domenica 30 dicembre 2007

GHEI PER NASCITA, VOLONTARI PER SCELTA. (parte II)


Sempre questo amico di un mio amico, mi parlava delle riunioni politiche che, in questa grande associazione che ha frequentato per 10 anni, avvenivano una volta a settimana.
Alla fine eravam…hem, erano sempre un po’ le stesse persone quindi l’attenzione che si prestava ai vari interventi era sempre la solita da coma vigile che si potrebbe avere durante l’estrazione dei numeri dell’lotto (quando ovviamente) non hai giocato la schedina. Certo di niu entri ce ne sono sempre ma è la solita diaspora da corte dei miracoli di altri che, come loro, sentitosi dire per l’ennesima volta: “Piuttosto che con te preferisco accoppiarmi con un pony di nome Geppettto”, preferiscono profondere le loro energie verso una più giusta causa (solo dopo però aver squarciato a morsi i pneumatici della macchina di quello stronzo).
Ma, a volte, seppur con la stessa rarità con cui si vede una lesbica indossare un tuin set di cascmir color cipria, appare qualche ragazzo (o ragazza, perché il discorso vale per entrambe i sessi) che riesce a guardarsi allo specchio senza che l’immagine riflessa non lo prenda a schiaffi gridandogli “sgorbio”. A quel punto avviene quella che con un giro di parole forse troppo criptica si può descrivere come “guerra fra poveri”.
Bisogna essere molto veloci perché se uno carino entra in una riunione politica lo fa:
o perché si è appena scoperto ghei e quindi, ancora ignaro delle potenzialità che avrebbe ballando senza maglietta in una discoteca, prova un approccio soft all’ambiente;
o perché è venuto a cercare un amico;
o perché condannato a lavori socialmente utili per 2 settimane.
In ognuno di questi casi, la sola parola d’ordine è: rapidità, perché uno molto carino non resta a lungo quindi, bisogna fare di tutto per cercare di farlo cadere in trappola.
Come solo dopo aver ascoltato tutto Baglioni in sala rianimazione, all’ingresso del bono tutti si riprendono dallo stato di coma perenne mostrando un’attenzione e una partecipazione ai dibattiti come non se ne vedevano dai tempi della Costituente intervenendo con suggerimenti e proposte degne di Gronchi e di tutti i padri fondatori della Costituzione Repubblicana. Infatti, chi ha mostra, e se non hai nulla da mostrare, che almeno ti si faccia notare per l’intelligenza.
La percentuale di bei ragazzi caduti nella trappola è sempre mediamente molto bassa ma sono quelle rare volte che accade (e delle quali poi si continua a parlare per anni sconfinando quasi il racconti leggendari) che foraggiano la speranza che ancora fa si che ci siano volontari nelle associazioni anche se, proprio per questo mi chiedo: ma che siano le associazioni stesse in periodo di calo di vocazioni, ad assoldare qualche bel ragazzo per farlo partecipare a queste riunioni?

venerdì 28 dicembre 2007

GHEI PER NASCITA, VOLONTARI PER SCELTA. (parte I)


Se in discoteca i soli a rivolgerti la parola sono i guardarobieri quando ti dicono “sono 3 euro, grazie”, se nelle ciat sei costretto a mettere la foto di un tramonto scaricato dal sito “i 1000 sfondi per il compiuter più belli del mondo” e quando poi ti chiedono di vedere una tua foto non si prendono neppure la pena di dirti “schiatta”, se il tuo ingresso in sauna causa scene d’esodo da “I 10 comandamenti” di De Mil allora, è giunto il momento entrare come volontario in una delle centinai di associazioni omosessuale che ci sono in Italia.
E’ una specie di corollario matematico: se non rimorchi nei locali, vai nelle associazioni.
E’ un po’ la sorte del secchione della classe. Magari è brutto come uno scatarro d’anziano ma, prima o poi, per farsi passare un compito o per avere qualche ripetizione da lui ci devi andare ed è proprio li che, se se la gioca bene, una smucinata nel seminterrato capace che la rimedia pure.
Si perché lavorare nelle associazioni ghei come volontario ti da subito quell’aura di credibilità e di impegno che a gli occhi di tutti ti fa acquisire quel centinaio di punti che ti porta così a un punteggio di sole – 300 rispetto ai soliti boni che non si sognerebbero mai di andare a manifestare, magari in piena estate, sotto l’ambasciata Irakena che ha condannato a morte due ragazzini che sono stati scoperti mentre si baciavano, rischiando la carica della polizia, una fatva da parte di qualche Mulla e, cosa ben più grave, rinunciando ad una giornata di mare.
Il volontario (beh, se conosco bene questa figura è solo perché lo faceva l’amico di un mio amico e me ne ha parlato) però paga lo scotto di questo scampolo di encomiabilità asservendosi completamente alla causa. Per carità, non che lo faccia per puro interesse, ma diciamo che è un compromesso equo: l’associazione ti permette di tirartela con amici e conoscenti facendoti sembrare una specie di Mahatma Gandi al punto che, in un delirio di onnipotenza, pretendi pure di non pagare ai caselli dell’autostrada ma tu in cambio devi soffiare palloncini fino all’enfisema per le serate di presentazione di libri nella sede dell’associazione e sei costretto a rispondere al telefono della segreteria dove, 6 volte su 10, appena alzi la cornetta ti senti dire “ma è vero che lo prendete al culo?” (suond effect: sghignazzo adolescenziale).

sabato 22 dicembre 2007

O LI FACCIO ADESSO O MAI PIU'.


















Auguri di Buon Natale innanzitutto a chi non sente lo spirito del Natale perché trova ipocrita dover fare auguri e regali solo perché è Natale. Sarà che non so distinguere bene chi mente da chi parla con sincerità ma a me ricevere gli auguri fa sempre piacere, non vi dico poi i regali.
Auguri (con il tono con cui li si fa a chi parte per una missione in Irak) a chi come me, da dopodomani sarà ostaggio della propria famiglia, costretto a 3X anni a mangiare ancora nel tavolo “dei ragazzi” mentre gli anziani continuano a confondere il mio nome con quello di mio fratello.
Auguri a le persone che ho conosciuto quest’anno e soprattutto a chi di loro, per evidenti patologie mentali, mi frequenta ancora.
Auguri a chi quest’anno ha trovato l’amore e a chi invece ha trovato un lavoro perché ne sono rimasti pochi dei primi e pochissimi dei secondi.
Auguri, ma soprattutto complimenti, a chi quest’anno ha pensato di fare auting (ndr: ovvero confessare i propri pruriti nel di dietro) con il proprio genitore vecchio e infermo: avete trovato il modo di commettere il delitto perfetto, nessuno vi potrà mai mandare in tribunale.
Auguri a chi riesce a mettere le corna al proprio compagno nei parcheggi, venir beccati essere lasciati ma riuscire a far passare il ragazzo per insensibile venendo compatito dai propri amici. E’ per gente come voi che Silvan s’è ritirato.
Auguri a chi sparisce senza lasciare tracce. Gli alieni esistono davvero e continuano impunemente a condurre esperimenti su di noi in vista dell’attacco finale. E poi non dite che non ve lo avevo detto.
Ancora tanti auguri a chi ha eletto i puntini di sospensione a filosofia di vita e ti dice ancora: “sei una persona fantastica ma…”. “Sono una persona fantastica ma tu sei un pezzo di merda!”. Ecco come vanno chiuse certe frasi.
Di tutto cuore a chi ha appena scoperti di essere omoricchionme. Vi poteva andare peggio, potevate essere rapiti durante un viaggio di piacere in Brasile ed essere catturati per farvi espiantare gli organi venduti poi su internet (a parte questo unico caso, altre ipotesi peggiori non ce ne sono tra quelle elencate sul prossimo best seller di Paulo Cohelo “La profezia dello sfigato”).
Auguri a chi è così onesto da ammettere che le feste delle lesbiche sono divertenti come la via crucis del venerdì santo.
Auguri a chi sarà costretto a passare le feste in ospedale perché gli dice talmente male che il loro caso non viene neppure mensionato nel sopraccitato prossimo volume del magnifico Coelho.
Auguri a chi indaga sui delitti di Perugia e Garlasco perché trovare la soluzione è facile come seguire il filo di un discorso di Renato Zero. Fate una cosa, tirate a indovinare tanto mi pare che li il più pulito c’ha la rogna.
Auguri a Bush perché dimostra ogni giorno di essere davvero un idiota. Bravo com’è a far bere le cazzate che dice avrebbe fatto più dollari con la vendita di accorcia peli da naso di quanti ne farà mai favorendo i suoi affari attraverso le politiche estere del suo governo.
Auguri al Santo Padre che continua a parlare d’amore tra i popoli, di clemenza e tolleranza reciproca e di come chi non la pensa come lui sia l’incarnazione di Satana, causa principale dei mali del mondo, doppie punte comprese. Di auguri ne ha davvero bisogno visto che IlPadreEterno esiste e che lui ormai c’ha 90 anni.
Auguri ai politici italiani perché se non fossero esistiti Pleistescion, Sd e pacchi alle otto erano davvero cazzi amarissimi.
Auguri ai cervelli italiani in fuga perché se non sai fare un cazzo di trenino la domenica pomeriggio in diretta nazionale è giusto che te ne vada a fare il saccente da qualche altra parte.
Auguri in fine a tutti i miei amici perché hanno imparato a rispondermi con benevola accondiscendenza e, soprattutto, con sufficiente credibilità ogni volta che chiedo loro “ma secondo te, c’ho qualcosa che non va?”.

