mercoledì 5 dicembre 2012

LEGGERE SUL BUS.


Il tragitto che faccio la mattina in autobus è il solo della giornata che dedico alla lettura. Non sono di quelli che passano il sabato pomeriggio leggendo, in poltrona, sorseggiando un tè e la sera con il tempo che intercorre tra lo sdraiarmi e lo sprofondare in coma non riuscirei a terminare neppure il cartiglio di un bacio Perugina.
Chiunque legga sul bus sa bene come questa operazione possa risultare complicata se non addirittura acrobatica. Con una mano devi aggrapparti a un appiglio che spesso, vista la calca, è sempre piuttosto scomodo da raggiungere. Con l’altra devi reggere il libro. Avendo tutte e due gli arti occupati è necessario quindi fare sempre molta attenzione a calcolare, anzi, sincronizzare, ogni movimento. Se devo recuperare il telefono in tasca, voltare pagina o anche solo grattarmi la testa senza rischiare di cadere addosso a qualcuno sono costretto ad aspettare che il mezzo sia fermo o che si muova su una strada dritta e sgombra o che quantomeno non stia per imboccare una curva.
A causa di questa condizione, chiamiamola così, di disagio, portarsi libri troppo voluminosi è impossibile almeno quanto sperare di trovare un posto a sedere (sarebbe l’ideale e a quel punto potrei anche leggere una Bibbia d’altare).
Per questo, sebbene la qualità di un libro non si giudichi dal numero delle pagine, sono “costretto” a scegliere romanzi brevi o edizioni tascabili. Ad esempio ora sto leggendo “Un giorno questo dolore ti sarà utile”. Non ho ancora neppure superato la prima metà ma mi piace molto. La storia racconta il disagio esistenziale di un adolescente (ma non come il Giovane Holden) attraverso uno stile soavemente ironico (ma non come Sedaris).
A parte questo però mi piacciono molto anche quei bei polpettoni alla Ken Follett. Quei bei romanzi storici dove le dinamiche tra i personaggi sono per lo più quelle che strutturavano i telefilm di Facon Crest, nonostante sullo sfondo ci sia la costruzione di una cattedrale medievale nel nord della Francia feudale.
Con inutile ostinazione qualche tempo fa ho provato a portare sull’85 (la linea di autobus che predo più spesso) “La cattedrale del mare”, di Ildefonzo Falcon, un catafalco di un milione di pagine, ma a causa di una frenata brusca, una mattina, per poco non procuro una commozione cerebrale al passeggero che mi stava accanto e da allora ho desistito dal portarmi sul bus quell’arma contundente passibile di denuncia.
Così, da qualche tempo, ho iniziato ad accarezzare l’idea di convertirmi al libro elettronico che è molto più leggero, non procura traumi se urta il cranio di un essere umano e riuscirei a tenerlo comodamente tra le dita anche se mi dovessi arrampicare su una parete rocciosa.
Oltretutto io non sono così romantico da subire il fascino del libro fisico né sono di quelli che ostentano erudizione tappezzando pareti intere con i loro volumi (tranne una trentina di libri infilati in una piccola libreria della mia camera, tutti gli altri li ho stoccati in scatole di plastica ricacciati sotto il letto) quindi l’idea di averne centinaia, tutti compressi in un aggeggetto elettronico come un Kindle per me va benissimo.
Ma detto questo, non vorrei mai che collegaste il mio desiderio di averne uno con il fatto che domani è il mio compleanno, non sono mica così subdolo!


domenica 2 dicembre 2012

Sallusti o San Lusti martire?


Sallusti è evaso e non da una prigione lurida e malsana di una qualche repubblica dittatoriale del sud America ma dall’appartamento in centro di centinaia di metri quadrati della compagna Daniela Santanché.E’ evaso, dice lui, per protesta.Ripescato nella sua redazione, è stato processato per direttissima e rischia ora fino a 3 anni di detenzione.Già da qualche giorno stavo leggendo articoli, status su Facebook e cinguettate su twitter di giornalisti (molti di questi solitamente “avversari” di Sallusti) scesi in campo per criticare la condanna della magistratura trovandola eccessiva e “persecutoria”. Ma la cosa che dovrebbe far indignare non è il fatto che Sallusti sia stato condannato per un reato che di fatto esiste (e per un’azione che indiscutibilmente ha compiuto) quanto il fatto che Sallusti, in barba a una condanna che va accettata come deve fare ogni cittadino di questa repubblica, abbia approfittato di una condizione privilegiata come i domiciliari, per contravvenire nuovamente alla legge. Questo significa prendersi gioco di un sistema, disprezzarne le regole e, non ultimo, dare un esempio di disobbedienza che non va confusa con quella “civile” ma è solo un atto di presuntuosità.Se glielo chiedete, il 99% dei condannati vi dirà di essere stato trattato ingiustamente, di non aver commesso il reato o di aver subito una pena sproporzionata. Forse, ma non sta a loro sovvertire il giudizio per vie che non siano legali come invece ha fatto Sallusti che tutto è fuorché un martire o una vittima del sistema. Sallusti è semmai solo un cittadino che ha contravvenuto volontariamente a una legge, è stato condannato, e con la sua evasione non ha fatto altro che confermare come certe categorie si sentano “inviolabili”, al di sopra della legge, esattamente come i membri di quella casta politica che lui stesso, spessissimo, ha criticato dalle pagine del suo giornale.

giovedì 22 novembre 2012

IO PORTO I PANTALONI ROSA.

Andrea aveva 15 anni e non ne avrà di più. Si è tolto la vita ieri pomeriggio impiccandosi in casa a seguito degli attacchi di bullismo omofobo che subiva da più di un anno da parte dei suoi compagni di scuola. Sono addolorato e furibondo. Notizie come queste mi straziano per l'ingiustizia profonda di veder persa una vita così giovane, per l'incapacità che hanno certe le persone di comprendere come le parole possano mortificarci (sì, anche quelle 
che sembrano all'apparenza così innocue come dare del "ricchione" a qualcuno o “il ragazzo dai vestiti rosa”, come erano soliti schernire Davide i suoi compagni che hanno addirittura aperto una pagina Facebook, moderna piazza della gogna) e ancora di più per il disinteresse che quasi tutti, a partire dai politici, sembrano avere nei confronti del bullismo e dell'omofobia. Ben inteso, nessuna legge sarà mai tanto potente da azzerare casi tragici come questo. Quello che serve è una rivoluzione culturale che ci veda tutti coinvolti ma che, proprio per questo, ha bisogno di una legittimazione forte e incontrovertibile che venga anche dallo stato che condanni con una legge quello che il semplice buon senza sembra non riuscire a limitare.



PS: Ragazza e ragazzi è arrivato il momento di dimostrare che non siamo bravi solo a sdegnarci con le parole ma anche con i fatti. Stasera alle 19,30 partirà una fiaccolata in via San Giovanni in Laterano (Coming Out) per ricordare Andrea. Non fate che non potete, che avete le riunioni di condominio, X Factor o la palestra. Per favore, pubblicate ovunque il messaggio. Grazie. https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=554895897870513&id=276823222344450





