lunedì 5 agosto 2013

IL TALENTO DI UN BAMBINO PER LE BIGLIE.



Ieri ero in spiaggia con Srappy e Dariush.
Immergersi nelle acque putride di Ostia in confronto alle quali il Gange sembra un ruscello alpino era fuori questione. Volendo comunque sgranchirmi le ossa, ho proposto quindi a Scrappy una passeggiata. Eravamo così distratti dalle nostre chiacchiere e talmente io bisognoso di consigli per gestire la nuova, ennesima e drammatica emergenza sentimentale che ci siamo accorti d’essere arrivati molto lontani solo quando abbiamo iniziato a sentire i bagnanti parlare con le vocali aspirate tipiche della terra di Calabria.
Sulla strada del ritorno abbiamo visto dei bambini chinati a dare schicchere stellari a delle biglie che schizzavano lungo una pista di sabbia di poco meno grande dell’autodromo Enzo Ferrari di Imola.
Mi ha sorpreso vedere fare ancora oggi quel gioco che pensavo si fosse estinto con l’avvento di Hungry Birds e mi sono tornate alla mente le giornate passate a dare il culo sul bagnasciuga di San Salvo Marina. Nel vero senso della parola.
Come per quasi tutte le attività da spiaggia quali racchettoni, bocce e limonare con le coetanee, anche dalle biglie non ero minimamente attratto. Laura era una delle poche ragazze ammesse nel gruppo di amici da spiaggia che sporadicamente frequentavo. Erano 3 fratelli, 2 ragazze e un ragazzo. Benché avesse appena 12 anni, la prima era la più bella della spiaggia quindi destinata alla solitudine per inarrivabilità. La seconda, era appena più piccola ma tanto Anna (la sorella bella) era dotata di un fascino fin troppo conturbante per la sua età, quanto Antonella invece ne era a tal punto priva che capivi si trattava di una ragazza solo perché si ostinava a indossare il pezzo di sopra del costume. Era comunque accettata dal gruppo per un solo motivo: aveva il sedere grosso abbastanza per essere impiegato come calco per le piste da biglia. L’operazione era di per sé piuttosto umiliante. Antonella veniva messa nella posizione della “quaglia”. Le caviglie e i polsi venivano trattenuti dalle mani degli altri ragazzini quasi a formare un fagotto umano e poi la trascinavano fino a disegnare curve e incroci come non se ne vedono neppure nelle complanari e tangenziali di Los Angeles. Antonella aveva però un problema, il bacino era abbastanza largo ma il culo era irrimediabilmente piatto, difetto che purtroppo si portò dietro per sempre, nel vero senso della parola. Quello di cui avevano bisogno invece era di qualcuno che avesse un culo bombato da dare anche profondità alla pista.
Fu quella la prima volta dei maschi iniziarono a guardarmi il sedere con un certo interesse. Tanto infatti era rinsecchito quello di Antonella quanto il mio sembrava fatto con due braccioli gonfiabili.
“Vieni a giocare con noi”, mi fecero un giorno venendo in delegazione al mio ombrellone quando mai prima di allora mi avevano coinvolto nelle loro attività marinare.
“Dai vai a giocare con loro”, mi incitava mia madre sognando così per me un primo passo verso l’integrazione adolescenziale. 
Io tenevo invece la testa ben conficcata tra le pagine del Corriere dei piccoli, non perché mi interessasse leggere le avventure della Pimpa ma perché avevo intuito la mala parata e trovavo umiliante che mi cercassero solo per il mio sedere senza contare quanto lo sarebbe stato poi dire a mia madre il reale motivo del loro interesse.
Alla fine però, pur di renderla felice, accettai.
Le cose andarono esattamente come avevo previsto.  
Mi presero, mi posizionarono come un aratro sul campo e, dopo appena qualche metro di tracciato, si potevano già iniziare a vedere le loro espressioni soddisfatte come quelle degli ingegneri durante le prime trivellazioni per il canale sotto la Manica che decretavano l’esattezza dei loro calcoli. In effetti non occorreva neppure fare un secondo ripasso: dopo di me, carambole, sci can e pivot, erano garantiti!
Antonella, ormai davvero inutile, venne estromessa dal gruppo ma quel giorno, mentre si allontanava verso il confino, mi guardò e, leggendo il labiale, carpii un “grazie”. Quanto a me, beh, avere il culo giusto per creare le piste non significava automaticamente che venissi invitato a partecipare alle gare.

“Hai già fatto” mi chiese mia madre vedendomi tornare dopo neppure una mezz’ora. Io annuì con la bocca curruciata mentre mi toglievo chili di sabbia dal costume, con il culo arrossato come quello di un babbuino.
La storia andò avanti per un’estate intera, 2 volte al giorno, 7 giorni a settimana, nella mia più totale omertà. Non volevo infatti rivelare ai miei che la mia popolarità era molto limitata ed estremamente specifica. La sola cosa che mia madre notò era come tutti i miei costumi quella stagione fossero incredibilmente lisi sul di dietro, ma lo imputò alla pessima qualità della stoffa.
La vessazione l’anno successivo per fortuna terminò.
Al sopraggiungere dei 13 anni i miei coetanei iniziarono a preferire le bocce delle ragazze ai boccini delle biglie. Di lì e per i successivi 5 anni il mio sedere tornò ad essere del tutto inviolato.


3 commenti:

itboy_76 ha detto...

Adesso capisco perché le piste che costruivo con i miei fratelli erano sempre un po' disastrate: ci mancava l'attrezzatura specifica.

Mi sorge un dubbio. Esiste una relazione tra gli abusi subiti a 12 anni e "la nuova, ennesima e drammatica emergenza sentimentale"?

Anonimo ha detto...

amo follemente il tuo stile di scrittura..
quando farai un altro libro? :)

PS- io ero un fanatico delle piste.. ma niente culi.. da novello ingegnere andavo con palette e soprattutto con mani e kg di sabbia per costruire curve con parabole assurdamente alte e ponti inutili ma esteticamente appaganti!

Jack Pot

Nanà Lanuit ha detto...

Deliziosamente romantio,
irriverente, retrò, e spassosissimo...
Che riordi quelli delle estati al mare!!!

kizz kizz e buona estate!!!!