PS: baci sotto il vischio, stasera all'Alpheus.

martedì 18 dicembre 2007

L WORLD e il mondo fantastico


Da Feltrinelli i cofanetti di telefilm sono divisi per generi.
Volendo comprare la prima serie di L World vado quindi sparato alla sezione dedicata al genere fantascienza ma non lo trovo.
Chiedo allora ad un commesso e mi spiega che il telefilm che sto cercando si trova nello stesso reparto di Despereit Ausuaif e Greis Anatomi. Ora, se c’è una cosa che proprio non sopporto è l’incompetenza. Ma come fai a mettere un telefilm che parla di lesbiche in grado di distinguere un rossetto da un fondotinta e che non credono che Paco Raban sia un campione di lotta libera messicana in un reparto che non sia di Saiens-ficscion?
E’ per questo sue essere assolutamente inverosimile che sono un appassionato della serie tanto quanto lo sono della trilogia del signore degli anelli e dei programmi politici di Veltroni sul PD.
L World, siccome non stiamo parlando dei Promessi Sposi e quindi non è detto che tutti sappiano di cosa sto parlando, è la versione lesbo scic de “Il bello delle donna”, con la sola differenza che la sceneggiatura non sembra uscita dal quaderno dei temi di una bambina di terza elementare, le attrici sanno recitare e ogni 25 minuti se la leccano e se la sgrillettano (termini scientifici per indicare rapporti intimi tra duo o più donne).
Sono tutte belle, tutte di successo, tutte vivono in case meravigliose, si truccano e si vestono sempre in maniera impeccabile, in pratica sono dei froci con la patatina.
Certo il paragone con la realtà poi è piuttosto stridente e il telefilm è stato criticato dalla comunità lesbica stessa che non si riconosceva nei personaggi del telefilm più di quanto non lo possano essere i neri d’America rispetto al candidato alle presidenziali Barac Obama.
Le lesbiche che conosco io non sanno cos’è una scheda colore, la piastra la usano per imprimersi a fuoco il nome della ragazza sulla spalla e ammortizzano il falciaerba per fare lavori di giardinaggio e radersi i capelli. Non vanno in giro con Audi A4 ma con furgoni combinati della Iveco, al posto delle poltrone in casa hanno dei tori meccanici e hanno fatto formalmente richiesta al comitato olimpico internazionale di inserire la caccia al cinghiale a mani nude come disciplina dimostrativa alle olimpiadi di Pechino del 2008.
E poi qui stiamo parlando di un telefilm dove non accadono risse, dove le coppie si lasciano senza neppure spaccare una bottiglia puntandosela reciprocamente alla gola (che è pure sempre un modo carino per dirsi addio).
Certo ora non è che voglia generalizzare, sarebbe come dire che tutti i ghei sono delle femmine mancate (forse ho scelto un paragone poco efficace) perché di lesbiche femminili ce ne sono, come quelle che vengono chiamate Lipstic (ndr: rossetto, in una lingua straniera a me ignota) ovvero delle lesbiche talmente femminili, talmente scic e talmente rare che, o come in Giurassic Parc, catturi la zanzara che ha punto la pelle dell’unico esemplare e la cloni o tanto vale continuare a credere che ne esista una colonia tanto folta come uno stormo di Dodo australiani.
Dedicato alla mia amica E. che compie gli anni.

sabato 15 dicembre 2007

le mille luci del natale


















Lo strano fenomeno di bagliore notturno che da ieri sera è visibile in tutta Italia non è uno dei fenomeni collegati al cambiamento climatico (anche se ormai pare che dipenda tutto da quello, sciopero dei trasportatori compreso) ma proviene dalle decorazioni di natale che io e “uno dei miei coinquilini” abbiamo montato.
Casa nostra è talmente luminosa che adesso dalla luna, oltre alla muraglia cinese e il Gran Chenion e possibile vedere anche casa nostra. E’ per questo che stamattina abbiamo mandato una raccomandata alla Casa Bianca spiegando che l’aumento di consumo energetico in via XXX non è dovuto ad un esperimento per la produzioni di armi nucleari e che quindi evitasse di bombardarci.
Abbiamo messo luci ovunque, intorno al nostro fantastico albero, all’ingresso, nelle camere, sul pianerottolo e, ormai invasati dal sacro furore delle lucine, siamo entrati a forza dalla vicina come i drudi di Arancia meccanica e l’abbiamo avvolta con 12 metri di fili argentati e costretta a cantare Tu scendi dalle stelle tenendo il puntale dell’albero in bilico sul naso.
Adesso praticamente chi entra in casa nostra non sa se è in un appartamento romano o sulla strip di Las vegas.
Ovviamente dopo tutti gli avvisi fatti dai telegiornali sull’attenzione da portare ai marchi di garanzia che solo i prodotti europei garantiscono, noi abbiamo pensato bene di affidarci totalmente ai negozi cinesi. In effetti anche i loro prodotti hanno sulle confezioni i marchi di garanzia della CE ma il fatto che siano scritti a penna non ci ha dissuasi affatto. La sola cosa che mi lascia perplesso e che i cinesi hanno una lunga tradizione di fuochi d’artificio piuttosto che di luci di natale per cui spero proprio di non essere io il botto più grosso di capodanno venendo sparato come la torcia umana direttamente a Vienna sul palco del concerto del primo gennaio.
Allestire questa magia di luce non è stato affatto semplice. Solo ieri saremo andati dai cinesi almeno 4 volte. Del resto, si sa, mettere le luci di natale è come la preparazione del ragù (versione napoletana): più aggiungi e meglio viene. E siccome più addobbi mettevamo più scoprivamo qualche angolo della casa che meritava di essere caricato come un carro di Viareggio, alle 8 di sera, eravamo ancora da Lu Cin che non solo grazie a noi adesso può far venire in Italia anche il resto della famiglia con un comodo volo della Emireits invece che nelle cassette di frutta stipate nella cella frigorifera di un camion ma, vista ormai la confidenza, ci ha anche chiesto di tenere a battesimo la figlia appena nata.

giovedì 13 dicembre 2007

IL NATALE DEL POVERO


Lo giuro, non ho mai fumato quindi, almeno sulla qualità e la pulizia dei polmoni posso garantire, se trattati con Argentil e appesi ad una parete potrebbe fare il loro figurone anche come specchiere. Di questi ne offro uno.
Venderei la coppia ma il polmone d’acciaio è un capo che non mi spiomba particolarmente bene addosso e poi non vorrei rischiare di essere rimorchiato da Giancaldo, il boiler scalda acqua della Ariston.
Sulle cornee, vale lo stesso discorso. Una è tutta quella che posso offrire e del resto trovo che una pezza nera su un occhio e un gatto d’angora in grembo mi darebbe quel tocco di fascino e mistero che rincorro sin da quando vidi per la prima volta Adolfo Celi nella parte del cattivo della Spectre in 007-Tanderbol.
Il fegato, eviterei. Con tutto l’alcol ingerito ormai sembra più una ciliegia al maraschino che un organo interno e poi essere condannato per spaccio di materiale difettoso è l’ultima cosa che potrei sopportare al momento.
Darmi alla prostituzione sarebbe un’idea ma ho già problemi a trovare qualcuno che mi si prenda gratis figuriamoci a pagamento e poi, diciamocelo, la natura ha lesinato in generosità (i soliti ben informati mi hanno confermato che al momento in cui dio doveva donarmi gli attributi era ancora esausto per l’impegno profuso per un certo Siffredi Rocco).
Da stamattina le sto pensando un po’ tutte per migliorare la mia condizione economica visto che quest’anno, anche questo, di aumenti non se ne parla.
La spiegazione? Ho provato a chiederla a chi di dovere ma leggendo nei suoi occhi lo stesso smarrimento di un cucciolo d’alce immobilizzato davanti ai fari di una giardinetta lungo una strada di montagna ho capito che avrei avuto una risposta positiva tanto quanto chiedere al Papa se ha una mezz’ora di tempo per unirmi in matrimonio con un altro uomo in un rito interreligioso con il rabbino capo di Roma e con Luxuria come testimone della sposo (uno dei due a caso).
Il fatto che non mi sia laureato per non aver fatto un unico, ultimo esame di economia all’università, la dice lunga su quanto ne capisca di bagget e cose del genere. Ho provato a chiedere però a chi se ne intende e pare che sia tutta colpa della legge dell’entropia secondo cui se una farfalla sbatte le ali nei Caraibi causa una recessione economica nel mio ufficio.
A fronte di questa sconvolgente notizia ho deciso di mandare una richiesta formale al consiglio dell’Aia chiedendo di reintrodurre il calendario druido preistorico fatto di 23 giorni mensili. Chi volesse sottoscrivere la petizione può recarsi nei banchetti allestiti in tutti i centri della Caritas sabato e domenica prossimi. Riceverà una spilla da mettere sul bavero della giacca con su scritto “vuoi arrivare alla fine del mese? Non chiedermi come!” e un pranzo al sacco così, almeno un pasto questo mese lo sfanghiamo.

mercoledì 12 dicembre 2007

DOPO LA FESTA, GIRA LA TESTA.


