martedì 20 novembre 2012

UN CABARET DI RICCHIONI


A me il cabaret mi mette una tristezza infinita. Sono comici per lo più che campano su una battuta riuscita e raramente hanno una "linea" comica più robusta e strutturata che gli permetta di andare oltre il personaggio azzeccato o dosi massicce di volgarità. Per questo evito i Colorado, gli Zelig e tutti quegli altri programmi dove il pubblico rischia l’infarto ridendo per una scorreggia di 15 secondi. Su suggerimento del sempre ottimo Spetteguless ho visto la penosa performance si Fabrizio Casalino (Questo il testo riportato sul blog di Spetteguless: "Belen  è irraggiungibile. E’ perennemente circondata da una nuvola di ricchioni. Ovunque lei vada, ci sono rcchioni che le ronzano intorno. Uno sciame di ricchioni. Per un etero Belen è irraggiungibile. O ti infiltri tra i ricchioni, ma è pericolosissimo. Quelli ti beccano in un attimo e ti crocifiggono in un atelier di Dior. Ragazzi non è facile vivere 24 ore al giorno in una nuvola di ricchioni. Noi la vediamo su una moto, attaccata al manzo di turno, ma dietro ci sono 12 ricchioni che la rincorrono. In quei pochi secondi che Belen riesce a liberarsi dai ricchioni, lei ha bisogno di ricordarsi cos’è un maschio"). 
Quindi il suo sketch ruota intorno a Belen Rodriguez, donna inarrivabile perché costantemente contornata da RICCHIONI, termine che diventa il tormentone di tutta la sua performance. Inutile fare una critica perché risulterebbe pleonastico come cercare di spiegare perché con la pioggia il bucato non si asciuga. Giusto un paio di appunti però:
Fabrizio, se la Rodriguez non ti si fila non è per il nugolo di ricchioni che la circonda ma più semplicemente perché evidentemente uno come te non arriva neppure a quel minimo sindacale richiesto per suscitare il suo interesse (e già questo è un caso davvero eccezionale visto che pare basti appena appartenere al genere maschile per suscitare comunque il suo interesse);
il testo, come afferma Casalino, è stato approvato dalla "redazione" di Colorado che immagino non sia composta da ex Marines ma presumo ci sia un discreto gruppo di RICCHIONI, per l'appunto, che avrebbero dovuto prenderlo a sberle solo per aver avuto l'idea di presentare un testo del genere. Se non lo hanno fatto, si meritano l’aggettivo di ricchioni. Ma quand'anche davvero Colorado fosse l'ultima roccaforte di etero duri e puri, comunque, avrebbero dovuto cassare un testo intollerante e omofobo perché non serve essere gay per difendere i diritti dei gay come non bisogna essere neri, né donne né diversamente abili per rispettare, condividere e proteggere i loro diritti e perché sentir ripetere per 10 minuti RICCHIONI, non fa ridere ma fa solo tristezza. 

venerdì 9 novembre 2012

45 GIRI.

Ieri stavo guardando X Factor. Durante uno degli intervalli pubblicitari è passato uno spot che aveva usato come colonna sonora il tema musicale di Robin Hood della Disney. Credo che sia una di quelle melodie che potrei riconoscere con due note appena perché è stata una delle canzoni che ho ascoltato di più in vita mia.
 Avevo 7 anni quando un amico di mio padre mi regalò un mangiadischi portatile. In realtà non era proprio un amico ma un “informatore” (mio padre lavorava in polizia). Di solito questi li andava a pescare nella mala capitolina che nella fine degli anni ’70 era davvero molto “mala” quindi dio solo sa se nell’accettare quel dono non abbia commesso il reato di ricettazione, ma mi faccio forte che dopo 30 anni il crimine è caduto sicuramente in prescrizione. Fino ad allora non avevo mai avuto una particolare passione per la musica. La sola che circolava a casa mia era quella classica che ascoltava mio nonno che insegnava musica o quella delle ninna nanne che mi cantava mia madre per farmi addormentare. Era quindi la meraviglia di avere quel piccolo gioiello di tecnologia analogico a rendermi felice più che la sua utilità. Quando aprii la confezione però mi resi conto di una cosa: per far si che la “magia” si compisse avevo bisogno di un disco da suonare. Nella nostra libreria, accanto a 3 diversi tipi di enciclopedie collezionate in “comodi fascicoli settimanali da rilegare” avevamo una collezione monumentale di dischi ma peggio del fatto che fossero per lo più opere sinfoniche, avevano il limite che si trattasse di 33 giri mentre il mio poteva riprodurre solo i 45. Il giorno seguente ero fremente all’idea di usarlo e chiesi a mia madre se poteva comprarmene uno adatto al mio giradischi.
I miei non erano quel genere di genitori che viziano i figli barattando oggetti al posto dell’affetto e c’è anche da aggiungere che noi non siamo mai stati particolarmente rompipalle.
 “Papà mi compri il robot?”.
 “No”.
 “Va bene”.
 In genere la cosa poi finiva lì.
 I giocattoli che avevo per lo più facevano tutti parte dei bottini di guerra che racimolavo durante i compleanni e che arrivavano dai miei parenti o informatori (loro sì, più munifici) e aspettare dicembre per mettere qualche disco nella lista dei desideri mi sembrava un’attesa troppo lunga e frustrante. Qualche minuto dopo però, mamma tornò con un disco ed era un 45 giri. Aveva una copertina in cartone un po’ usurata. Sopra c’era disegnata una donna abbracciata da un uomo, entrambe avevano uno sguardo voluttuoso e romantico. Nell’insieme sembrava la copertina di un romanzo Armony e in effetti non eravamo molto lontani visto che era “Il tema di Lara”, la colonna sonora de “Il Dottor Zivago”.
 Io non avevo la minima idea di che musica si trattasse. Ero molto più interessato a verificare il funzionamento del mio “tesoro” e per quanto mi riguardava poteva anche essere una lezione di lingua e grammatica coreana. Lo infilai tutto contento e subito partì la musica. Ripensando alla qualità a cui siamo abituati oggi, quella di allora sembrava piuttosto il rumore di una macina per il grano e certamente il mio mangiadischi non era neppure il migliore in circolazione ma era la “mia” musica, potevo scegliere di ascoltarla quando volevo e, soprattutto dove volevo, grazie alla comoda maniglia il metallo che mi permetteva di portarlo sempre con me!
 Chi fosse entrato ne pomeriggi successivi in camera mia avrebbe quindi visto un bambino di 7 anni fare i compito ascoltando un melò musicale melenso e ridondante che non c’entrava proprio nulla con lui.
 Qualche giorno dopo mia madre mi portò dalla signora “Omino di ferro” (aveva un negozio di abbigliamento per bambini dove i vestiti erano appunto della celebre marca antidiluviana, per cui la signora aveva preso come patronimico il titolo della marca).
Potevamo anche non avere una cesta di giocattoli colma ma, “Mi raccomando, tutti ben vestiti”. Io avevo con me il mangiadischi che nonostante pesasse 45 kg, lo trasportavo con la disinvoltura di un moderno lettore MP3. Mentre provavo i vestiti (operazione che poteva prendere anche un pomeriggio intero dal momento che dovevano andare bene a me, a mia madre, alla signora “omino di ferro” e rispettare il budget fissato) in sottofondo sentivamo a loop “Il tema di Lara” (lato A e B erano uguali, quindi una tortura da Guantanamo).
Fu probabilmente la disperazione della negoziante che a un certo punto le fece tirare fuori non so neppure da dove un 45 giri. Meraviglia! Anche questo con una copertina lisa ma a differenza del mio, sopra c’erano dei cartoni animati il che aveva su di me un fascino sicuramente maggiore di un vecchio film con Omar Sharif.
 Era appunto la colonna sonora di “Robin Hood” della Disney, quello con lady Cocca e Marion interpretata da una volpina sexy. “Tieni, te lo regalo”, mi disse la signora asciugandosi un sudore da stress che le aveva imperlato la fronte. Guardai mia madre prima di accettare la quale, evidentemente anche lei provata da quel tema che suonava tutto il giorno in casa, fu ben lieta del fatto che ampliassi i miei orizzonti musicali. Da quel giorno “Cantagallo” affiancò “Lara” in un’alternanza musicale quasi perfetta che proseguì fino al giorno in cui la mia curiosità non mi portò ad aprire il mangiadischi per vedere come fosse fatto dentro. Incapace di ricomporlo, finì per romperlo rimanendo muto e sventrato nella sua scatola nell’attesa illusoria di una riparazione che non si sapeva bene chi avrebbe dovuto farla e dovetti aspettare un paio di compleanni per tornare ad ascoltare della musica “mia” quando zia mi regalò il primo walkman per cassette dando il via all’era delle compilation fatte registrando le canzoni dalla radio.

martedì 16 ottobre 2012

LEZIONI NOTTURNE.

