilities.
A metà strada tra una tele laurea del progetto Nettuno e la Scuola Radio Elettra, il canale ha una programmazione che cerca di condividere uno scibile che abbraccia i consigli di medio-alta moda ai segreti sull’economia domestiche che avrebbe potuto darci il mitico calendario di Frate Indovino.
Insomma sia che si tratti di approntare una cena per 12 con una crosta di grana, 3 uova e mezzo litro di latte ormai cagliato (prego vedere e registrare ogni puntata di “In cucina con Ale” Borghese, figlio della criogenizzata Barbara Bouchet) o disporre la tavola per l’arrivo di sconosciuti rompipalle che passano con il guanto bianco sui mobili e controllano che tu tenga a tavola i gomiti tanto stretti al busto da bloccarti la circolazione sanguinea delle braccia (l’ormai pluristagionato “Cortesie per gli ospiti”), Real Time è il perfetto sostituto satellitare alle ore di economia domestiche che si tenevano fino a 30 anni fa nelle scuole della Repubblica. A tutto questo va aggiunta anche l’alta aspirazione ecologica (e per questo modernissima) del canale che adattandosi al momento di recessione propone programmi dove il bricolage da riciclo (lo già stracitato “Paint your life”) potrebbe diventare spunto per il ritorno a una economia del baratto.
Spero però che presto i dirigenti della rete si rendano conto che manca ancora qualcosa alla quadratura del cerchio e che si decidano a completare l’opera con un programma finalizzato alla ricerca, alla seduzione e al conseguente impalmamento di un fidanzato benché mi renda conto che oggi come oggi l’operazione sia tanto difficile da dover poi far cambiare l’intestazione del canale da “Real” in “Fantasy”.

mercoledì 24 agosto 2011

COMPAGNI DI SCUOLA












Sto vedendo “Immaturi” un film su un gruppo di quasi quarantenni che si ritrovano per un errore a rivivere i tempi della maturità e ritrovano così i vecchi compagni di scuola. Sulla pellicola stendiamo un velo pietoso. Nel suo genere preferisco piuttosto ricordare il perfetto “Compagni di scuola” di Verdone. Ma mosso da una brezza emotiva ho provato a cercare i mie compagni su Facebook.
A memoria so poche cose: le provincia della Toscana (un giorno vi dirò anche il perché), la declinazione dei verbi irregolari greci (altra storia, in un altro momento) e i nomi dei miei compagni di scuola, elencati come da registro dalla B di Bosco alla V di Ventoruzzo. Si fosse trattato di ricercare i superstiti alla battaglia di Curtatone forse avrei avuto sorte migliore.
Mi sarebbe piaciuto sapere che fine hanno fatto, organizzare una cena e confrontarci su quanto i nostri sogni (o più probabilmente i nostri incubi) siano diventati realtà.
E invece: nessuno, tranne la mia amica Elena (che taggo nel post).
Così mi sono lasciato scuotere per un po’ da un moto di nostalgia. A 18 anni del resto è un sentimento che non puoi provare.
E’ ironico come “per sempre” sia l’avverbio di modo più usato da chi, come gli adolescenti, ha così poca esperienza del tempo che passa. Pensavo infatti saremmo rimasti vicini “per sempre” ma solo ora conosco bene il valore del termine e riconosco quanto sia difficile pronunciarlo con consapevolezza. Allora credi che tutto, compreso l’amore ancora così vago, durerà per tutta la vita e l’abbandono, la mancanza sono stati d’animo inconsistenti.
A 18 anni credi che i legami siano forti, assoluti e incorruttibili eppure li ho persi, come un albero le foglie al vento dell’autunno.