Toc, toc.
“Chi è?”
Toc, toc.
“E’ difettosa. Dai un colpetto con il piede alla parte bassa dello stipide oppure piazza un candelotto di dinamite”.
La porta alla fine si apre ed entra un pezzo di pizza bianca farcita con provolone e mortadella che, piangendo lacrime di grasso guardandomi con occhi supplichevoli.
“Hai ragione. Stai sul tavolo da ieri sera, se vuoi puoi andare. Dillo anche alla torta avanzata e ai chili di patatine sparse ovunque”.
Il poverino cambia subito l’espressione di contrizione con una di gioia (per quanto la possa esprimere un tocco di pizza ormai rinsecchito). Prende la rincorsa e si lancia dalla finestra non senza prima rivolgere verso di me un angolo di crosta che a me sembra tanto un dito medio alzato.
Mi ci sono voluti tre giorni di ramazza, una tanica di sgrassatore, 12 buste della mondezza, 120 gocce di novalgina (non tutte insieme solo perché avrei detestato essere ricoverato in ospedale con le mutande a fiori che solitamente porto i giorni speciali, una canotta lercia e lo suiffer strretto nel pugno per il rigor mortis). Ad aiutarmi nell’impresa il “Grande libro dell’esorcismo” per eliminare le tracce del maligno che si appalesa ogni volta che faccio una festa a casa. Non capisco come sia possibile. Eppure alle feste degli altri io ci vado e alla fine il loro appartamento non sembra il set di Lost con pezzi carlinga di un 747 è sparpagliato ovunque.
Per fortuna quest’anno, come gli ultimi 2, mi sono dato una regolata riducendo la lista degli invitati da un numero pari ai signori Rossi presenti sugli elenchi telefonici di tutt’Italia ad una più modesta cinquantina di persone. Gli scorsi anni chiamavo persino un amico dj per mettere musica e gli invitati erano talmente tanti che si creava quell’effetto intasamento che puoi vedere solo a Piazza del popolo la notte del 31 dicembre verso le 23, 58 o sul 117, il bus elettrico omologato per 20 ma che, aspirando alla celebrità immortale che regala solo il libro del Ghinnes dei primati, inizia a saltare le fermate solo dopo l’ingresso dell’ottantesimo passeggero.
Sabato mattina appena sveglio sapevo che mi sarebbe toccato pulire tutto e il primo pensiero è stato quello di scendere dal ferramenta e comprare una tanica di trielina, cospargere il pavimento, dando poi la colpa a una famiglia di zingari con la testa nei cassonetti della GS.
Salto giù dal letto e resto inchiodato dallo strato di coca cola, mista a vino, mista a vodka, mista a greggio disperso da qualche petroliera mista a vinavil sniffato per sballarci come i ragazzini che vivono sotto i ponti di Mosca e mi prendo una contrattura femorale per riuscire a muovere i passi necessari a raggiungere i solventi dell’Ansaldo che riuscirebbero a sciogliere anche la porta in acciaio del cavò della Banca Svizzera.
Come non bastasse in capo a tre ore sarebbe arrivato dall’Abruzzo mio padre per pranzare insieme. A nulla è valso il mio disperato tentativo di bloccarlo millantando febbre altissima. Io lo conosco, non è vero che non si era accorto del messaggio, semplicemente l’ha ignorato come fa per tutto ciò che non rientra nei suoi programmi, ex moglie compresa.
A causa quindi di un pastone ansiogeno composto da gavettoni di alcol, sostanze stupefacenti varie, pensiero fisso del sudicio sparso per casa, l’imminente arrivo di mio padre e un virgulto ancora mollemente addormentato nel letto, sì giovane ma che russava come il Mangiafuoco di Pinocchio, non ho chiuso occhio.
Alle 11 si presenta mio padre con mio fratello. Io ormai sembravo Laura Palmer al momento del ritrovamento ma siccome mio padre ha lo spirito d’osservazione di Mister Magù ha avuto il coraggio di dirmi: “Ti trovo in splendida forma!”, ignorando quelle graziose rientranze suboculari profondi come due acquasantiere.
Iniziando poi a volteggiare tutto eccitato come Giuli Endrius mi propone: “Dai usciamo, andiamo a pranzo insieme!”. Sono questi i momenti in cui speri siano veri quei casi di autocombustione di cui hai sentito parlare nei documentari di “Italia Misteriosa” di Medail che andavano in onda a mezzanotte su canale 5 nei primi anni novanta. Ma niente. Conoscendo poi mio padre mi avrebbe lanciato una brocca d’acqua sul corpo in fiamme e mi avrebbe detto: “dai non è niente, muovo quel culo di piombo e andiamo a mangiare che ho fame”.
Io sentivo già la mano scheletrica della morte grattarmi il culo. Non è che sentissi freddo per la temperatura esterna, lo emanavo direttamene io il freddo. Mio fratello mi guarda e fa spallucce, vede che sono a un passo dalla lapide ma anche lui sa come me che la sola speranza per fermarlo sarebbe che L’Italia si spostasse magicamente su la faglia di Sant’Andrea venendo inghiottita dal big Uan al posto della California.
Su una busta raccattata sul tavolo tra quelle contenenti i biglietti d’auguri scrivo “grazie a chi mi ha voluto bene”, lo riguardo mi accorgo che, per gli spasmi del freddo, sembra il grafico su carta millimetrata per i rilevamenti dei decibel più che un testamento e lo straccio.
Il bello di uscire con mio padre è che anche se non hai nulla da dire, anche se ti addormenti o svieni o vieni rapito da un commando di brigadisti e usato come riscatto, lui parla, parla, parla…
Due minuti dopo essermi seduto al tavolo entro in contatto con entità celestiali vestite con abiti di organza (anche le mie visioni risentono per una frocesca inclinazione per l’eleganza) che, ballando sulle note “Carlest Uisper” degli Uam, (vedi concetto sovraespresso) iniziano a giocare a tuzzico rampicino con i tre neuroni sopravvissuti alla nottata e, alla fine, mi rivelano la formula segreta della Coca Cola sparendo in una nuvola di cipria.
Alla fine del pranzo mio fratello riaccompagna mio padre alla stazione che ribadisce quanto parlare con me gli faccia sempre tanto piacere quindi sale sul pulman dove trova alcuni compagni di viaggio che, già traumatizzati dalla sua logorrea all’andata, tentano l’estremo cercando di strangolarsi con le loro stesse mani. Lo salutiamo dalla macchina o almeno è quello che fa mio fratello visto che ormai sono ridotto a una medusa spiaggiata ed è per questo che mi afferra un avambraccio e lo scuote in direzione del pulman facendo sembrare quasi naturale il mio saluto con la mano.
Chiedo allora a mio fratello di avere pietà di me e di recidermi in cervelletto con un colpo secco di Pensilvenia alla nuca (per chi non lo sa è la spazzola tonda usata dai parrucchieri professionisti per la messa in piega, mio fratello fa il rappresentante per una casa cosmetica e quindi la sua macchina è il paradiso che vogliate alzare qualche euro travestendosi come la Santanché o cercare armi contundenti alle quali mai nessuno dei RIS riuscirà a risalire).
Ma lui è il buono della famiglia e mi scarica semplicemente sotto casa. Raggiungo il divano facendomi un giaciglio con le confezioni dei regali dilaniate. Il resto è oblio.
Mi risveglio solo molte ore dopo con un biglietto d’auguri appiccicato sulla fronte. Vado in bagno, lo stacco e scopro che ho qualcosa sulla fronte, sembra una scritta. Mi avvicini allo specchio del bagno per leggere meglio e penso subito a un’altra rivelazione delle fatine nel mio cervello. Sì, sono state sicuramente loro! Leggo ma ovviamente non capisco visto che è stato scritto nella loro lingua magica. Comunque, qualcuno di voi sa per caso cosa possa significare: ! IRUGUA ITNAT?

mercoledì 5 dicembre 2007

34


24 ore di travaglio. Ma del resto, io di passare per quella fessura stretta e pelosa non ne avevo assolutamente intenzione. Ma siamo matti? Mi sono sempre rifiutato anche solo di vederne una, figuriamoci passarci attraverso. Quindi, con una certa propensione per il melodrammatico, benché di mia madre, piuttosto che sgusciare fuori attraverso “quella cosa che neppure nomino”, ho preferito attorcigliarmi il cordone intorno al collo minacciando il suicidio e costringendo i medici a praticarle un parto cesareo.
Un maschio, il primo. Frutto di anni di tentativi, di pellegrinaggi al divino amore e di ex voto alla Madonna, uno tra i tanti di quei cuori di marmo con su scolpito P.G.R. che si possono ancora vedere a Largo Preneste, a 5 minuti da Muccassassina (vedi poi uno dice che non deve leggere i segni che il destino ci manda).

6/12/19XX




Domani sarà il mio compleanno, almeno quello che i miei genitori adottivi hanno scelto come tale. Perché io mi rifiuto di credere di essere nato a dicembre e, di conseguenza essere un sagittario. Questo doveva essere l’anno astrologico della svolta, della fortuna sfacciata e della realizzazione assoluta in amore e nel lavoro.
Io un anno più infame di questo credo di non averlo mai vissuto. Si ci sono stati periodi difficili della mia vita come lo sconfinamento nella taglia 50 a 15 anni, la traduzione di un dialogo di Platone al liceo che parlava dello splendore dell’anima che rende la navigazione della vita più sicura, da me tradotto come l’affondamento di una flotta per mezzo di frecce infuocate facendomi ottenere il voto più basso nella storia della mia sezione dall’anno della fondazione del liceo alla fine dell’800: 2 meno, meno, o beccare il mio ragazzo dire al telefono ad un altro: “…si che ti amo”, non essendosi accorto che, in stanza, dietro l’anta aperta dell’armadio, c’ero io che ero andato a prendere una maglia che avevo comprato per lui e che stavo per regalargli, ma quest’anno, considerate le fantastiche premesse, non è stato sto fuoco d’artificio.
Quindi io, credendo ciecamente nell’esattezza scientifica dell’astrologia, seconda solo a quella della fisica, non posso che dubitare del fatto che i miei in realtà mi abbiano trovato sulla soglia di qualche chiesa nel dicembre di molti anni fa, decretando quel giorno come mio compleanno e che, forse, la mia reale data di nascita sia un’altra (ecco perché il numero speciale di Astra di dicembre con le previsioni per l’anno in arrivo me lo leggo tutto, dall’inizio alla fine, dedicando la stessa attenzione a tutti i 12 segni).
I meglio informati mi tranquillizzano di essere fiducioso, che questo è stato l’anno della “semina” e che i frutti si vedranno nel 2008. Io non voglio essere il solito scettico ma se pianti un broccoletto, la vedo dura veder spuntare un cespuglio di rose.
A quanto pare infatti il prossimo anno la congiunzione di Giove con il mio Sole di quest’anno si trasformerà in un sestile, che per quanti credono che i tarocchi sono solo una varietà di arance, è un aspetto planetario molto propizio.
Visto che con l’età sopraggiunge anche un vago senso di rassegnazione e una insperata pazienza, io adesso vedo che succede anche nel 2008 dopo di che, se le cose dovessero seguitare ad andare male, becco quei due disgraziati dei miei e, minacciandoli di spedirli in ospizio a gareggiare con gli altri vecchi a chi si piscia prima sotto, li costringo a cacciare fuori la mia vera data di nascita.

martedì 4 dicembre 2007

IL BELLO DI UN VIAGGIO NON E’ LA DESTINAZIONE MA IL TRAGITTO.