Non posso certo definirmi una persona religiosa. In realtà la spiritualità intesa anche come tensione verso il trascendente non mi appartiene per niente. Mi posiziono in quel limbo un po’ vile degli agnostici che non hanno il coraggio di dire che non esiste un Dio ma allo stesso tempo non hanno lo stoicismo di affermare che quando si spegne la luce la festa è finita. Ieri sera, come faccio spesso, mi metto a letto lasciando la televisione accesa su Discovery. Lo faccio spesso perché i documentari hanno su di me lo stesso effetto delle favole lette dalla nonna. L’argomento era la nascita dell’universo, una cosa leggera insomma. A raccontare il T con 0 era Stephen Hawking, uno scienziato paraplegico che sembra uscito da un libro di epos Greco: tanto il suo corpo è inerme e inservibile tanto la sua mente è capace di ragionamenti prodigiosi. Insomma ora neppure se avessi ascoltato la sua spiegazione dodici volte di seguito vi saprei ridire il perché lui porta una prova scientifica dell’inesistenza di Dio ma è una di quelle cose che se le sente anche il Papa si toglie tiara e tunica e si butta nel primo bar di lap dance della riviera Romagnola. Sarebbe facile dire come uno tanto disgraziato non possa che essere ateo dal momento che se al contrario avesse creduto in un dio creatore avrebbe passato anni a scrivere libri di bestemmie piuttosto che trattati di cosmologia. Ma la sua non è stata una riflessione amara o risentita perché subito dopo ha usato un termine che non ti aspetteresti mai da uno nelle sue condizioni: gratitudine. Quello che ha espresso, con altri termini meno prosaici dei miei, è che si sente grato al cosmo per avergli dato la vita e riconoscente a tutta quella serie di eventi fisici e chimici che hanno fatto si che lui esistesse e che avesse coscienza del mondo che lo circonda portandolo a dire, appunto, di essere grato di esistere, anche in queste condizioni rivelando un sentimento assolutamente “spirituale” benché saldamente radicato alla scienza. Ora qualche giorno fa parlavo con un’amica che sta affrontando un percorso di consapevolezza spirituale personale e mi raccontava qualcosa che mia madre mi dice da quando sono nato (e per il quale la prendo spesso e volentieri per il culo) ovvero che “nulla accade per nulla”. Certo non è la rivelazione dei Maya ma ad ogni modo ieri ero particolarmente provato per tutta una serie di cazzi di cui non starò qui a tediarvi e allora quando poi ho sentito dire da un uomo accartocciato su se stesso che può comunicare solo attraverso un lettore ottico del bulbo oculare (il solo muscolo che ancora può gestire) di essere comunque riconoscente per la vita e per il fatto di poter continuare sempre e ancora a sperimentarla, oh, ma che vi devo dire, mi sono sentiti un deficiente per aver anche solo avuto un pensiero di autocommiserazione. Vabbé, tutto qua…

lunedì 8 ottobre 2012

DIOGENE LIFE STYLE.

A metà del mese scade l’assicurazione dello scooter che non sto guidando visto che mi è stata tolta la patente. È parcheggiato sotto casa da almeno tre mesi e la cosa che mi sorprendeva di più quando uscendo dal portone davo uno sguardo fugace al mio destriero solitario era il fatto che non me lo avessero ancora ri-rubato. Sabato scendo per prendere i documenti e verificare che l’assicurazione non sia una di quelle trappole da silenzio assenso che poi devi portare il video dell’operazione durante la quale si mostra chiaramente che ti hanno amputato braccia e gambe per garantirti l’annullamento retroattivo della polizza. Vado verso il motorino con le chiavi in mano quando vedo dei fili pendere dallo sciassi dello scoter. È già questo non è un buon presagio. Ecco svelato perché il mio motorino non era stato ancora rubato: prima di un ladro di scooter è stato vittima di un ladro di batterie. Arrabbiato? Macché, quella l’ho già tutta esaurita tra la prima volta che me lo hanno fregato, per quando me lo hanno ritrovato in brandelli, per quando il camion della nettezza urbana ci ha scaricato sopra un cassonetto per errore e per quando mi si sono rubati bauletto e parabrezza. Insomma, se c’è gente che paga per dei corsi di yoga io il raggiungimento dell’atarassia l’ho raggiunta con questo scooter. Valore del furto? 30 euro ma al mercato dell’usato è già tanto se ci si paga mezzo grammo di ketamina. Non penso proprio a questo punto né di farlo riaggiustare, né di comprarne uno nuovo, un cavallo mi costerebbe tropo di biada e poi con questi chiari di luna capace che me lo abbattono per farne salsicce. Visto che la macchina è fuori questione (oltre che fuori budget) le soluzioni restano i mezzi e il buon cuore degli amici che difronte a sapienti scene madri “no, non vi preoccupate, io non vengo, è troppo lontano e con i mezzi la sera non ce la posso fare”, si sentono costretti a darmi uno strappo. Non solo ma a questo punto ho deciso di abbracciare in pieno la filosofia di Diogene che in breve sarebbe quel filosofo greco che si era liberato di tutti gli oggetti materiali, viveva in una botte e usava solo una ciotola per bere fino a quando, vedendo un bambino usare la mano per portarsi l’acqua alla bocca, decise di dar via anche quell’ultimo orpello. La stessa cosa voglio fare anche nella mia vita perché ormai quello che prima era indispensabile può sempre diventare superfluo. E tra tasse governative e furti e ladri di fidanzati, meno cose hai meno possibilità ci sono di essere ripuliti.

lunedì 24 settembre 2012

RITARDI, RICORDI.

Ieri sono passato per caso a San Lorenzo. Dovevo vedere un amico e per non farlo perdere nell’intrico del quartiere gli ho dato appuntamento sotto la mia vecchia casa. Ho vissuto in quell’appartamento per quasi 10 anni. Lì ho imparato a caricare una lavatrice, a pagare le bollette, a coabitare con persone che non erano della mia famiglia e nel frattempo la storia d’amore che credevo mi avrebbe accompagnato alla vecchiaia è finita. In quella casa c’ho aperto il mio blog, scritto un libro, perso un lavoro e alla fine è arrivato anche lo sfratto. Ero lì sotto mentre il mio amico tardava e con curiosità nostalgica fissavo le finestre del primo piano che corrispondevano alla mia camera. Le imposte erano aperte e intravedevo una bandiera americana appesa al muro, altro non riuscivo a vedere. Mentre allungavo il collo mi immaginavo come i nuovi inquilini avessero arredato la casa, che cambiamenti avessero fatto, se si fossero chiesti che ci a abitava prima, esattamente come me lo chiedevo io di loro adesso. Poi vedo una ragazza affacciarsi dalla cucina. Giovane, carina, aveva lo sguardo assonnato della domenica mattina e una canottierina perfetta per il suo corpo esile. Non so se si è accorta che la stavo guardando, forse sì. Si sarà chiesta chi fossi? Avrà creduto che stessi ammirando lei o incredibilmente avrà intuito che ero “quello” prima di lei? Non credo. Mentre il mio amico continuava ad accumulare ritardo, io me ne restavo lì sotto, impalato, con lo sguardo fisso alle finestre come un amante rifiutato e ho iniziato a ricordare la cassiera depressa della GS, Celestino e il suo bar sotto casa, la trans triste, la cieca che passava tutti i pomeriggi anticipata dal rumore del bastone battuto sui muri dei palazzi, i cani delle “zecche” legati con la corda, gli amori che invece erano calessi, le bevute che ti storcono la mente, i pranzi con gli amici “tutti in piedi perché non ho sedie, eh!” e gli studenti calabresi ubriachi alle 4 del mattino che cercano di farsi qualche collega sempre troppo poco bevuta per dirgli di si e io, insonne, che sento nel silenzio della via le loro conversazioni biascicate osservandoli dalle persiane socchiuse. Grazie amico per il tuo ritardo.

