domenica 11 agosto 2013

NULLA CAMBIA


14 anni fa avevo 26 anni. Frequentavo il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli e con loro avevamo ancora l’illusione che l’attivismo politico fosse un impegno necessario e vitale per ottenere i diritti fino ad allora non solo negati ma ignorati del tutto da parte della classe politica. Abbiamo fatto sit in, marce di protesta, atti di guerriglia, riunioni politiche e manifestazioni di piazza ottenendo come risultato meno di niente. Poi con gli anni questa passione è venuta meno. I partiti, e non parlo solo di quelli al governo ma anche di quelli all’opposizione, continuavano a considerare le richieste della popolazione omosessuale un brusio di fondo rispetto al clangore delle “reali necessità del paese” e gli stessi omosessuali, nella stragrande maggioranza, si disinteressavano a ogni forma di rivendicazione dei loro diritti.
14 anni fa nasceva un ragazzino che l’altro giorno si è tolto la vita non perché omosessuale ma perché esserlo in Italia richiede forza, coraggio e tenacia, caratteristiche che purtroppo non tutti hanno e sventurato è colui che qui vive essendone privo.
In questi 14 anni della sua breve vita non ci siamo mossi di un metro. Non è successo assolutamente nulla dal punto di vista istituzionale, legislativo e costituzionale. Non una legge che ci tuteli dandoci non maggiori ma pari diritti rispetto agli altri cittadini. Non un riconoscimento ufficiale delle unioni sentimentali tra persone dello stesso sesso. Il nulla più assoluto che si è alimentato di un’ignoranza sociale endemica e dell’inettitudine, a tutti i livelli, dei nostri dirigenti politici.
Quello che è accaduto a questo ragazzo è una tragedia straziante e ci si interroga sempre come si sarebbe potuta evitare. Avrebbe potuto una legge a favore degli omosessuali evitare in qualche modo quanto accaduto? Non lo sapremo mai. Fatto sta che se in questi 14 anni la cultura della tolleranza e della comprensione si fosse sviluppata come in tanti altri paesi civili forse, e dico forse, questo ragazzino sarebbe cresciuto in un ambiente più accogliente e meno discriminatorio ma per fare sì che questo accada è sempre necessario che lo Stato dia l’esempio, che promulghi leggi, che sancisca norme e che punisca quanti agiscono in maniera tale da ledere e mortificare le libertà individuali dei loro simili. In questo senso, sì, credo fermamente che la responsabilità della morte di questo ragazzo ricada con un tragico effetto dominino anche sui nostro politici che la scorsa settimana hanno rimandato la votazione sulla legge contro l’omofobia a dopo le ferie (!) confermando ancora una volta come si disinteressino della questione omosessuale, di come credano che questa sia un capriccio dei gay, confermando lo scollamento tra politica e società. Come anche credo che, in ultima analisi, la responsabilità ricada su tutti noi, gay, che ci disinteressiamo totalmente di rivendicare in nostri diritti. Noi che a una manifestazione preferiamo un aperitivo, che diciamo a mamma che Mario è Maria, che cerchiamo gli “insospettabili”, che confondono il pudore con la vergogna che stanno ancora a chiedersi perché dichiararsi. Sì la colpa è anche la nostra perché là dove la politica è deficiente dovremmo noi creare una cultura di base che non faccia sentire un ragazzino di 14 anni l’unico gay della terra esattamente come mi sentivo io a 14 anni, ma parliamo di 26 anni fa eppure mi pare che da allora nulla sia cambiato.


mercoledì 7 agosto 2013

OMOFOBI, L'ESTATE E' LA VOSTRA STAGIONE. APPROFITTATENE!



Ci sono quasi 38° e il governo del Fare è esausto. Del resto, si sa, le auto blu sono prive di aria condizionata, a Montecitorio si soffoca, la buvette poi, non ne parliamo, serve polena rovente a pranzo e cena. Quindi, sbrigate le ultime beghe, tutti la mare. E nell’emergenza democratica, economica e politica i nostri parlamentari non hanno avuto un minuto di tempo per pigiare un tasto e deliberare su un unico, semplice, innocuo ma necessario provvedimento: quello anti omofobia. La questione è davvero troppo spinosa: decidere se attribuire un’aggravante di pena per chi si scaglia verbalmente e fisicamente contro un gay. Già, le implicazioni morali, lo capisco, sono davvero troppe per poterle affrontare mentre l’asfalto si scioglie e le calette vengono prese d’assalto dai villeggianti e con questa afa il senso civico e l’alto valore delle istituzioni evaporano come l’acqua passata con la pompa sul plettro solare dei nostri palazzi. Quindi miei cari froci (perché così meritiamo di essere chiamati e chiamarci, gay ha una implicazione fin troppo dignitosa e consapevole), mentre i TG raccomandano agli anziani come affrontare la calura estiva io vi consiglio come fronteggiare l’incipiente solleone.
Nei paesini della Sila come nelle civilissime metropoli, comportatevi bene. Evitate i luoghi isolati, le ore troppo tarde, i drappelli di ragazzini nostalgici di un era che non hanno conosciuto neppure sui libri di scuola. Poi, mi raccomando, niente effusioni in pubblico, niente baci per le strade, niente carezze o passeggiate mani nelle mani, anzi, date retta, procedete a 3 passi l’uno dall’altro, si sa mai! Lo scandalo e l’imbarazzo sono sempre pronti a impossessarsi delle menti dei passanti e la violenza ne può poi essere la legittima conseguenza.
Se proprio volete farvi pestare, vessare, segregare o umiliare, aspettate settembre, anzi no, facciamo anche ottobre, per essere sicuri perché anche se l’America non è poi così lontana (come cantava la benedett’anima di Dalla) la Russia di Putin, è arrivata fin qui.
 

lunedì 5 agosto 2013

IL TALENTO DI UN BAMBINO PER LE BIGLIE.