Ho deciso cosa farmi regalare tra pochi giorni per il mio compleanno: una seduta spiritica per parlare con Torpalock, ovvero quello che la zingara di Piazza del Popolo, qualche anno fa, mi rivelò essere il mio spirito guida (sotto compenso di 5 euro).
Devo assolutamente chiedergli io nella vita precedente chi ero.
In ballottaggio abbiamo:
1) un negriero spagnolo che sterminò un intero villaggio africano gettandolo dalla nave durante la tradotta in America per alleggerire l’imbarcazione durante una tempesta;
2) Erode, per il ben noto fattaccio della “Strage degli innocenti”;
3) L’inventore della ceretta a caldo per le sofferenze inflitte a milioni di inguini femminili ogni anno.
Perché altrimenti il mio carma, nonostante le porcherie commesse in questa vita da me medesimo, non giustificherebbe tanta sfortuna.
Venerdì mattina arrivo con i miei amici all’aeroporto per prendere un volo diretto a Stoccolma che, in questo periodo, da il meglio di sé: temperatura oscillante tra i -12° e i -45°, con il sole che tramonta alle 2 e mezza e un’umidità da acquario dei pesci rossi.
Sapevamo che ci sarebbe stato lo sciopero quel giorno ma sarebbe dovuto cominciare un’ora dopo la nostra partenza, per questo eravamo già pronti a fare pernacchie mettendo il braccio a manico d’ombrello a tutti quelli che avrebbero visti cancellati i loro voli gridando sguaiatamente: “viaggiatori!!”, seguito da un elegantissimo pernacchione. E, invece, come Alberatone Sordi nei Vitelloni, alla fine c’è toccata la stessa sorte.
L’altoparlante ci comunica che, invece di dare la sola solo ai passeggeri dei voli che partono dalle 11 in poi, è segno di maggior democrazia cancellare anche quelli precedenti. Neppure ci avessero comunicato che la nazionale di Regbi Italiana l’avrebbe dato solo ai primi 7 che avessero raggiunto il banco informazioni, abbattiamo i record dei 200 metri di Liuis dell’ ’84 precipitandoci al banco delle informazioni per sapere per quale motivo fossero stati cancellati tutti i voli. Lì ho avuto la conferma: quando una compagnia aerea vuole fare tagli sul personale costringendo gli impiegati a licenziarsi o, come in questo caso, ad abbandonare il posto di lavoro con un teatrale suicidio lanciandosi nella turbina in azione di un 747, lo mettono al servizio informazioni durante i giorni di sciopero. Ma, poco prima del suo gesto estremo, l’impiegata della Raianer fa di tutto per trovarci una soluzione visto che avevamo deciso che noi, comunque, in Svezia ci dovevamo andare.
Da lì, il delirio di tragitti alternativi per aggirare il blocco degli scioperi. Ad eccezione del risciò a pedali e del carretto siciliano trainato da una coppia di poni, per il resto le abbiamo provate tutte. Alla fine le alternative erano: un Roma/Liverpul/Stoccolma con una sosta comoda di 10 ore nel aeroporto che, per varietà di negozi e possibilità di svaghi, è secondo solo a quello di Noril'sk, attracco dismesso dell’esercito sovietico nella regione settentrionale della Siberia, per poi ripartire in serata;
un Roma/Pisa/Stoccolma che avremmo potuto raggiungere in macchina in poco tempo (ipotesi poi sfumata a causa della sparizione della destinazione dal terminale della futura suicida che ormai, con un filo di voce e dandosi dei colpi alla testa con la cornetta del telefono, ci dice: “non capisco, Pisa era qui fino a un secondo fa!”, per cui non si è capito bene se Pisa sia stata risucchiata dalle viscere della terra o cosa);
Roma/Treviso/Stoccolma.
A quel puntolo sono rassegnato: inventerò di esserci stato lo stesso, mi leggo la guida di Stoccolma, e, se mi ci metto d’impegno, tra fotosciop e immagini scaricate da internet riesco anche a testimoniare il viaggio con degli scatti di me che insegno la tarantella a Victoria, l’erede al trono di Svezia, dandole delle pacche sul culo.
A quel punto, non so quale dei miei compagni di viaggio se ne esce con un’idea degna del reportag di punta del numero di gennaio di Nescional Geografic: “Beh, prendiamo una macchina in affitto, andiamo a Treviso e partiamo da lì”. Io ora di Treviso, so solo che sta a nord ma per me nord è anche Viterbo quindi non mi è subito chiaro dove sia e, sulla scia dell’entusiasmo (o più precisamente isteria collettiva) decidiamo di noleggiare una macchina e partire. Di minivan non se ne parla neppure, all’aeroporto la più spaziosa che ci possono dare è una Opel Zafira che ti vendono come omologata per 7 ma appena ce la danno salta subito all’occhio che questi 7 devono essere i nani di Biancaneve.
Essendo io e il mio amico “costumista quasi affermato” i più bassi del gruppo (primato conteso con metro alla mano e vinto per una manciata di millimetri con un altro amico), ci caricano dietro in uno spazio comodo come una vaschetta per fragole (Ballarò ha cambiato in corso d’opera una puntata dedicata alle condizioni disumane di viaggio in gommone dei profughi nordafricani verso la Sicilia con il nostro verso Treviso). Solo dopo essermi svitato le ginocchia ed essermele messe in bocca, partiamo. Dopo pochi metri un altro amico svolge la cartina stradale e, neppure ci avessi letto sopra la mia data di morte, mi prende un colpo quando scopro che Treviso è più a nord di Viterbo, più a nord di Firenze, più a nord di Bologna. Quando vedo il suo dito andare ancora più su, perdo i sensi e mi riprendo solo all’autogrill di Signe dove vengo fatto rinvenire annusando un Ortolana condita con aceto e smalto solvente per vernici.
Alle 23, finalmente tocchiamo il tropicale suolo svedese, solo 8 dopo il nostro previsto atterraggio.
L’aeroporto è quello di Svanska, una multiproprietà che la Raianer condivide con gli elfi assistenti di babbo Natale e, visto che non abbiamo ormai più neppure l’energia di svitare il tappo di una bottiglietta d’acqua, chiamiamo un taxi per evitare il letale tragitto in pulman fino a Stoccolma, a più di un ora da lì.
Arriva il tassista che ci carica sul minivan, destinazione Hotel Clarion. Dopo neppure 15 minuti di tragitto nel buio più totale visto che degli studi scientifici hanno appurato che la luce dei lampioni stressa gli alberi di betulla ingiallendone le foglie (questa è gente che si fa incatenare ai fusti d’albero per evitare che diventino delle mensole di Ikea) iniziamo a vedere che l’autista ci sta portando esattamente all’opposto rispetto alle indicazioni per Stoccolma. Nessuno di noi fiata visto che immaginiamo sappia quello che sta facendo anche se io gia mi vedo come un protagonista di “Ostel” mentre vengo seviziato da qualche ricco allevatore di renne in una fabbrica dimessa di slitte.
Alla fine avviene quello che neppure l’autore più sadico di “Scherzi a parte” potrebbe inventare: parcheggia sì davanti al Clarion Otel ma quello di Regenvart (o come cazzo si scrive), un paesino con solo 4 case e un negozio di armi e cappi in corda disperso nel nulla e il cui unico edificio era appunto l’albergo. Ora, dimmi che eravamo troppo tramortiti per cantare YMCA con la coreografia olimpionica durante il tragitto, dimmi che al buio non si vedeva il trucco sul viso de “La coppia da operetta” (due miei amici fidanzati e ultime spiagge sentimentali reciproche) intitolata da loro “Notti scandinave”, dimmi pure che per gli svedesi etero, ghei, bisessuali, cacciatori di renne o pervertiti vari sono tutti uguali, ma mi spieghi cosa ci dovrebbero fare 8 ricchioni italiani in un paese di 45 abitanti e con un tasso di suicidio annuale del 45%?
Risolta quindi l’incomprensione, il tassinaro ci porta finalmente a Stoccolma, davanti il “nostro” Calrion Otel, ma non senza prima essersi perso altri 20 minuti sulla tangenziale sotterranea della città, dal momento che, il navigatore satellitare, in quel momento, stava evidentemente trasmettendo l’episodio finale della quarta serie dei Teletabbis.
Comunque il viaggio è andato bene.

mercoledì 28 novembre 2007

IDA se ne va.

Quando mi arriva una telefonata prima delle 8 del mattino o dopo la mezzanotte, ho sempre il presagio che sarà foriera di brutte notizie.
Alle 7, 45 il cellulare inizia a trillare sulla mensola vicino il letto. Sul displei lampeggia “mamma”.
Occorrono pochissimi minuti di conversazione visto che un po’ ce lo aspettavamo tutti.
Pochi mesi fa le avevo attribuito il titolo di Immortale. leggi qui
Evidentemente Zia Ida non lo era. Conoscendola adesso starà gia gareggiando con i martiri del Cielo su chi, tra loro e lei, ha più acciacchi, e a San Lorenzo non basterà neppure mostrare la graticola sulla quale fu martirizzato per spuntarla sulle lamentele di mia zia.

lunedì 26 novembre 2007

CUCINA DALLA CINA.


L’ultimo rutto fatto alle 12, 45 era al sapore di gelato fritto, che, essendo stata l’ultima portata della cena di ieri sera, mi fa ben sperare di aver concluso la digestione della cena cinese. In effetti almeno 14 ore servono tutte prima che una porzione di ravioli alle verdure, una zuppa di pinna di pescecane, fettuccine alla carne, manzo funghi e bambù, gelato fritto più 2 bottiglie di birra vengano disciolti dai miei potenti succhi gastrici.
Fino a poco fa, il monopolio della ristorazione cinese ghei frendli era detenuto a Roma da Giada, una potentissima donna d’affari imprigionata nel corpo di una minuta cinesina ormai detentrice di larghe regioni della Manciuria acquistate con la gestione del ristorante cinese di via Cavur e in grado di gestire contemporaneamente: 12 dipendenti, tra i quali l’ormai soggiogato fratello Sciffon (giuro, si chiama così), una media di 300 ghei a sera, che riesce a stipare in un ristorante in grado di accoglierne al massimo 50, nel rispetto della migliore tradizione asiatica dello sfruttamento degli spazi e delle arti contorsionistiche, e l’andamento delle trattative bilaterali tra governi europei e quello cinese. In più, è genio assoluto delle tecniche di fidelizzazione del cliente grazie all’elargizione a fine pasto di gagget per la realizzazione dei quali è stato allestito un laboratorio ultra segreto dove confluiscono tutti i cervelli in fuga dalla Cina (per la penna con il tappo con mini torcia elettrica è stata candidata per la terza volta di seguito al premio scientifico “Alessandro Volta” di Nocella Ionica).
Da qualche tempo però, si è affacciato al mercato un concorrente per la potentissima Giada. Si tratta di un ristorante in via Marco Polo che, come spesso accade nell’ambiente omoricchione, non si capisce per quale motivo e in che momento storico è assurto a nuovo “ristornate cinese ghei” e, siccome la mia vocazione di critico ed estimatore del buon gusto mi porta non solo a vedere ogni anno i film natalizi di De Sica-Boldi (in coppia o, come ora, separati), a trastullarmi con L’Arena di Domenica In con Giletti fituring una marmotta in coma al posto dei capelli, ma anche a ricercare sapori sempre più raffinati e nascosti, ieri sera sono andato a scoprire i segreti della cucina di questo nuovo locale prima che Giada gli mandi un drappello di parenti armati di accette squarcia anatre per regolare a suon di braccia mozzate chi dei due deve detenere la supremazia e chiuda quindi per strage.
Insomma le portate, la cucina e il servizio riservano la stessa sorprendente diversità riscontrabile tra due ristoranti di Mc Donald.
“Andiamo al cinese di via Marco Polo? E’ buonissimo! Ed è meno pesante”. Ma rispetto a cosa, a una messa dell’Opus Dei in latino? Possibile che solo io mi accorgo che i ristoranti cinesi sono tutti uguali? I fornitori sono gli stessi e mi sembra quindi ovvio che servano tutti gli stessi identici piatti. Quando si va dal cinese, qualunque esso sia, ci si deve andare sapendo che, bene che ti vada, passerai la notte sognando dragoni volanti che ti sputano lapilli di lava nell’intestino, che ti sveglierai trasudando colesterolo e che per i vestiti indossati per andare a cena è arrivato il momento d’essere riciclati come pezze da spolvero.

giovedì 22 novembre 2007

POTERI SBAGLIATI.