sabato 22 settembre 2012

IKEAL POLITK

il nuovo spot di Ikea sta avendo un successo incredibile, soprattutto tra i gay. Per la prima volta in Italia viene rappresentata una coppia omosessuale che, lungi dall'essere Renato&Alben, incarna il desiderio di moti di essere coppia senza fingersi altro. E quel “E’ arrivato il momento di dire basta” da slogan commerciale diventa quasi un incitamento politico. Lo speker prosegue spronandoci ad abbattere le convenzioni con quel filo di retorica che potrebbe sembrarci eccessivo se pensiamo che lo sta dicendo con l’intento di farci comprare il divano Granculla, ma noi, forse davvero stanchi delle porcate che ci circondano, vogliamo leggerci anche dell’altro, e ci piace così. L’obiettivo di un’azienda, si sa, è vendere e il suo successo è tanto più certo quanto maggiore e la soddisfazione di un cliente. Se ci penso, è un po’ come dovrebbe essere la politica e i nostri partiti e a prescindere dagli assunti ideologici, quello che ci aspetteremmo da uno schieramento dovrebbe essere la soddisfazione dell’elettorato ma: “chete lo dico a fare...”. Alla fine della fiera, a prescindere dagli obiettivi commerciali, mi dico che Ikea ha avuto il coraggio di schierarsi più di quanto facciano i partiti della sinistra. E’ vero, se i gay smettessero di compare da Ikea questa finirebbe a vendere canestri di vimini intrecciata nei mercatini paesani ma intanto hanno preso una posizione, senza dover “riflettere”, come affermano i nostri politici, su questioni “delicate” che sono tali solo per le loro pavide manovre di potere. Ora non che pretenda che il quadro dirigenziale del mobilificio svedese prenda d’un colpo il posto di Bersani, Alfano e Di Pietro ma fossi in questi ultimi ragionerei sul fatto semplice, evidente, lampante che la gente è ben più avanti di loro e che anche il marketing (che per suo mandato naturale segue i gusti del pubblico) si volta indietro e gli fa “ciao, ciao” con la manina. Sospettare con scetticismo che lo facciano perché ora i gay sono di moda (?!), per quanto assurdo è comunque lecito ma è pur vero che schierarsi a favore delle “diversità”, compiace tanto pubblico quanto altrettanto ne dispiace (e questo significa boicottaggio e perdita di clienti). Io, troppo spesso purtroppo, sono l’esempio vivente dell’effetto seduttivo della pubblicità (comprerei anche assorbenti interni se facessero uno spot che mi piace) ma, sarò scemo, se un’azienda mi gratifica sostenendo quelli che sono i miei principi politici (oltre che i miei gusti nell’arredamento), anche se ormai non ho più mobili da comprare ne spazio dove eventualmente metterli, sono comunque disposto a farmi 40 minuti di macchina, 30 di ricerca del parcheggio e 20 di fila alle casse (tanto di meglio d fare il sabato sera non ne ho quasi mai…) anche solo per comprare 3 tazze, 2 candele profumate e 12 pacchi di biscotti al zenzero.

mercoledì 19 settembre 2012

SPOSERO' FLAVIO BRIATORE.



Ho sempre pensato che Flavio Briatore fosse un uomo borioso e arrogante, indeciso se disprezzarlo di più per non aver voluto riconoscere il figlio fatto con Heidi Klum o per aver sposato Elisabetta Gregoraci. Dopo aver visto la prima puntata di The Apprentice però, non ho cambiato di una virgola la mia opinione ma nonostante questo vorrei anche io un figlio da lui, anche se mi costringesse a chiamarlo Allodola Pancrazio.
In 2 parole il format: ci sono 14 aspiranti qualcosa-tipo-manager che ogni settimana devono superare una prova gestione di un business divisi in due team, che perde elimina un membro.
Il premio: lavorare con un contratto annuale (anche qui ormai sono a tempo determinato) con Flavio, il che, visto il tritacarne umano che è, mi sembra più come una punizione.
Ora uno si aspetta che siano state scelte 14 menti eccelse nel campo, dei giovani Zuckerberg, Brenson o Cook invece sembrano usciti da una classe di sostegno di un istituto Montessori. Ovviamente l’originale americano non ha nulla a che vedere con questo. Qui abbiamo Briatore che è proprietario di quell’area di servizio per troioni che è il Billionaire, Trump ha 4 grattaceli a New York City che con una buona dose di autostima ha chiamato: Trump Towers, o Trump Plaza, o Trump “It’s all mine!!”. The Apprentice USA ha come prova ad esempio la creazione di una stazione radiofonica nazionale, la realizzazione della campagna di lancio, la ricerca di sponsor e la quotazione in borsa. Qui li mandano alle 3 del mattino al mercato generale per comprare del pesce e rivenderlo alle vecchie che alle 8 del mattina sono già di ronda con le loro borse a rotelle. E la cosa più avvilente è che i candidati non sono neppure capaci di fare questo! Insomma come è immaginabile sono una ciurma di wannabe, cresciuto con il mito di “Wall Street” (quello di Olivewr Stone) ma le capacità organizzative dei criceti di Alvin Superstar. Insomma ho visto delle Coccinelle e dei Lupetti pianificare meglio un pic nic in montagna di quanto cerchino di fare loro tirando fuori le teorie keinesiane per vendere il branzino al mercato rionale. Le ragazze ovviamente credono di essere una miscela esplosiva di bonaggine da Costa Smeralda e una mente da nobel e il massimo della strategia è andare dai venditori e chiedere sconti perché “dai siamo delle belle ragazze!” (e vaffanculo 30 anni di femminismo), mentre ai ragazzi non gli chiederei neppure di fare il conto delle bollette in casa e dividerle tra noi coinquilini.
Il tutto è ambientato nei nuovi grattaceli di Milano: una down town Manhattan desertica e algida come Stoccarda ma sicuramente molto d’effetto. Il programma in se non è il massimo del brio e a tratti se la batte con le ricette di Benedetta Parodi se non fosse per le apparizioni appunto di Briatore che tratta, giustamente, i concorrenti come meritano: a pezze in faccia. Non cerca neppure di mascherare l’espressione di profondo disgusto quando il team dei ragazzi gli comunica che il nome da loro scelto è Il Gruppo che ha lo stesso guizzo creativo del chiamare un’acqua minerale “L’Acqua”. “Fa veramente cagare”, ha esordito Flavio appena gli hanno detto il nome e dopo le motivazioni strategiche, analitiche, sociologiche raccontate dal creatore del nome ha ribadito: “bella cagata”. Tante volte il concetto fosse stato precedentemente perso.
Insomma il suo sentirsi 100 metri sopra a loro (gli piace vincere facile…) ci regala uno spettacolo da antologia, degno di Blob dove ti da del “deficiente” se ti dice bene e dove lo sguardo vitreo da attacco di diarrea fulminate dei concorrenti durante i cazziatoni merita di sopportare 45 minuti di noia in attesa di questi 15 dove “the boss” prende la loro dignità e ci si pulisce i mocassini-pantofola scamosciati TOD’S.

Flavio Briatore
"Il boss ha sempre ragione, anche quando ha torto".

martedì 18 settembre 2012

RUPERT NON PARLA CERTO PER TUTTI I GAY DELLA TERRA...