Ieri ero in spiaggia con Srappy e Dariush.
Immergersi nelle acque putride di Ostia in confronto alle quali il Gange sembra un ruscello alpino era fuori questione. Volendo comunque sgranchirmi le ossa, ho proposto quindi a Scrappy una passeggiata. Eravamo così distratti dalle nostre chiacchiere e talmente io bisognoso di consigli per gestire la nuova, ennesima e drammatica emergenza sentimentale che ci siamo accorti d’essere arrivati molto lontani solo quando abbiamo iniziato a sentire i bagnanti parlare con le vocali aspirate tipiche della terra di Calabria.
Sulla strada del ritorno abbiamo visto dei bambini chinati a dare schicchere stellari a delle biglie che schizzavano lungo una pista di sabbia di poco meno grande dell’autodromo Enzo Ferrari di Imola.
Mi ha sorpreso vedere fare ancora oggi quel gioco che pensavo si fosse estinto con l’avvento di Hungry Birds e mi sono tornate alla mente le giornate passate a dare il culo sul bagnasciuga di San Salvo Marina. Nel vero senso della parola.
Come per quasi tutte le attività da spiaggia quali racchettoni, bocce e limonare con le coetanee, anche dalle biglie non ero minimamente attratto. Laura era una delle poche ragazze ammesse nel gruppo di amici da spiaggia che sporadicamente frequentavo. Erano 3 fratelli, 2 ragazze e un ragazzo. Benché avesse appena 12 anni, la prima era la più bella della spiaggia quindi destinata alla solitudine per inarrivabilità. La seconda, era appena più piccola ma tanto Anna (la sorella bella) era dotata di un fascino fin troppo conturbante per la sua età, quanto Antonella invece ne era a tal punto priva che capivi si trattava di una ragazza solo perché si ostinava a indossare il pezzo di sopra del costume. Era comunque accettata dal gruppo per un solo motivo: aveva il sedere grosso abbastanza per essere impiegato come calco per le piste da biglia. L’operazione era di per sé piuttosto umiliante. Antonella veniva messa nella posizione della “quaglia”. Le caviglie e i polsi venivano trattenuti dalle mani degli altri ragazzini quasi a formare un fagotto umano e poi la trascinavano fino a disegnare curve e incroci come non se ne vedono neppure nelle complanari e tangenziali di Los Angeles. Antonella aveva però un problema, il bacino era abbastanza largo ma il culo era irrimediabilmente piatto, difetto che purtroppo si portò dietro per sempre, nel vero senso della parola. Quello di cui avevano bisogno invece era di qualcuno che avesse un culo bombato da dare anche profondità alla pista.
Fu quella la prima volta dei maschi iniziarono a guardarmi il sedere con un certo interesse. Tanto infatti era rinsecchito quello di Antonella quanto il mio sembrava fatto con due braccioli gonfiabili.
“Vieni a giocare con noi”, mi fecero un giorno venendo in delegazione al mio ombrellone quando mai prima di allora mi avevano coinvolto nelle loro attività marinare.
“Dai vai a giocare con loro”, mi incitava mia madre sognando così per me un primo passo verso l’integrazione adolescenziale. 
Io tenevo invece la testa ben conficcata tra le pagine del Corriere dei piccoli, non perché mi interessasse leggere le avventure della Pimpa ma perché avevo intuito la mala parata e trovavo umiliante che mi cercassero solo per il mio sedere senza contare quanto lo sarebbe stato poi dire a mia madre il reale motivo del loro interesse.
Alla fine però, pur di renderla felice, accettai.
Le cose andarono esattamente come avevo previsto.  
Mi presero, mi posizionarono come un aratro sul campo e, dopo appena qualche metro di tracciato, si potevano già iniziare a vedere le loro espressioni soddisfatte come quelle degli ingegneri durante le prime trivellazioni per il canale sotto la Manica che decretavano l’esattezza dei loro calcoli. In effetti non occorreva neppure fare un secondo ripasso: dopo di me, carambole, sci can e pivot, erano garantiti!
Antonella, ormai davvero inutile, venne estromessa dal gruppo ma quel giorno, mentre si allontanava verso il confino, mi guardò e, leggendo il labiale, carpii un “grazie”. Quanto a me, beh, avere il culo giusto per creare le piste non significava automaticamente che venissi invitato a partecipare alle gare.

“Hai già fatto” mi chiese mia madre vedendomi tornare dopo neppure una mezz’ora. Io annuì con la bocca curruciata mentre mi toglievo chili di sabbia dal costume, con il culo arrossato come quello di un babbuino.
La storia andò avanti per un’estate intera, 2 volte al giorno, 7 giorni a settimana, nella mia più totale omertà. Non volevo infatti rivelare ai miei che la mia popolarità era molto limitata ed estremamente specifica. La sola cosa che mia madre notò era come tutti i miei costumi quella stagione fossero incredibilmente lisi sul di dietro, ma lo imputò alla pessima qualità della stoffa.
La vessazione l’anno successivo per fortuna terminò.
Al sopraggiungere dei 13 anni i miei coetanei iniziarono a preferire le bocce delle ragazze ai boccini delle biglie. Di lì e per i successivi 5 anni il mio sedere tornò ad essere del tutto inviolato.