Dio degli eserciti e dei ghei, perchè mi fai questo!! Capisco volermi attribuire anche questo enorme potere (vedi link)
ma almeno me ne potevi dare la versione originale e non craccata perché, secondo me, quella che mi hai installata ha decisamente qualcosa che non va. Che poi, dico, te lo avessi chiesto io! Ma tu no, mi appari in sogno e mi dici: “Visto che mi sei uscito ghei, voglio farti questo dono preziosissimo che riservo solo a te e ai membri dell’anonima sarda: far sparire le persone”.
Vedi caro Dio dei ghei, ti spiego, questo tipo di potere è fantastico e utilissimo se poi le persone che spariscono sono indesiderate, moleste e inopportune e non se sono quelle che ti piacciono.
E la scorsa settimana è successo di nuovo.
A te non è che devo stare a spiegare cos’è successo ma lo faccio per gli altri poveri esseri umani che non hanno il dono della onniscienza.
Dunque, qualche giorno fa vado in palestra e incrocio lo sguardo di un nuovo iscritto. In quel momento il mondo intorno a me si ferma. Il puzzo di sudore rancido muta in un olezzo di fiori di campo, l’arancione delle parti diventa di un rosa confetto tenue e persino gli scanacchi catarrosi dei cinesi negli spogliatoi diventano soavi squille di tromba.
E’ semplicemente L’UomoDellaMiaVita (lo so che lo dico in media una volta al mese ma io lo intendo come categoria platonica quindi, silenzio!) e poi ha tutto quello che a me piace in un uomo: respira.
Per due settimane lo guardo da lontano perché in fondo sono una creatura timida e non ne faccio parola quasi con nessuno ma apro il mio cuore solo a pochissimi fidati amici tra i quali le cassiere della GS (tutte), i casellanti dell’ANAS (solo da Orte a Reggio Calabria) e uno sparuto gruppo di pastori Neozelandesi con i quali mi vedo spesso in cam per far loro compagnia durante la tosatura delle pecore.
Più lo vedo, più sono convinto che siamo fatti l’uno per l’altro. Non chiedetemi perché, diciamo che è intuito, quella stessa infallibile certezza che si attiva in me ad esempio quando sono alle Poste e devo scegliere in quale fila immettermi, portandomi a prediligere sempre quella che si rivela essere una trappola mortale visto che il signore davanti ha deciso quel giorno di chiudere il suo conto, aprirne uno per il nipote di 5 anni, richiedere tutti i dati degli ultimi 5 anni stampati in duplice copia e tutto questo con la batteria dell’apparecchio per l’udito quasi scarica.
La settimana scorsa, ormai rintronato dall’ebbrezza dell’amore, commetto l’errore fatale e lo indico al miomiglioramico. “Ma chi?”. “Quello lì!”, rispondo.
Da allora è sparito. Niente. Più visto. Il mio potere ha fatto un’altra vittima. Sì, perché come dicevo, il dio vendicativo degli eserciti e dei ghei ha fatto sì che questo talento (o come sarebbe più adeguato chiamarlo: inculata) ha come peculiarità quella di far sparire immediatamente chiunque mi piaccia non appena lo indichi a qualcuno.
A volte vengo preso per pazzo perché anche gli amici più cari dubitano che sull’altro capo della linea tracciata dal mio indice ci sia realmente qualcuno dal momento che la sparizione è istantanea. E non è che poi ricompaiano. Non si vedono mai più, io credo perché si viene a formare uno di quei varchi spazio-temporali dove ti ritrovi in un universo parallelo e, per il loro bene, mi auguro che sia un mondo sì identico al nostro ma dove ci sono però sostanziali differenze, un mondo forse anche più bello, più giusto dove la Gregoraci viene usata come cavia per testare dei reagenti chimici e dove Calderoli è il nome scientifico per definire merda di maiale.

mercoledì 21 novembre 2007

GIU' LA MASCHERA.


























Vabbene, basta co’sta buffonata dell’omosessualità. Ora calo la maschera e dico la verità. Non sono ghei! Anzi le donne mi piacciono moltissimo e la sera, di nascosto dai miei amici, vado a mignotte. 
Per anni ho finto, molto bene a detta di tutti quelli che mi conoscono, ma in realtà sono eterosessuale. 
La sola ad essersene accorta fu la mia prima analista la quale mi continuava a ripetere: “Sarai pure ghei ma ragioni da maschio etero, qualcosa non mi quadra”. E a nulla serviva estirparmi la volta dopo le sopracciglia rimpiazzandole con due file di eilainer. Lei ne era convinta. “Tutt’al più sei bisessuale. Dovresti provare con una donna”. Vedendo compromessa la mia copertura, smisi immediatamente di proseguire la terapia. 
Perchè allora fingere un’identità che non mi appartiene? Perché costringersi ad orrendi rapporti sessuali con persone del mio stesso sesso che ogni volta non fanno altro che provocarmi schifo e dolore? 
Per vendetta verso mio padre. Ecco il perchè. 
La causa non è una semplice conflittualità interna tra maschi dominati del branco o cazzate da primo semestre di psicologia della famiglia. No. Tutto questo è scaturito da un episodio ben preciso che si fissò nella mia mente di bambino in maniera indelebile come la marcatura a fuoco di una vacca del renc di Bonanza. Un trauma che decisi sarebbe stato punito causando a mio padre un dolore altrettanto profondo.
Sono in terza elementare. All’epoca possedevo una collezione di album delle figurine invidiabile. Avevo quello della “Fauna, flora e animali”, de “L’Italia”, de “L’Europa”, di “Supermen”, di “Gig, robo d’acciaio” e persino del “Gesù di Nazaret” di Zeffirelli (di quello ne avevo addirittura tre di cui due completi, così per dare un’idea dei doppioni che avevo accumulato). 
Ma c’era un album che desideravo più di tutti. Uno per il quale avrei dato via tutta la mia meravigliosa collezione. 
In classe lo facevano tutti e guardavo ammirato lo scambio dei doppioni dal quale venivo ovviamente escluso, anche provando con il famoso raggiro di mia invenzione chiamato il “5X1” (io 5 figu dei miei album, loro una del loro) ma, neppure così, riuscivo a persuadere quei piccolo figli di puttana e, per quanto lo implorassi, mio padre continuava a rifiutarsi di comprarmelo. 
L’album in questione era quello di Ledi Oscar. Ero innamorato di questo cartone animato, non perdevo neppure una puntata anche perché, non esserne un seguace equivaleva ad essere schifato dagli altri compagni come un lebbroso di Calcutta. 
Io, benchè all’epoca già fossi eterissimo, mi sentivo, per così dire, molto vicino ad Andrè (con il quale immaginavo battute di caccia tra i boschi e abbracci compiaciuti, ma maschissimi, per le prede catturate) e gli abiti di Maria Antonietta mi affascinavano solo per un’eterissima attrazione verso il rigore della ricostruzione storica. 
Ogni volta quindi che andavamo in edicola per comprare un caricatore di figurine varie, io provavo a chiedere a mio padre di prendermi anche quello di Ledi Oscar. Ma niente. Era inamovibile, neppure davanti alle mie collaudatissime lacrime a comando che negli anni mi avevano fatto ottenere da genitori e parenti un bottino più cospicuo di quello depredato da Gieims Cuc in una vita di scorribande come corsaro. 
“No. Non te lo compro. E’ un album da femmine!”. Per risposta, tiravo sempre fuori l’eccezione che abbatteva la regola e, come un avvocato di un legal triller americani in grado, grazie a un cavillo misconosciuto, di salvare il suo assistito dalla sedia elettrica, tiravo fuori il “caso Piselli”: un mio compagno (giuro che il cognome è reale), maschio, che faceva l’abum di Ledi Oscar. Quindi io, sempre a un passo dall’affogare nelle mie stesse lacrime che esondavano dagli occhi manco avessi visto mia madre seviziata da un gruppo di Marocchini, incalzavo: “Ma lo fa anche Andrea Piselli!”. Dopo di che fingevo anche un virilissimo mancamento dei sensi. 
Un giorno, di fronte al solito dramma familiare, mio padre, esasperato, pronunciò la frase che sarebbe stata ricordata nella storia come quella che avrebbe dato un corso drammatico alle nostre vite e al nostro rapporto: “Non mi interessa. E’ roba da froci. Se vuoi ti faccio fare quello dei calciatori”. E io, come un vampiro davanti a un crocefisso, mi coprii gli occhi e urlai un nosferatesco: “Nooooooo!!!!!!!”.
Come potevo farla pagare a mio padre per questo rifiuto? Come avrei potuto distruggergli la vita come lui l’aveva distrutta a me? Da quel momento tra di noi si levò un muro che compromise per sempre il nostro rapporto tra veri maschi. 
Fu in quel istante che, come Siddarta sotto le frasche del salice, ebbi la mia illuminazione e promisi a me stesso che non mi importava con quanti uomini avrei dovuto avere rapporti sessuali. Non mi sarei curato di tutti i ghei praid sui carri dei quali sarei salito vestito solo del mio sdegno di figlio tradito. Da allora sarei diventato anche io frocio, per dispetto.
Al diavolo quante orge maschili, saune ghei, rapporti sessuali ripresi da telecamere e aree di sosta per camionisti avrei dovuto fronteggiare pur di sbattere un faccia a mio padre la giusta ricompensa per quella fatale privazione. 
Avrei accettato tutto questo custodendo però nel profondo la certezza della mia virile eterosessualità. 
Il dolore, lo so, è forte e a volte mi chiedo perché lo faccia, perché non getti invece la maschera mostrando al mondo il mio vero io ma quando ripenso alla pagina centrale dell’album composta da ben 8 figurine dove veniva ritratta la presentazione a corte di Maria Antonietta accompagnata da Oscar con l’abito da alto ufficiale avvolte in uno scintillio irreale mi faccio forza e mi butto sul primo maschio compiacente che mi capita a tiro.

martedì 20 novembre 2007

DESTINAZIONE: ASGAR, LA TERRA DEI GHIACCI.