Insomma la polemica da parrucchiera del momento è la dichiarazione di Rupert Everett riguardo l'omogenitorialità che, secondo lui, è quanto di più deleterio per un bambino. Ora, il punto secondo me sta tutto il quel "secondo lui". Il fatto che sia gay non lo obbliga innanzitutto a difendere sempre e comunque le cause del "movimento" né tantomeno si è arrogato il diritto di parlare per mandato divino a nome di tutti i gay della terra. Everet ha espresso un giudizio che va considerato per quello che è: una semplice opinione la quale (personalmente dico: per fortuna) non sposta di una virgola il percorso politico teso alla parità dei diritti, anche nella genitorialità. Insomma per me fa meno scalpore sentire un attore, certo gay, che dichiara di non essere d'accordo nel far allevare un bambino da 2 papà, piuttosto che la reticenza, quando non avversione manifesta, dei politici (anche di sinistra) che senza dati o senza fondamenti scientifici ma solo sulla base di un loro millantato "buon senso" (e quello di gente come Borghezio o della Binetti stento a riconoscerlo) si ostinano a fronteggiare ogni forma di dibattito, divisi come sono tra la ricerca di consenso e un'ottusità politica e umana.

venerdì 14 settembre 2012

LIGHT ILLUSION



Giorno XX di dieta e a ogni boccone di petto di pollo alla piastra, a ogni foglia di insalata ingurgitata mi pento per le teglie di pizza e quelle cascate di patatine fritte mangiate quest’estate solo per gola, mica per fame, ovvio.
Ma non solo: gli alcolici sono assolutamente banditi. Ora, io non sono uno che ha la cultura del bicchiere di vino durante i pasti né ho il palato sopraffino di Michele per apprezzare un whisky di malto sapientemente invecchiato e tra un Tavernello del 2012 e un Brunello di Montalcino trovo poche differenze ma la birra è la mia passione. Mi disseta, mi piace il sapore leggermente aspro e la sua sportiva informalità da “ci vediamo per una birretta?”. Ma, purtroppo anche questa è alcolica, e quando ho scoperto che una media chiara è l’equivalente di un piatto di pasta, con mio rammarico, ho dovuto dire addio anche a questo ultimo piacere.
Qualche giorno fa vado a fare la spesa: la solita routine di prodotti che il peso te lo fanno perdere non tanto perché dietetici ma perché dopo un po’ il tonno al naturale e i pomodori, la fame te la fanno proprio passare. Quando a un certo punto vedo loro: le birre a 0 gradi (e quindi quasi a 0 calorie). Sono sempre stato un po’ scettico delle versioni light dei cibi: voglio dire se devi farti una parmigiana con le melanzane alla griglia e non fritte, con il caprino invece della mozzarella, con la passata senza soffritto, a questo punto chiamamela pure “rododendro” ma non offendere l’originale dandole lo stesso nome e sopratutto, se devo mangiare un surrogato tanto insipido preferisco digiunare. Ad ogni modo la compro come un tabagista si accontenta di una sigaretta elettrica. Beh, sarà l’effetto placebo eppure non solo il sapore è lo stesso ma a un certo punto mi è sembrato addirittura desse la stessa euforia di quella alcolica. Quando si dice il potere della suggestione (o spasimi di disperazione...)

PS: solo ora che ho fatto la foto mi sono accorto che sul bicchiere che mi hanno regalato durante un party, c'è impresso il claim: "what women drink". Per favore, niente battute pleonastiche...

giovedì 6 settembre 2012

BAT-MAN E L'ILLUSIONE DELL'EROE.


Ho visto “Il Cavaliere Oscuro” e nonostante il finale minacciosamente aperto su una non certificata morte di Bruce Waine temo non sarò l’ultimo capitolo.
Come per Harry Potter, potete anche minacciarmi con una pentola di olio bollente: io non saprei dirvi cosa è accaduto nei capitoli precedenti ma sono comunque lieto che le mie cellule cerebrali non abbiano sacrificato il ricordo della prima gita al liceo o il mio numero di telefono per conservare memoria della sceneggiatura di questi film (stessa sorte toccherà anche a questo in un massimo di 48 ore).
Tra tutti i supereroi Batman è sempre stato quello che mi ha convinto meno. Certo ha più accessori delle tre sorelle Kardashan messe insieme, ma non ha super poteri (non è stato morso da un ragno radioattivo, non viene da Kripton…) e poi a me lo stile sadomaso mi spaventa un po’.
Ma la cosa che sopporto meno di BM è che un giustiziere della note, un paladino della giustizia, un flagello della mala (e qui non parliamo di ladri di polli ma di spietati assassini che vogliono distruggere il mondo e che uccidono con la stessa facilità con la quale io metto i ”like” su facebook) non può decide di affrontare il nemico armato fino ai denti senza sparare un colpo, pretendendo di annientarli con 2 sberle e un calcio in culo.
L’ultimo dei super nemici oltretutto è un cristo di 2 metri che ha muscoli anche sulle unghie, ha una specie di respiratore artificiale che gli procura una voce tanto cupa e terrificante che anche solo se ti chiede l’ora ti si fratturano 4 vertebre. Come non bastasse, ha delle armi che si vedono solo nei film di fantascienza, ma di quelli ambientati almeno nel 3776.
A fronte di tutto questo Barman che fa? Gli va sotto con 2 mossette sorpassate già ai tempi di Ku-Fu con Franco e Ciccio (tant’è che ci scaglia e il super cattivo gli spezza la schiena mentre sull’altra mano c’è una thailandese che gli sta facendo la manicure.
Ora io capisco che dopo aver vietato agli americani di fumare anche nel mezzo del deserto del Mojave il prossimo target (giustissimo per altro) dell’amministrazione Obama è la vendita incondizionata delle armi, capisco pure che Nolan sia a favore di questa politica e quindi abbia requisito dalla bat-caverna anche la cerbottana fatta con una Bic) ma il messaggio “pacifista” di Batman non solo è irreale ma totalmente ipocrita anche perché, non sparerà un colpo, ma ci sono più scontri in quel film che in una stagione del Gay Village.
Il fatto è che quanto meno i film degli X Man (ma anche Superman, l’Uomo Ragno e tutti i super dotati che non siano attori della Bel Ami) si pongono ad un livello fantastico, iperumano, favolistico che nella loro evidente irrealtà creano un distacco dalle nostre vite diventando divertimento e non esempio (a meno che voi non spariate raggi infrarossi dagli occhi o non abbiate il potere di trasformarvi in roccia). L’idea invece dell’eroe mortale, che fa 4 flessione, si mette una guaina in testa e esce a fare stragi invece è qualcosa che per quanto folle ci fa dire “beh, I can do that!”. E così è un attimo che ti ritrovi con un occhio nero per aver fronteggiato lo stronzo del condominio che ti parcheggia sempre davanti all’uscita del tuo box invece di fare una semplice telefonata ai vigili urbani (camuffando la voce e chiamando ovviamente da una cabina telefonica a 10 km da casa tua).