giovedì 11 agosto 2011

ERA LA NOTTE DI SAN LORENZO


















Era la notte di san Lorenzo del 1979.
Erano ancora gli anni in cui Roma per tutto il mese di agosto si svuotava lasciando dietro di se uno scenario apocalittico da estinzione della razza umana.
Solitamente anche noi abbandonavamo la città per spostarci al mare in Abruzzo ma quell’anno non ci muovemmo.
All'imbrunire io, mamma e papà ci spostammo sul terrazzino un metro per un metro del nostro appartamento. Le dimensioni già ridotte erano rese ancora più risicate dalla passione di mia madre per la floricultura. Ovunque vasi di piante, alcune si inerpicavano lungo il reticolato di canne che mamma aveva appoggiato a una parete. In mezzo a quella vegetazione c’era spazio solo per una poltroncina di vimini gialla.
Eravamo tutti lì fuori sperando di avvistare qualche stella cadente.
Io indossavo una canottierina bianca e mutande che componevano la tenuta estiva. Mia madre invece aveva un camicione di lino molto largo dal quale affiorava fiero un pancione smisurato. Era per questo che quell’estate non ci muovemmo: aspettavamo tutti Stefano che di lì a pochi giorni sarebbe venuto al mondo.
Mia madre troneggiava sulla poltrona e io seduto tra le sue gambe mentre mio padre, appoggiato allo stipite del balconcino, fumava una sigaretta quel tanto distante da non farle arrivare il fumo. Tutti a naso in su, verso il cielo, immersi in un silenzio irreale per quel quartiere così popolare e solitamente tanto chiassoso.
Non so dire se quella sera vedemmo delle stelle cadenti. Almeno io non me ne ricordo. Non ricordo neppure quali desideri esprimemmo ma considerando l’arrivo di mio fratello era immaginabile fossero tutti dedicati a lui.
Il termine scadeva il 15 di quel mese ma Stefano nacque il 14 grazie a un cesareo che mi regalò un fratello con un giorno d’anticipo rispetto al giorno previsto. Il ginecologo non voleva rinunciare al pranzo di ferragosto e così per non perdersi il pollo con i peperoni, preferì dare un taglio alla faccenda.

lunedì 8 agosto 2011

IL GAY VILLAGE E' ANCORA UN GAY VILLAGE?


















Sento amici e conoscenti lamentarsi sempre più di come il Gay Village sia ormai diventato il set di Tamarreide e di quanto moltissimi etero ospiti non si facciano più nessuno scrupolo ad uscirsene con frasi omofobe e atteggiamenti ostili. Io sono andato solo 2 volte e credo bastino perché l’atmosfera che ho respirato non era più quella degli scorsi anni e in un climax decrescente dal 2001 a oggi la qualità del pubblico è andato progressivamente deteriorandosi fino a farmi sentire furi luogo in casa mia.
La situazione è paradossale.
Il concetto bellissimo e che tutti accogliamo della condivisione trasversale del pubblico va bene ma sono sempre di più i gay delusi che hanno giurato di non mettere più piede al “qualcosa” Village.
Sì perché di gay quel posto ormai ha ben poco.
Ora molti diranno che siamo noi a essere intolleranti, con la puzza sotto il naso e ghettizzanti. Ma è mai possibile che appena uno si lamenta del fatto che una coatta gli si avvicini e gli dica: “ma è vero che tu lo prendi al culo?” (accaduto realmente ad un amico) o che una coppia di mie amiche lesbiche abbiano giurato “mai più” a seguito di pesanti apprezzamenti di un branco di burini si venga poi accusati di volere la segregazione dagli etero?
Credo che tutti noi che ci lamentiamo vorremmo solo un ambiente che ci somigli, dove essere liberi di essere quel che siamo senza temere che un coatto ci gridi “a froci!”. Un posto che sia un luogo rassicurante soprattutto per quelle persone fragili che qui possano essere quel che sono con la serenità che il mondo esterno non sempre garantisce.
Il Gay Village, è vero, è un evento a scopo di lucro dove la politica potrebbe anche non entrare ma un minimo di coerenza e rigore etico, quanto meno nel rispetto di quel “gay” che identifica la serata andrebbe garantito.
Stamattina poi, per curiosità, sono andato a vedere sulla pagina FaceBook del Village se ci fossero commenti di critica su quanto sta accadendo. Nulla. Solo pubblicazioni di status entusiastici (del gestore) sulle mirabili serata passate. Alcuni dicono che questi vengono prontamente cancellati o forse dovremmo dire censurati. Se così fosse sarebbe molto grave. Fatto sta comunque che io non ci vado, tutti i miei amici non ci vanno (e dire che ne ho davvero parecchi) e tutti per lo stesso motivo. Mi auguro che gli organizzatori prendano atto delle lamentele quanto meno per ridefinire il posizionamento della serata altrimenti farebbero tanto presto a cambiare il nome da Gay Village in Tammarro Night.
E voi che ci siete andati che impressione avete avuto?