Su di me le parole saldo e ribasso, hanno un effetto fascinatorio così potente che se me la dessero scontata la comprerei io la salma mummificata di Lienin mettendola magari in corridoio come appendi abiti. E’ più forte di me, l’idea di un affare è irresistibile come per una zanzara è la graticola aultravioletti e, come lei, finisco quasi sempre per restarne bruciato.
Quindi questo più che un post è un testamento visto che, l’ultimo colpo gobbo, temo rappresenterà la mia nemesi: Roma-Stoccolma, andata e ritorno, tasse incluse: 70 Euro.
Incitato da una coppia di amici che avevano comprato il biglietto aereo qualche giorno prima, anche io non ci metto più di 5 minuti per acquistare il volo trascinando con me anche ilmiomiglioramico.
Certo che però è davvero strano, mi sono detto, ci sono un sacco di biglietti disponibile e tutti a così poco. Avendolo comprato con un certo anticipo (per intenderci, l’ho pagato in lire) non mi sono minimamente reso conto di alcune cosette sulla Svezia che, considerate per tempo, mi avrebbero fatto desistere dal viaggio. Primo: la Svezia è a nord, ma non il nord profondo che intendo io come Milano o Torino, il nord siderale, quello per trovare il quale occorre un’estensione del planisfero. Seconda considerazione: il biglietto costò 2 lire e mezza anche perché l’aeroporto d’arrivo è praticamente a Viterbo, da li ci sono altre 2 ore di pulman per raggiungere Stoccolma. Terza: il freddo che fa a dicembre da quelle parti è lo stesso che ha fatto estinguere i dinosauri 6 milioni di anni fa. Ultima e, direi, letale considerazione: il volo di ritorno è alle 7 del mattino il che significa arrivare in aeroporto alle 5, 30 il che significa partire da Stoccolma alle 3, 30 il che significa che, i crisantemi da portarmi sulla lastra di ghiaccio che comporrà la mia bara dovranno essere immersi nel fluido anti gelo che si mette nei motori delle macchine.
Io davvero mi chiedo come mi sia venuto in mente. Io che alle basse temperature mi trovo a mio agio come Rosi Bindi a Miss Italia.
Ma, alla fine, lo so, ancora una volta a fregarmi sono stati gli uomini. Tutti quelli che sono stati in Svezia mi fanno racconti meravigliosi di uomini bellissimi e disinibiti e io, come un calabrese qualsiasi degli anni 60 che va a Riccione per rimorchiare le bionde scandinave ci sono cascato con l’aggravante che non ho aspettato calassero loro in Italia alla ricerca di un po’ di tepore sulle nostre coste, no, vado io direttamente da loro e mica in estate, (non sia mai aspettare) in inverno quando tra giubbotti a figura intera impenetrabili come un sarcofago, le tormente di neve e il fatto che alle tre fa già buio, mi chiedo come diavolo farò a vederli ‘sti biondi dei del Valalla!?
Ma ormai la frittata è fatta quindi in settimana io e il manipolo di disgraziati coinvolti in questa avventura al polo, guidati dallo spirito di Umberto Nobile, (ndr: un docente di costruzioni napoletano dell’inizio del secolo scorso con un senso d’orientamento talmente scarso da finire al polo nord giustificando questo suo deficit come invece una volontaria propensione per le scoperte geografiche) andremo alla caccia di calzettoni in lana, calzamaglia in eternit, sì cancerogena ma estremamente isolante, stivali inguinali con interno in pelle di montone in grado di esalare un fetore letale al momento della dismessa, una crema corpo a base di grasso di foca e una cassa di vodka da discaunt che ha lo stesso dosaggio calorico della Diavolina per barbechiù con in più il dono di stordirti come t’avesse travolto da una mandria di alci.
I miei compagni di spedizione cercano di rabbonirmi dicendomi che ci saranno per allora un sacco di mercatini di Natale per comprare deliziosi addobbi, io che l’anno scorso ho comprato un albero di plastica di 70 cm alla GS sotto casa il 24 e le palle “20 a 5 Euro” (altro affarone irresistibile) dai Cinesi, roba che le renne di Babbo Natale le scorse festività hanno incrociato gli zoccoli per 48 ore in segno di protesta imponendo al panzone di non avvicinarsi a più di 500 metri da casa mia.
Ad ogni modo comunque, visto che, si sa, gli opposti si attraggono, ho smesso già da una settimana di depilarmi il tratto che separa le sopracciglia cosicché adesso al loro posto ho una specie di fascetta antisudore da tennista in puro pelo color marmotta, mi sto sottoponendo a lunghe sessioni di lampade abbronzanti fatte da un centro estetico abusivo tenuto da ucraini che utilizza solo uranio comprato di contrabbando dai vecchi arsenali atomici dell’ex URSS e sto facendo un corso di marranzanu (o scacciapensieri) siciliano per dare quel tocco di mediterraneità in grado di scaldare i cuori dei biondi teutonici perché non posso nascondere una mia predilezione per il capello biondo, l’occhio chiaro e il metro e ottantacinque quindi, visto che ormai il viaggio l’ho comprato, io mi porto le valigie per restare e, semmai dovessi trovare l’amore della mia vita vorrà dire che resterò a Stoccolma e, una volta lì, posso sempre svoltare aprendo la pizzeria al taglio: “Da Insy, specialità dal profondo sud”.

giovedì 15 novembre 2007

VUOI DIVENTARE LA PROSSIMA ICONA GHEI? Sono aperte le iscrizioni.


Sei una aspirante qualcosa? Canti, balli, reciti, conduci trasmissioni ma fai tutto questo con lo stesso talento che ha Romano Prodi nell’infervorare le folle? Hai visto più fallimenti sentimentali che tramonti e hai tentato una o più volte il suicidio ma la Morte ti ha risposto “No, grazie le sfigate non sono gradite a casa mia”? Allora puoi aspirare diventare la prossima icona ghei perché se sei nessuno per tutti, per i ricchioni potrai diventare qualcuno, qualcosa.
L’icona ghei è un altro di quegli strani fenomeni antropologico- culturali dalle origini del tutto inspiegabili come quelle del vudu, del culto dei bovini in India o dei ghei che votano Alleanza Nazionale. Ad assurgere agli onori dell’icona ghei sono ammesse solo le donne, eccezion fatta per Amanda Lir e Mario Giordano (ndr: il direttore di Studi Aperto sull’identità del quale la Foschini sta da anni preparando una puntatona speciale di “Misteri”).
In effetti è difficile tratteggiare le caratteristiche di un’icona ghei, e come quando ti chiedono cos’è l’amore: non sai descriverlo ma quando lo incontri, lo riconosci. E’ una sensibilità che hanno solo i ghei e solo loro possono investirti di questo titolo.
Infatti pensiamo che icone ghei lo sono donne di successo assoluto come Madonna ma anche la Rettore il cui unico disco di successo è “Confescion on a dens flor” (di Madonna, appunto), comprato all’Iper di Castelinio di Resada.
Possono essere le donne più dolci della terra come la Clerici diventata icona da quando affermò che “non poteva vivere senza il cazzo” (trovate un ghei che non sia d’accordo) o le più diaboliche come Angelina Giolì che per fare le pulizie ha preferito adottarlo un filippino piuttosto che regolarizzarlo con un permesso di soggiorno versandogli quindi i contributi.
A volte provo a pensare al significato sostanziale della parola Icona. Dovrebbe essere l’incarnazione di un simbolo, di un principio, una figura storica di svolta e mi vengono subito in mente Ainstain, Lennon, Teresa di Calcutta e posso solo immaginare l’espressione di disappunto che possono fare dall’aldilà quando sentono un ghei attribuire lo stesso titolo a Marcella Bella, Viola Valentino o a Moira Orfei. Sì, perché sei icona anche se sei una cantante che ha avuto successo nello stesso anno in cui gli Etruschi inventarono l’arco per costruire edifici, anche se la tua voce era percettibile solo dal super udito dei cani e di Geimi Sommers e se hai un luc sobrio quanto una lezione di diritto pubblico tenuto da Milli D’abbraccio.
Se scendi da una macchina mostrando ai fotografi che non porti le mutande e sei, unica nella storia insieme ad Annamaria Cinaciulli, la saponificatrice di Correggio, ad aver perso l’affido dei suoi figli come la povera Britni Spirs ecco che ti trasformi di diritto in Icona ghei. Se poi con la frequenza con cui io faccio pipì vai nei centri di riabilitazione allora sei supericona.
Ma Mina allora? Non è forse una grande artista ed anche icona ghei? E La Callas? Ma infatti qui stiamo parlando d’essere dei miti per una categoria che ha un approccio alla coerenza sana ed equilibrata come Pacciani e Vanni l’avevano al concetto di passatempo.
Recentemente è assurta a rango di icona anche la signora Giovanna Rattazzi da Sulmona per il semplice fatto di aver partecipato a “Chi vuol essere milionario” (perdendo alla domanda da 200 euro e quindi icona in quanto sfigata). Insomma l’icona ghei è un essere mutevole e di volta in volta è quella che vorremmo essere dall’altro lato degli ormoni o quella che, con una parrucca acquistata a Portaportese e un paio di tacchi comprati dal Califfo, (ndr: negozio romano di calzature per donne alte o per donne che all’anagrafe ancora sono registrate come Carlo o Francesco) riusciamo ad imitare a carnevale ma anche a Pasqua, Ferragosto Natale e, visto che non siamo dei provinciali bacchettoni, ogni volta che ci sentiamo…un po’ così.
A volte diventare icona per i ghei può essere anche l’ultima spiaggia per ex di “Non è la Rai” dimenticate sotto i tavoli di dirigenti televisivi e imprenditori o attrici ormai dimenticate persino dalle loro madri, basterà fare un’affermazione qualsiasi sui ghei, la prima che viene in mente tipo: “io sono contraria ai matrimoni ghei, alle adozioni ghei, alle effusioni in pubblico tra i ghei ma ho un sacco di ami ci ghei e li adoro” e, sta certa che, come minimo, verrai invitata come madrina ai gheipraid di tutta Italia e male che vada la tua serata su un palco con un pubblico che almeno superi il numero dei partecipanti alla riunione di classe dei liceali del “Pilo Albertelli” classe 1906, due consumazioni gratis al bar e qualche frocetta che sotto ecstasi griderebbe “sei un mito” anche a una scoreggia li raccimoli.
Una volta un mio conoscente costumista, corse da me tutto eccitato manco avesse scoperto che il suo nuovo fidanzato era l’unico uomo al mondo dotato di due peni e mi fa: “Non sai che emozione!” E io, immaginando i due peni del ragazzo, in effetto, un po’ di invidia la provai. “Sai chi ho conosciuto oggi?”. A questo punto sfumava il sogno del ragazzo bipenuto e con lui il mio entusiasmo. “La Carrà (ora prendete la parola Icona e apponete in alto a destra la lettera N e avrete un’idea di quanto la pimpante presentatrice dai capelli a caschetto, perfetti come la chioma di un Pleimobil, possa essere per un omoricchione una figura mitica come l’ippogrifo) e guarda!”, mi mostra una foto della Carrà con alle spalle il Colosso di Rodi ancora in piedi firmata con quello che a me sembrava un timbro con su scritto: “Al mio caro (scrivi qui il tuo nome)”. Se ne andò saltellando come una gazzella delle savane e da allora non lo vidi più.
Si può morire di gioia? Da allora lo credo fermamente.