lunedì 3 settembre 2012

TAGLIA 00


Quest’estate ho avuto un piccolo problema con la gestione dei flussi calorici nel mio organismo. Preso il via in America dove non ho lesinato sui pasti e confortato dall’illusione che “tanto cammino tutto il giorno quindi brucio”, sono tornato a Roma continuando con quest’andazzo con l’aggravante che alzarsi dalla tavola per raggiungere la poltrona non è esattamente quel genere di attività fisica consigliata su Men’s Health nel servizio intitolato “10 segreti per tornare in forma dopo le vacanze”.
Nel mio armadio per fortuna ho pantaloni di tutte le taglie, testimoni della mia pluriennale instabilità alimentare. A giugno ho iniziato la scalata e finché dalla 42 passavo alla 44 andava ancora tutto abbastanza bene. Poi ho iniziato a non mettere più la cinta e alla soglia della 46 ero nel panico totale.
La mia amica Egizia è da sempre meglio nota come “La Donna Piena D’Amore” per il suo approccio compassionevole nei confronti del mondo, una visione olistica e monteverdina della filosofia hippy degli anni ’60. In questo periodo sta lavorando come ufficio stampa per R2R, una nuova marca di abbigliamento talmente fica che puoi acquistarne i capi solo comprando on-line. Ora, io lo so che se ho bisogno di un paio di jeans (che mi entrino) potrei anche comprarmeli da solo ma l’idea di scroccarne uno da lei, donna generosa, era troppo forte per cui la chiama e, subdolamente, le inizio a fare complimenti sulla linea vista sul sito come neppure fosse lei la stilista.
O sono un pessimo adulatore o lei mi conosce troppo bene perché dopo 30 secondi mi blocca e mi chiede: “che te serve?”.
“Un paio di jeans, ti prego, non entro più nei miei e mi scoccia comprarne uno della mia taglia (attuale). Tanto domani inizio la dieta Ramadan e sono sicuro che tempo una settimana torno alla mia solita. Tanto che ci metto a perdere 5 chili?”, le dico tutto d’un fiato con il sollievo di chi messo sotto pressione dagli inquirenti confessa un delitto per liberarsi la coscienza.
Egy, come ho detto è dispensatrice di amore cosmico, di generosità sconfinata e altruismo rarissimo (e poi leggerà questo post) e mi dice che mi farà spedire un paio di pantaloni.
L’altro giorno arriva un pacco che corro a ritirare più o meno con la foga di un alluvionato all’arrivo della camionetta dei viveri della guardia nazionale.
Squarcio la confezione. I jeans sono davvero molto belli ma c’è qualcosa che non mi torna. Frugo sulla vita quando leggo: tag. 44!
Deve essere stata una svista perché mi pare di essere stato chiaro con lei sul fatto di essere (un po’) ingrassato.
La chiamo comunque per ringraziarla e dopo i necessari salamelecchi introduco la questione.
“Egy, scusa cara, ci deve essere stato un piccolo errore”, le faccio con un tono deferente.
“Quale?”, risponde.
“Ti ricordi che ti avevo detto che avevo un piccolo problema, per altro passeggero, di peso e che quindi mi serviva una taglia un po’ grande?”.
Evidentemente da quando lavora nella moda ha la mentre deformata perché mi risponde: “beh, ti ho mandato una 44, il modello portava la 42!”, come se fossi io quello che vive su un altro mondo. “Ma perché te quanto porti adesso?”, insiste.
“Quarantot…sei!”, rispondo pateticamente.
“A si?! Beh almeno adesso ha un incentivo per buttare giù la pancia”. Sì, è sempre lei, la donna piena d’amore, comprensiva, affabile, etc, etc…

PS: la prossima volta le chiederò una sciarpa, una borsa o qualsiasi altra cosa che non si produca in taglie.

giovedì 30 agosto 2012

DIFFERENZIATA, LA NUOVA OSSESSIONE.



















Ho l’idea per un nuovo format TV. Si intitola “E questo dove lo butto?”. In realtà si tratta più che altro di un quiz. Al concorrente viene dato un cassonetto pieno di immondizia e 4 buste: una per l’umido, uno per i non riciclabili, uno per vetro, plastica e metallo e l’ultimo nel quale infilare la carta.
Mi è venuto in mente ieri quando, dopo aver scartato un cremino, sono rimasto con la confezione in mano composta da un lato esterno in carta e uno interno con la superficie argentata. “E questo dove lo butto? In carta o in metallo?”. Ho provato a chiedere a dei colleghi non facendo altro che diffondere terrore in ufficio, c’è chi ha persino cercato una risposta su Google. Ora tanto impegno potrebbe sembrare parossistico se non il chiaro sintomo di una nevrosi collettiva ma da quando sono arrivate le circolari condominiali che intimano una raccolta differenziata scrupolosa, pena la ghigliottina, viviamo tutti in un costante regime di terrore.
Il risvolto drammatico della differenziata oltretutto è costituito non solo dal pericolo di essere multato in flagranza di reato ma anche dalla delazione di chi ti circonda che sta creando un rinnovato clima di terrore che non si vedeva dai tempi della guerra dove si regolavano vecchi conti in sospeso e liti condominiali attraverso l’accusa reciproca di collaborazionismo.
Io li sento benissimo gli occhi dei vicini conficcati dietro la mia nuca mentre, da dietro le persiane semi abbassate, aspettano un mio errore per poter chiamare i vigli mentre, con il mio bustone, sono davanti ai 4 raccoglitori nel cortile. La pressione è tanta, altro che esami universitari o colloqui di lavoro: indugio terrorizzato all’idea di mettere per errore una lattina di coca nel raccoglitore della carta e se mai fosse, preferirei sventrare il coperchio con un piede di porco tuffandomi dentro per recuperare l’errore prima che una pattugli a sirene spiegate venga a trarmi in ceppi mentre quella stronza del primo piano ha ancora la cornetta del telefono fumante.
Ma vi starete adesso chiedendo che fine abbia poi tatto fare alla carta del cremino (e non perché vi interessi davvero la mia sorte quanto piuttosto per avere un’informazione sulla differenziata che un giorno potrebbe salvarvi da una multa). Lo sto tenendo ancora in tasca. Più tardi prenderò un bus del quale non posso rivelare la destinazione e, notte tempo, con un passamontagna ben calato sul volto, lo getterò in un cassonetto qualsiasi facendo molta attenzione a che nessuno mi veda.

mercoledì 29 agosto 2012

TETTARELLE AL VENTO.





Ieri sera ero in un ristorante al Pigneto, di quelli talmente alternativi da diventare più borghesi della Pergola dei cavalieri Hilton. Pullulava di attori emergenti, parrucchieri alternativi, hipster di 12 chili e donne, tante donne, in gruppo tra di loro o con gli amici cicis-gay (il che è pure quasi peggio). Nonostante l’ora tarda, c’era anche un nutrito gruppo di quelle che io chiamo “le madri fiere”: ovvero quelle donne (meglio se primipare) che per il solo fatto di aver messo al mondo una creatura si sentono come degli eroi di guerra ai quali tributare onori e ammirazione. Equidistribuite tra le varie comitive, nel bel mezzo dei loro racconti vacanzieri, a turno, tiravano fuori le tette gonfie di latte e, con un certo automatismo, le infilavano in bocca al loro neonato, senza minimamente scomporsi o perdere il filo del discorso e senza neppure scomodarsi a controllare se gliel'avessero infilate nella bocca o in un occhio, totalmente incuranti del fatto che stavano condividendo un gesto intimità con persone che neppure sanno come ti chiami.
Senza poi contare gli sguardi imbarazzati dei loro interlocutori che mentre parlavano del viaggio in barca a vela sulle coste della Croazia le vedevano armeggiare con queste tette zampillanti e dovevano mantenere un’espressione impassibile mentre nella loro testa continuavano a ripetersi: “non guardargli la tetta, non guardargli la tetta, non guardargli la tetta!!!”.
Certo in vita mia ho visto tirare fuori ben altro che un seno e in ambiti ben più affollati ma quello che mi chiedo: aspettare di tornare a casa per allattare il pargolo o accomiatarsi prima, senza necessariamente fare mezzanotte, per dedicarsi con un po' più di cura a la creatura senza farci mangiare un filetto vedendo zinne da per tutto che farebbero passare la fame anche a un lupo della steppa siberiana, proprio no?

giovedì 26 luglio 2012

PERCHE' FARSI UNA MACCHINA SPORTIVA SE POI DEVI USARLA COME PASSEGGINO?