venerdì 5 agosto 2011

A MIA MADRE.

Se non fosse per lei io non sarei qui, voi non stareste leggendo quello che scrivo e il mondo, la sua bellezza, la sua ferocia e la meraviglia che nonostante tutto continua suscitarmi non esisterebbero per me.
Se non fosse per lei non avrei mai saputo cos’è l’amore, l’abnegazione, il desiderio e il sacrificio. Non avrei mai conosciuto le avventure dell’Ape Lina prima di addormentarmi, il sapore dell’ovetto sbattuto a merenda e nessuno avrebbe tradotto le versioni di latino al liceo al posto mio.
Non mi sarei potuto mai sorprendere in quest’anno nemico della complicità di mio fratello né avrei avuto l’ulteriore conferma del sostegno degli amici che ci sono stati vicini.
Se non fosse per lei non mi sarei mai scoperto in grado di gestire le emergenze dolorose che l'hanno ferocemente perseguitata ma soprattutto non avrei conosciuto la sua commovente ostinazione di vivere malgrado tutto.
Tanti auguri mamma.

giovedì 4 agosto 2011

DIZIONARIO AFFETTIVO DELLA LINGUA ITALIANA.

























Il mio amico scrittore Matteo B Bianchi ha appena pubblicato sulla sua rivista on-line il “Dizionario affettivo della lingua italiana” sul quale suoi amici e altri autori hanno scelto una parola che li rappresentasse o che rievocasse un episodio della loro vita. E’ un’operazione interessante ma soprattutto sfiziosa e divertente e dio solo sa in questo periodo quanto abbiamo bisogno di un po’ di leggerezza ragionata.
Tra queste voci troverete anche quella scelta da me alla lettera G di “Grinta”. Andando su questo sito potrete scaricare il PDF e se volete stamparlo per portarlo con voi sotto gli ombrelloni o sui rifugi montani ma soprattutto potete e dovete diffonderlo urbi et orbi ad amici, parenti e conoscenti.
Pace e Bene.
Ale "INSY"

mercoledì 3 agosto 2011

MITI MODERNI


Per "Mitologia mediatica" oggi spieghiamo cos'è una Kimera. Figura mitologica composta da 2 o più animali. Per farvi capire guardate qui: parte Joker di Batman, parte Valeria Marini e parte Photoshop. Il risultato è Simona Ventura.
Se continua così più che X Factor le fanno condurre X File ma quanto meno ammette di aver fatto una capatina in qualche centro di chirurgia estetica e di aver fatto acquisti all'ingrosso. Non come quella buffonna di Madonna che sostiene essere tutto merito dei geni italiani se a 50 anni ne dimostra 27. Ma che geni italiani!? Le farei vedere qualche contadina calabrese di 50 anni poi me lo viene a ridire se abbiamo un DNA da paura.

martedì 2 agosto 2011

MEZZI PUBBLICI, DISASTRO TOTALE.



