E VOI, AVETE UN'ICONA?

martedì 13 novembre 2007

GRANDI POTERI PORTANO GRANDE SFIGA.




















Si chiamava Saifer e quando gli autori degli “X men” partorirono questo personaggio probabilmente dovevano essere appena usciti da un attacco di dissenteria da intossicazione di cozze del porto di Napoli perché nel gruppo dei “Nuovi Mutanti” era quello con il potere più inutile che si potesse immaginare. Ora ditemi voi se tra super eroi che hanno la capacità di volare, di cambiare il clima, di sparare raggi distruttivi dagli occhi arriva questo biondino, mingherlino e, secondo me pure un po’ “allegro” (da leggere con una strizzata d’occhio ammiccante che intende dire “ci siamo capiti, no?) che come potere ha quello di parlare tutte le lingue anche quelle aliene e dei compiuter, insomma, come il dono dello spirito santo ai discepoli dopo la pentecoste.
Decisamente un potere utilissimo visto che ogni 5 pagine i “Nuovi Mutanti” dovevano scontrarsi con nemici in grado di annientare universi interi con il potere della mente ed era quindi indispensabile che ci fosse un membro del gruppo che potesse sfinire il nemico traducendogli l’Anabasi di Senofonte il 5.678 lingue diverse. Un super-inutile, c’è poco da aggiungere. Tant’è che quando gli autori si rialzarono definitivamente dalla tazza del cesso, lo fecero morire.
Anche io ho un potere mutante bizzarro come quello di Saifer, ma che al contrario del suo avrebbe grosse potenzialità. Dico avrebbe perchè si tratta della capacità di far morire ogni strumento elettronico ma, ecco la controindicazione, solo se di mia proprietà.
E’ successo infatti che ieri, dopo esser stato depredato del mio aipod (per il ladro del quale invoco sempre le forze del maligno che se lo prendano e strazino lui e tutta la sua famiglia per l’eternità) vado a comporre un sms sul cellulare e i tasti non scrivono più o, meglio, funzionano ma fanno come gli pare, facendo apparire lettere incomprensibili in uno strano fenomeno di telescrittura, come i medium, per cui adesso so esattamente quando e perché finirà il mondo ma non posso scrivere ad un amico se ci vediamo per bere una birra.
La cosa non mi sorprende affatto: solo questo cellulare l’ho già fatto riparare 2 volte ma ora che è scaduta la garanzia gli lascerò raggiungere il paradiso dei cellulari.
Come tutti quelli dotati di super poteri anche io ebbi la mia epifania da piccolo. Tutto è cominciato con il mio primo compiuter, un Commodor vic 20 regalatomi per la comunione. Tempo di durata: 2 giorni. Trasformatore bruciato.
Sono poi passato al Geim boi: 2, uno morto per batteria ossidato, l’altro non meglio specificate cause.
Videoregistratori fatti fuori: anche qui 2. Uno in particolare seguiva una dieta dissociata particolare a base di nastri magnetici.
Con l’avvento dei cellulari il mio potere non ha fatto altro che espandersi. Al centro Nokia ormai mi chiamano per nome. Su un totale di 4 aipod 2 morti senza motivo e gli altri, terrorizzati, hanno preferito farsi rubare che finire fulminati come gli altri.
il lettore-registratore DVD già portato una volta al centro assistenza, ora da di nuovo problemi ma lo ignoro. Lui mi insulta scrivendo parolacce sul dispplei ma io gli rispondo che se non vuole essere gettato e riciclato in un pappagallo di plastica del reparto di geriatria del Sant’Eugenio fa bene a non fare troppo lo stronzo. La TV: fusibile fulminato, di notte, nel sonno (il mio però) quindi se ne è andato senza soffrire.
Non sto a dilungarmi nella lunga sequela di stereo, uolcmen e macchine fotografiche digitali. Ho una voce mensile dedicata a “riparazione e sostituzioni”. Insomma dove c’è un circuito, una batteria, due fili di rame e una presa passo io e salta tutto.
Circa due anni fa andai a ballare all’Hub di Lucca (ndr: locale ghei di paese dove i ghei, a differenza dei loro corrispettivi di città vestono camice con i polsini abbottonati e ignorano l’esistenza di palestre) con due miei amici. Uno di essi un pioniere del navigatore satellitare. Non capimmo subito cosa stesse succedendo visto che, a naso, ci sembrava non fosse quella indicata dalla vocina del tomtom la strada giusta. Capii che anche in quel caso era colpa mia solo quando trovammo un cartello con su scritto “benvenuti a Gorizia, comune denuclearizzato gemellato con Bonn”.
E’ per questo che io ho la più vasta collezione di scontrini dopo quella di tanga di Rosi Bindi. Ho un intero scaffale della libreria dedicata ai libretti delle garanzie, li conservo tutti e la sera quando non prendo sonno mi lascio avvincere dai rocamboleschi cavilli assicurativo della Indesit o della Sony.
Fui anche contattato dai servizi segreti per il blec aut nazionale del settembre del 2002 ma li tranquillizzai spiegando che questo potere funziona solo se danneggia esclusivamente me. Per questo porto i capelli corti: vorrei evitare di morire fulminato con il fon con il rischio di essere ritrovato cadavere, seminudo e magari ancora con lo smalto fresco ai piedi.
Insomma fossi nato ai tempi di Edison, oggi andremmo ancora in giro con la candela.

lunedì 12 novembre 2007

SABATO SCORSO: SOPRAVVISSUTO.

da bambino rimasi molto colpito quando uno scienziato, Interpellato da un giornalista, disse che a seguito di un’eventuale guerra termo nucleare i soliti essere in grado di sopravvivere sarebbero stati gli scarafaggi e i topi. Evidentemente non conosceva la capacità di resistenza dei ghei e, anche se non tutti, beh, almeno io lo sono di sicuro.
Sabato sera infatti, nonostante l’influenza, nonostante l’erpes labiale che mi aveva reso il labro superiore come un er beg esploso, nonostante la fiacca del post MuccaAssassina (sì, lo so, mi ero ripromesso che sarei andato al cinema e a letto presto ma se c’è una cosa che non si deve mai fare è fidarsi dei miei intenti) sono riuscito ad andare alla serata Anisecsual @ Alien organizzata dal mio amico costumista quasi affermato e ho fatto benissimo.
Si vede che stavolta qualcuno ha pensato all’animazione e all’allestimento più dei soliti 45 secondi, investendo più dei consueti 5 euro, 3 tichet Restorant e 20 figurine dei calciatori della Panini.
Finalmente una realizzazione degna d’esser chiamata tale anche perchè, diciamocelo, non è che basta mettere 3 finocchie di 12 chili (in 3, ovviamente) truccate come un carro del carnevale di Viareggio che a stento stanno in piedi perché (professioniste) si sono bevute anche l’acetone dello smalto e barcollano fuoritempo su un palco allestito come la recita di fine anno di una scuola uzbeka e vestiti con la carta stagnola quando il tema è “Even on Ert”.
NY primi anno ‘80 era il tema? E NY primi anno ’80 era l’allestimento. Animazione e performaz in linea, coreografie fatte da coreografi e non da reietti delle selezioni di Amici di Maria.
Bella gente e, soprattutto, i cessi non erano intasati con quintali di carta igienica come in genere succede (non so swe anche questo facesse parte del tema nuiorchese ma l’ho apprezzato molto).

ADDIO INSYPOD.


Grazie a tutti per il sostegno. Chi ne ha uno sa bene quanto ci si possa affezionare ad un oggetto del genere che è sì icona del più sfacciato materialismo ma che poi assume un anima proprio per la sua caratteristica di sincretizzare un una tavoletta di plastica i nostri gusti, le nostre esperienze e i nostri ricordi, permettendoci di portali sempre con noi.
Le due cose che più mi rattristano è il fatto che li ci fosse la mia musica (certo niente di irreperibile visti che c'era roba come Britni ed Er Sprai e non l'ultima direzione di Toscanini alla Scala in edizione limitata), le mie foto (per fortuna non quelle sconce della mia prima comunione vestito con un saio da fraticello di due taglie di meno quando all'epoca avevo pure 10 kg di più) i miei video (anche qui non c’era confessione in esclusiva dell’assassino della ragazza americana di Perugia), ma è quel senso di intimità violata che mi disturba, il fatto che qualcuno che non vorresti mai possa frugare tra i tuoi gusti per poi cancellarli in un minuto buttando via una composizione che mi ha richiesto 2 anni e tutto questo per fare posto ai suoi dati o a quelli del compratore della refurtiva (anche lui verrà colpito, e con lui tutti i suoi parenti fino al 5° grado, dalla maledizione di Insy, quindi non morte immediata ma lenta agonia). La seconda cosa che mi addolora è che lo abbia rubato in casa sfruttando l’ospitalità dal mio coinquilino dopo la serata all’Alien ed è per questo che la sua fine avverrà dopo una lenta agonia invece che con una pietosa morte immediata perché il tradimento dell’ospitalità fa anche più schifo che sputtanarsi per un semplice ipod.

domenica 11 novembre 2007

LUTTO

Oggi sono in lutto. Ieri mi hanno rubato L'ipod e solo chi ne possiede uno sa quanto sia tragica la cosa. Al limite, se veniva a mancare mio zio soffrivo di meno.
Spero di riprendermi presto e spero che il ladro venga investito da una betoniera ma non deve morire sul colpo, nooo, deve sopravvivere per ricevere la notizia della madre sbranata da una muta di pechinesi mannari mentre lui si trova costretto in un polmone d'acciaio che lo terrà in vita fino a che un blec aut bloccherà la macchina lasciandogli implodere i polmono morendo così asfissiato. se poi tutto questo avverrà mentre sta ascoltando musica con il mio ipod, beh, allora e solo in quel caso, potrò superare il trauma della mancanza.

venerdì 9 novembre 2007

DOMANI SERA LA MIA MORTE IN DIRETTA AD "ANISECSIUAL".





