Stavo leggendo una notizia su Alessandra Martinez che a 50 anni aspetta un figlio dal compagno di 30. Guardo sempre con un certo scetticismo la decisione quante decidono diventare mamme ad un’età avanzata. È vero, oggi una donna di mezz’età, con il fisico allenato da sempre come è quello della Martinez e vissuto tra gli agi della vita moderna affronta una gravidanza con un’energia diversa rispetto a una coetanea di 100 anni fa che aveva passato la vita nei campi e alla soglia dei 50 era buona solo per filare la lana raccontando favole ai nipoti accanto al camino ma quello che mi colpisce delle “giaguare” moderne è questa ostinata necessità di procreare con compagni giovanissimi.
Insomma una si da un gran da fare tra palestra, pilates, vitamine, diete proteiche, chirurgia estetica (“no, devo tutto ai miei ottimi geni”, certo perché noi veniamo dalla montagna del sapone…) coronando poi il suo successo seducendo virgulti che le conoscono per averne letto sui libri di storia e invece di godersi l’impeto di uno che ti sveglia 3 volte la notte per fare sesso, dopo un po’ decidono di farci un figlio.
Certo anche Belen è incinta (credo…la notizia dipende sempre dal fidanzato del momento e se il gradimento del pubblico è in calo) ma a 26 anni questa è capace di partorire mentre fa sci nautico a Formentera e una settimana dopo è già pronta per sfilare per Miss Bikini. Vuoi mettere invece una donna di 50 anni? Peti, nausee, la pancia che si ingrossa, la ricrescita bianca dei capelli che non puoi tingere per paura dell’ammoniaca e i dolori alla schiena un po’ per la gravidanza un po’ perché c’hai un’età, insomma tutta roba che smonta l’impeto virile come un ghiacciolo lanciato nelle mutande.
Quello che a noi attempati piace dei giovani è la loro energia, la loro irruenza, l’odore della carne fresca e tesa e li frequentiamo perché, illusorio o meno, ci regalino l’illusione di “una botta di vita” e non perché li si pieghi poi a condurre insieme a una vita di mezz’età che potevamo fare con un nostro coetaneo (almeno con loro se gli parli di Uan, il cane rosa di “Bin, bun, ban”, sanno di che si tratta). Insomma, per come la vedo io, se ti fai una Maserati è per fare il coatto a 300 all’ora per le strade della Costa Azzurra e non per soffocargli il motore procedendo a 50 all’ora sennò il pupo poi si sveglia.

giovedì 19 luglio 2012

HO UN SASSOLINO NELLA SCARPA...



Oggi ero al solito centro analisi che per un mese ho visitato regolarmente ogni settimana sottoponendomi ai controlli per riottenere la patente. Per vedersela sospesa. Siamo tutti d'accordo che non si guida se si è bevuto, e su questo non ho nulla da eccepire: la responsabilità della pena è solo nostra. La cosa che però contesto che che mi sembra che allo Stato la cosa che interessi sia solo punire, non rieducare, possibilmente lucrandoci sopra. Solo di analisi, a Roma, devi sborsare non meno di 500 euro. Dopo di che, ti viene ridata come un ostaggio per il quale si è pagato un riscatto ma: NON un programma di educazione stradale, NON una campagna nazionale contro la guida in stato di ebbrezza, NON un corso sulle conseguenze della guida da ubriachi o un turno in corsia al centro traumatologico che ti mostrino e ti spieghino che non si guida ubriachi non perché poi devi pagare l'ira di dio di multe ma perché puoi causare danni a te e agli altri. Se invece di colpire solo le tasche si agisse anche sulla coscienza che tutti, bene o male, abbiamo assumendosi il ruolo, lo Stato, non solo di punitore ma anche di educatore, forse, e dico forse, molta gente non si metterebbe più alla guida di un'auto neppure con un mon cherie in corpo e sarebbe un atteggiamento da stato civile se i soldi pagarti in multe venissero reimpiegati in un programma vero di educazione stradale piuttosto che per sovvenzionare le auto blu ai politici. E con l'ultima pisciata (per ora) di stamattina mi sono tolto un altro peso...

venerdì 13 luglio 2012

BIANCANEVE, DORMI SONNI TRANQUILLI.


Le favole sono la forma che una cultura da agli indottrinamenti morali perché vengano compresi dai bambini perché se è difficile fargli capire cosa significhi "non fornicare" (io da piccolo non capivo cosa c'entrassero le formiche con i divieti divini) è più semplice traumatizzarli facendogli credere che fare sesso è una brutta cosa e anche solo a provarci rischi il collasso da avvelenamento da anticrittogrammici agricoli o setticemie contratte da fusi arrugginiti.
Stasera andrò a vedere "Biancaneve e il cacciatore" (un titolo che sembra partorito dalla mente di Schicchi ma invece è solo l'adattamento del più epico "Snow White and the Huntsman") ennesimo rimescolamento della celeberrima favola che solo quest'anno ha visto produrre due pellicole ma, si sa, la favola di Biancaneve è come la carne di pollo: la puoi servire in 100 modi diversi e ognuno aggiunge qualcosa di suo a seconda del gusto personale. Questa versione in particolare la trovo però particolarmente surreale. E non perché racconti una storia di magia ma perché nel film "Biancaneve e il cacciatore" la strega cattiva è Charlize Theron che è di una bellezza tale da convertire alla topa persino Roberto Bolle mentre Biancaneve è Kristine Stewart, un mistero Hollywoodiano più oscuro della vera causa della morte di Marilyn Monroe.
Passi pure il fatto che la Stewart ha persino meno espressioni di Nicolas Cage che meriterebbe di interpretare solo un monolite di Stonange ma dal punto meramente estetico per quale motivo una strega alta 185 centimetri, con gambe affusolate, viso perfetto e un reame in suo potere dovrebbe provare invidia per questa Biancneve che sembra una 16enne che ha fatto sega a scuola e gira per Roma Est (ndr: noto centro commerciale della periferia capitolina) a guardare vetrine di Yamamaya con un bicchiere di Coca del Mc Donald's tra le mani? Ecco allora che in un attimo il film passa di genere transitando dal "fantasy" a uno tutto nuovo, il "surreal" perché se sei come la Theron una biancascialba come Kristine ha per te la stessa rilevanza di un moscerino sul parabrezza, perché nessun principe si sognerebbe di preferire una morta di sonno a te, altera e potente, perché il cacciatore che le deve strappare il cuore per farne un frappé di lunga vita lo farebbe volentieri anche senza che gli venisse imposto e perché se la storia "della bellezza interiore" fosse vera a quest'ora la duchessa di Cambridge non sarebbe Kate ma Susan Boyle.

giovedì 5 luglio 2012

NON ASCOLTERO' PIU' UNA CANZONE DI DALLA.


Quando è morto Lucio Dalla sono stato tra quelli che nonostante le sue simpatie per l'Opus Dei, nonostante la sua sessualità "discreta", nonostante il rifiuto sistematico di schierarsi al fianco di ogni forma di lotta che riguardasse i diritti dei gay (che dovrebbe prescindere dalle inclinazioni di ognuno visto che io mi batto anche per gli immigrati, le donne e gli ebrei pur non rientrando in nessuna di queste categorie ma, vabbé questo è un altro discorso...) e nonostante presentasse il compagno Marco Alemanno come un amico (neppure più Valentino descrive così Giammetti) ne difendeva commosso la memoria convinto che, pur volendo mantenere un riserbo nei confronti della sua vita privata, avrebbe comunque elargito nel testamento un segno tangibile della gratitudine che tutti noi, si spera, nutriamo per chi ci è stato accanto per oltre 10 anni. "Vedrete, non può essere tanto meschino da non lasciargli qualcosa", dicevo, e ne ero assolutamente convinto.
Ieri è stato aperto il suo testamento. Tutta l'eredità va a 5 cugini (con i quale pare non avesse neppure un grande rapporto) mentre a Marco Alemanno (ormai sdoganato dalla cronaca e presentato in tutti i TG come il compagno), nulla. Mi sento molto deluso, anzi tradito. Tradito per tutte le volte che mi sono commosso sentendo le sue canzoni e per quel briciolo di orgoglio che provavo nel condividere con lui (sebbene non ne avesse mai fatto parola, o quasi) l'appartenenza alla stessa "razza" che forse con troppa enfasi romantica mi fa sentire vicino a tutti gli omosessuali che nella storia hanno lasciato una traccia del loro genio.
Mentre scrivo, mi vengono alla mente le sue poesie in musica ma, alla luce di un gesto tanto iniquo, davanti a una tale scarsa generosità anche materiale inizio a convincermi che in fondo la sua poetica sia stata solo un bluff, un esercizio di stile, parole sublimi che non arrivavano dal cuore ma dal cervello e che alla fine Dalla sia stato come un tamburo che producesse sì un suono ma che proviene in realtà da uno strumento vuoto. Per questo non ascolterò più una sua canzone. L'arte non può prescindere dall'artista e se non lo si stima, se lo si ritiene fasullo, la sua produzione, per quanto sublime, non può creare quell'empatia necessaria alla generazione di un'emozione.  
Forse non sono a conoscenza di tutta la faccenda, forse gli ha lasciato dei soldi in una cassetta in Svizzera di cui solo il compagno ha la combinazione ma anche fosse, resta il fatto che, di fronte ad un atto pubblico, abbia continuato a nascondere il nome del suo amore. Si pensa sempre che un artista sia migliore di noi altri, e ne sono convinto, ma in questo caso Lucio Dalla si è comportato come un omuncolo comune trattando il compagno come un'amante qualsiasi, perfetto nel letto ma imbarazzante in pubblico.