La maledizione del franco-cinese Ming si abbatté sulla mia vita non appena mise piede in casa mia. Era una sera di giugno e il suo influsso malefico cagionò il furto del mio scooter, la perdita dei bagagli del suo compagno di viaggio, una stonatura di Lady Gaga l’indomani durante il Pride e l’estinzione definitiva della marmotta altoatesina.
Ma una lamia, sebbene involontaria, non si limita a danneggiare solo un aspetto della tua vita. Carambola e rimbalza come una palla sul tavolo da biliardo investendo casualmente e fatalmente tutto quel che gli si presenta davanti.
A due mesi dalla partenza del terribile Ming ho ritrovato sì lo scooter ma ha subito così tanti abusi che ora giace in prognosi riservata nella sala rianimazione di un meccanico di periferia costringendomi da 2 mesi a prendere i famigerati Mezzi Pubblici.
La prima settimana non te ne accorgi, la seconda inizi a notare che qualcosa non quadra, la terza ne hai la certezza, dalla quarta in poi ti si inocula il vibrione dell’ira e dell’intolleranza.
Entomologia ed esegesi dei passeggeri dell’85 (e di tutte le linee in generale).

I Serci:
categoria di utenti che si piazzano come macigni possibilmente davanti alle porte. Non retrocedono, sguardo basso e determinazione da soldato di trincea non cedono il passo se non travolti da un bulldozer costringendoti a sguisciare come una bisca per poter scendere alla tua fermata.

Gli Zainati:
un individuo, 2 posti. Carichi come dovessero traslocare non mollano il fardello neppure fossero collegati con una macchina per la dialisi. Non capiscono che poggiarlo a terra renderebbe più fluido il passaggio delle persone, no, non ci arrivano proprio.

La Gazza Ladra:
categoria di ladri di scorrimano. Un attimo di distrazione dovuto alla ricerca del cellulare che squilla nella tasca e la tua mano non trova più appiglio costringendoti a simulare un surfista sull’onda perfetta.

I Putrefatti:
zombi in decomposizione. Non è possibile infatti che un essere umano sia tanto refrattario all’acque e sapone. Alle 8 del mattino non puoi puzzare di vecchio e stantio. Quello è olezzo di sporcizia incatramata e antica.

Gli Indo-pakistani:
capisco che la cultura culinaria del proprio paese è un’eredità preziosa da mantenere ma sostituire l’aglio e il cumino con spezie meno letali sarebbe cosa gradita. Soprattutto all’alba.

I Pirati (solo su autobus vuoti o semi-vuoti):
puntano il posto che dovrà essere loro già 2 fermate prima. All’aprirsi delle porte si lanciano all’arrembaggio. Togliti dalla loro traiettoria o rischi di essere travolto come da una slavina.

I Contorsionisti:
riuscirebbero ad infilarsi dentro un pacchetto di Marlboro. Campioni di Tetris trovano spazi vitali dove non crescono neppure le spore.

I Puntigliosi:
mentre il bus è ormai un’entità vivente composta da organismi fusi in un sol corpo, loro devono chiedere all’autista, possibilmente mentre stanno salendo bloccando quindi la chiusura delle porte, il morivo del ritardo.
Ma che cazzo chiedi brutta idiota? Ma non lo vedi che c’è un traffico da 2012? Muovi quel cazzo di culo e facci ripartire!

I Palpeggiatori:
credevo si fossero estinti negli anni ’80 invece vedo che continuano a gratificare con la loro perversione glutei cadenti di ottuagenarie sotto litio come di sodi meloni di turiste inconsapevoli.

Annotazione finale. La crisi economica ha causato un calo del 10% sulle vendite delle auto ed è evidente la cosa dal momento che in pieno agosto i bus continuano ad essere gremiti come la curva sud in una domenica da derby.

Annotazione finale 2. Odio i vecchi che prendono i mezzi. Incattiviti dall’abbandono dei figli sciagurati che sono scappati verso placidi lidi lasciandoli a boccheggiare con una bottiglia d’acqua conficcata nel vaso della loro esistenza se la prendono con il mondo confermando che l’orso buono, il principe azzurro e il nonnino premuroso sono cazzate da favola.