mercoledì 4 luglio 2012

IL VALORE DEGLI ESEMPI: DA TOTI A COOPER.


Se sento ancora solo una volta qualche segretaria d’ufficio con un libro di Sophie Kinsella nella borsa e la foto del suo gatto sulla lavagna di sughero affermare con il sorriso da "mai stata infelice in vita mia" che: “a me non importa con chi vai a letto. Perché bisogna dire di essere gay?”, giuro che mi metto a urlare così farte da farla diventare sterile. La cosa inquietante è che molto spesso è un pensiero condiviso anche dai fascisti rinfrescati da una sola mano di vernice democratica quando, con il culo stretto come il pugno di un picchiatore, si lanciano in dichiarazioni di incredibile tolleranza 
(in primis, per loro).
Ma io sono un complottista, diffidente per natura, sospettoso per esperienza e ho sempre tradotto questa proposizione apparentemente alla “volemose bene” come un “fate il cazzo che vi pare, ma tappati in casa vostra”, come se al contrario gli omosessuali non desiderassero altro che esibire tutte le posizioni del Kamasutra in Campidoglio, possibilmente durante il giorno di visita gratuita ai Musei Capitolini.

Pochi giorni fa Anderson Cooper (che per chi non lo conoscesse è un giornalista e conduttore statunitense della CNN) ha dichiarando la propria omosessualità e non lo ha fatto per incrementare le sue quotazioni alla borsa valori gay (francamente non ha bisogno di questi mezzi per aumentare la lista dei pretendenti essendo uno splendido cinquantenne, per giunta ricco come Creso) ma per una ragione che a molti sembra sempre ancora tanto difficile da comprendere: il senso dell’onestà morale.

In ogni atto di coscienza condivisa infatti c’è un profondo gesto di generosità, quello che con un termine da scuola elementare potremmo chiamare “l’esempio” (ricordate quado la maestra ci raccontava Enrico Toti e il lancio della stampella?).  

E qui arrivo a rispondere a Maria Sole la segretaria e a Benito il destrorso ripulito ma lo faccio rubando la dichiarazione fatta dallo stesso Cooper con la semplicità e la limpidezza dei giornalisti americani di andare sempre dritti al punto senza troppi giri di parole: “Il fatto è che io sono gay, lo sono sempre stato e sempre lo sarò e non ne potrei essere più felice, orgoglioso e in pace con me stesso. In un mondo perfetto, non credo dovrebbe interessare nessuno, ma credo nel valore di alzarsi in piedi ed essere considerato per quel che sono”. Questo è il punto centrale di tutto, l’esempio di Enrico Toti di cui parlava la mia insegnate: credo sia piuttosto evidente che non viviamo in un mondo ideale e quello che tutti siamo chiamati a fare, nei modi e nelle disponibilità personali, è tendere al “perfetto” possibile, smettendo di nascondere i nostri sensi di colpa dietro il paravento della discrezione ma portando la nostra vita come esempio per tutti e stimolo per quanti, con grande difficoltà, vivono la loro esistenza. Solo così, forse, miglioreremo la loro vita e potremo dire di aver fatto la differenza nella nostra. 


giovedì 28 giugno 2012

PER SYLVIA.

Se dovessi rinascere altre cento volte vorrei essere sempre e comunque gay non per i party più divertenti, né per il senso innato del gusto (mah...) o per la sensibilità più acuta (si, vabbé) ma perché mi ha dato la possibilità di vedere e vivere il mondo da una prospettiva differente ma che è la stessa di tutti coloro che fanno tesoro della loro "diversità". E per ogni Bolle, Dalla e Malgioglio ho conosciuto mille gay più coraggiosi di loro che hanno lottato perché si potesse essere liberamente omosessuali e orgogliosi di esserlo. A partire da Sylvia Rivera, la drag queen che nella notte del '68, nel Village di una NY omofoba, ebbe il coraggio di ribellarsi dando il via all'emancipazione dei gay in tutto il mondo e alla quale dedico questo post, oggi, 28 giugno, anniversario del Gay Pride.

venerdì 22 giugno 2012

PERCHE' (SE MAI SEGUISSI IL CALCIO) NON TIFEREI MAI LA GRECIA CONTRO LA GERMANIA.




Questa sera si giocherà agli europei Grecia-Germania. Un incontro che l’ironia della sorte non poteva congegnare meglio. Subito sono apparsi post e articoli carichi di simbolismi e retorica, come se il giovane Davide stesse scendendo in campo contro il perfido Golia e come se su questa distesa d’erba si potesse riscattare l’umiliazione subita tra i banchi levigati del parlamento europeo. Ma vi posso dire, a costo di sembrare cinico, che invece io per la Grecia non provo particolare solidarietà? Certo, nessun popolo dovrebbe soffrire gli effetti di una crisi economica come la loro e sappiamo bene quanto questa umili la dignità delle persone e la spinga sul baratro della disperazione (del resto noi non siamo messi tanto meglio) ma voler leggere nella partita uno scontro tra tra culture, mi sembra poco appropriato se non addirittura iniquo. Parliamo di una nazione, la Grecia, dove la corruzione endemica rende i nostri politici corrotti poco più che ladri di galline. Una popolazione che non ha mai dissentito e protestato (se non ora che è arrivata con l'Egeo alla gola) perché connivente con uno stato di clientelismo profondamente corrotto. E perché dovremmo allora invece sostenerli contro una nazione integerrima e coraggiosa, che ha saputo risorgere dalle polveri (altro che ceneri) della guerra, che ha avuto la volontà di riunirsi insieme a quell'altra Germania che veniva da una dittatura fatta di razionamento dei bene e dall'economia inesistente diventando una, potente e solidale? Ogni nazione può diventare nemesi di se stessa ed è assai più semplice ricacciare sempre negli altri la ragione della propria rovina. La Germania in tutto questo purtroppo rischia di pagare l'invidia che i determinati suscitano negli inetti, di chi vorrebbe ma non può (o non vuole) e preferisce dimostrare solidarietà con i mediocri per giustificare così anche la propria scarsa volontà. Certo le scelte del governo tedesco sono discutibili ma non più dei tentennamenti, dei bluff e dei magheggi da bisca che quello greco ha fatto e sta facendo, da anni, promettendo soluzioni a tutt'oggi ancora inesistenti avendo portato lui, e non certo la comunità europea, a una totale prostrazione economica e sociale. No, io non tiferò Grecia, anzi non mi schiererò proprio con nessuno. Il calcio è un gioco che, è vero, a volte ha il potere di esaltare lo spirito di una nazionale ma quando questo esiste ed è fiero del proprio valore a prescindere e credo che la Grecia (come anche l'Italia) dovrebbe ripartire da ben altri impulsi per recuperare dignità.