Partiamo dal presupposto che io gli anni 80’ li ho appena sfiorati e consideriamo pure il fatto che quelli che ho vissuto io non sono stati esattamente gli stessi vissuti da Bianca Giagger allo studio 54 di NY.
Mentre lei, Baschia’ e Uorrol erano lì a volteggiare al ritmo di Silvester facendosi l’impossibile io ero a Roma cantando Simbolum 77 in parrocchia e facendomi di pizzette farcite con le patatine Stic della Cric Croc (ricetta brevettata dal miomiglioramico, che pure lui ci dava giù di ganascia).
E’ pur vero che se avessi avuto 20anni nei primi ’80 nella grande mela, considerato quello che girava all’epoca tra droghe e malattie e vista la mia capacità di gestire le dipendenze, oggi per parlare con me dovreste chiamare un medium.
Quindi domani sera, nonostante l’influenza incipiente, a costo di impastare acqua, farina e Zerinol per farne delle pagnottelle da portarmi appresso mi fiondo a “AneisecIsual” @ Alien, la serata che s’ispira ai club 80’ di Niu Iorc e questo non perché la organizza un mio amico carissimo, ormai da anni costumista quasi affermato che transita da una decina d’anni tra i 20 e i 30 anni ringiovanendo ogni volta misteriosamente dopo 2 settimane di irreperibilità che coincidono in genere con la scomparsa di bambini dai reparti maternità della Romania.
No! Ci andrò per scroccare drinc gratis a seguito di questo marchettone. Chi verrà sarà ricompensato con lo spettacolo di Ben Ti Vena (uno dei nomi d’arte del mio amico che ne ha ormai talmente tanti che la madre è così confusa che quando lo si rivolge a lui dice: “Scusa, Coso…”). Da non perdere il suo numero sui pattini a stivaletto con ruote in parallelo e scaldamuscoli a strisce colorate scippati dai polpacci della statua di cera di Eter Parisi del Madam Tussò di Tarquinia e al mio numero della vecchia che schiatta a centro pista sopraffatta da una trombosi causa coctel fatale di Negroni e antinfluenzali.

giovedì 8 novembre 2007

SIMO, LA ZUCCA PARLANTE. Ennesima puntata dell'Isola.



La settimana scorsa abbiamo lasciato la nostra Simona catturata a fine puntata da alcuni venditori di zucche americane che, viste le sue forme e il colore del suo vestito, l’hanno portata a Grin River in Oregon per essere venduta come la più grande zucca del mondo, in vista della notte di Allouin. Acquistata per 4000 dollari da una famiglia di coltivatori di mucche e, messa tutta la sera con una candela in testa a distribuire dolcetti a dei monelli del mid uest, è stata liberata solo 2 giorni fa dai suoi fedeli autori per essere riportata in patria in tempo per condurre la puntata di stasera (solo dopo aver pagato altri 4000 dollari di franchigia alla dogana).
Simo stasera ci stupisce con un incredibile vestito rosso rovinato però da una patacca di guacamole, testimonianza di uno spuntino tex mex fatto poco prima della diretta e, per rimediare, prima che Valentino la citi per danni d’immagine, ha la splendida idea di coprirlo con un fiocco rosso grosso come la testa di un toro il che le conferisce un’aria deliziosamente Natalizia.
La Maglie si vede che ha perso qualche etto visto che ha chiesto alla produzione di convertire il suo cascè in lassativi. E gli effetti si vedono!
Al suo fianco c’è sempre Simona Ventura che non si capisce per quale motivo si fa chiamare Silvana Giacobini.
Ma passiamo alla cronaca: la scorsa settimana in Ondulas sono cadute giusto due gocce d’acqua per cui l’isola sembra Niu Orlins dopo l’inondazione con il solo svantaggio che ACP è riuscito a partire per l’Italia prima che potesse essere risucchiato dai flutti.
Stranamente Simo, la zucca parlante, al ventesimo minuto di trasmissione ancora non ha fatto grossi inciampi con la lingua. Pare si tratti di miracolo collaterale della Madonnina di Civitavecchia dove la Ventura si è recata martedì scorso per un voto con la speranza di non far chiudere il programma prima del tempo, promettendo in cambio di non mettere piede nel ristorante di Dolce&Gabbana per almeno 2 mesi.
In studio c’è stasera lo zio di Vittorio che subito viene messo in mezzo per dirimere due quesiti fondamentali per tutto il paese: se il decreto legge sulla sicurezza verrà approvato e se sto benedetto Vittorio c’ha o no le chiappe chiacchierate. Dubbio che ormai non ho neppure più la madre del finanziere.
Finalmente Vittorio rompe gli indugi visto che fino a quel momento la sottile ironia “der mondezza” ancora non era stata evocata e dice: “sono due mesi che le lancette stanno alle sei e mezza”. Questa espressione però non mi suona del tutto nuova e recupero l’antolgia del liceo scoprendo che non è altro che una citazione di una poesia del Petrarca dedicata alla sua Laura. Insomma, Vittorio, bono ma zero originalità.
La Ventura ormai ha appreso l’arte d’arrangiarsi con poco tipico delle massaie che riescono a fare cena una per 6 con una scatola di fagioli, due fette di pane sciapo e mezzo chilo di fragole, e, arrabattandosi con i quattro ronzini che gli sono rimasti sull’isola, cerca di farci puntata provando a millantare flert tra chiunque: Vittorio e la russa (non il figlio del politico ma Victoria, la spacciatrice di gnocca), Miriana e Canonico, Bettarini e Costanzo, Stasi e la bicicletta, il barracuda e la noce di cocco.
Ancora una volta sembra di assistere a una puntata di medicina 33 dedicata alle disfunzioni erettili e al calo di desiderio post menopausa. Pare che nessuno (soprattutto Vittorio) si sogni di fare nulla con nessun’altro (soprattutto con Victoria) neppure con 2 cucchiai di Viagra sciolto di nascosto nel latte di cocco.
A quanto pare Victoria la russa è a un passo dalla morte perché si sta perdendo per strada le protesi alle tette ma al pensiero di tornare a ballare la balalaica in Siberia dissimula dicendo che si tratta solo di un occhio di pernice all’alluce. La Ventura è troppo inverosimile quando cerca di fare la buona, è come vedere Menghele dare lo sciroppo per la tosse al rabbino Toaf, e la invita a tornare a Milano per curarsi promettendole un ritocchino dal suo chirurgo di fiducia. Ma visto come ha ridotto la Ventura, Victoria si spaventa e annuncia che preferisce tornare in Russia a vendere le magliette di Corona’s sulle bancarella della piazza Rossa.
Finalmente, grazie alla petizione firmata dall’Arcighei, Emergensi e il wwf e sotto l’alto patrocinio dell’ONU, la produzione ha deciso di rimandare sull’isola Malgioglio sperando che stavolta venga davvero eletto regina di una di quelle fantastiche tribù indigene che sacrificano agli dei i loro regnanti e da allora sarà festa nazionale.
Scusate, scusate…fatemi capire bene? E’ arrivata una lettera del fidanzato a Manuela Villa? Alla versione robusta di Bad Spenser? Cioè lei è fidanzata e io no?! Dio!!!!!!! Dove sei!?!?!?!
Sono queste le cose che non capirò mai della vita ma, passiamo oltre. Dopo aver attaccato Caren per due mesi accusandola pure della morte di Ledi Daiana accecata dalla luce di un suo sorriso rimbalzato da Salerno fino al tunnel dell’Alma, con la faccia di bronzo Simona si rivolge al pubblico chiedendo di accogliere con calore e affetto Barbi Campania: una donna davvero eccezionale. Dopo questa dichiarazione però fa uno strano cenno con la mano che sulle prime non capisco poi, dagli spalti, partono in successione una frecciata che colpisce Caren in petto (acconciata come Emi Stiuart nel video “Cnoc on vud”), seguita poi da un colpo di fucile che la trapassa da parte a parte e per finire Simo tira fuori uno zippo dalla scollatura e le da fuoco al vestito gridando “muori strega maledetta! Vade retro Satan!!”.
A questo punto la parola passa alla Giacobini che vuole ricordare a Caren, ormai ridotta a tizzo di carbone, che questa settimana su Diva e Donna, il settimanale che si batte il primato di tirature con “La voce dell’oratorio” del Gesù Adolescente di Subiaco, esce una splendida borsa per la spesa con rotelle in 4 colori moda con le ricette tradizionali dell’isola a base di cocco e battute insipidi di dj Francesco. Non finisce di fare promozione al giornale che la Maglie non regge più e, ormai in overdose da lassativo, con una scoreggia, scioglie la direttrice in una nuvola di zolfo.
Ok, ci è appena arrivato il risultato del sondaggio fatto da Top Gerl, la rivista delle ragazze in, che chiedeva:
preferite che l’organizzazione Simon Visental riesca a catturare tutti gli ultimi aguzzini delle SS o volete che Malgioglio vada a raccogliere pomodori a Villa Literno e sparisca misteriosamente tra le piantagioni? Il risultato è sorprendente: vince la seconda ipotesi con il 99% dei voti mentre l’l% chiede il carcere immediato per chi non è d’accordo.
Momento della prova ricompensa ma, soprattutto, momento che mi vado a mettere la crema autoabbronzante perché tra lo scarico dei carboidrati e i capelli rasati assomiglio allo spirito di me stesso e ho paura che domani i miei colleghi, vedendomi, mi chiedono i numeri da giocare al Lotto.
Torno e ritrovo ancora Malgioglio che polemizza con Cattaneo. Ho deciso: da domani inizio le sedute di ipnosi per guarire dalla frocite e diventare finalmente etero, certo mi toccherà fare sesso con le donne ma almeno smetterò di avere anche solo una cosa in comune con queste due checche da operetta.
La cosa che stupisce è come Mirian Travisan che ha l’incisività di un deumidificatore della De Longhi ancora stia lì però è anche pur vero che continua ad aggirarsi per l’isola in compagnia di un mucchietto d’ossa ormai buono solo per fare un fondo di cottura per il bollito della Vigilia (ndr: il figlio di un ormai devastato dalla vergogna Gian Pol Belmondò) che sembra un passeggero del treno bianco per Lurd ma che però è ancora incredibilmente in gioco.
Finiamo con classe grazie a l’intervista a Lisa Fusco che in realtà è Camilla, la bambola con il passaporto, famosissima negli anno ‘80 e poi finita a far vedere le tette via satellite a tutta Italia (se penso quanto cazzo abbiamo speso per spedire in orbita un satellite geostazionario per poi utilizzarlo in questo modo mi viene voglia di andarmi a legare con le catene davanti all’ENEA). Oltre a tutto questo, per evitare gli stereotipi, si sono collegati con i genitori (Mario e Carmela: che fantasia) e altri 45.000 parenti, 2 pizze napoletane, Pulcinella che rotea una manciata di spaghetti con la pummarola e l’eruzione del Vesuvio alle loro spalle.
Mi sto per addormentare quando vengo svegliato dal botto finale. Arriva la telefonata del sedicente ex fidanzato di Caren che, da vero gentiluomo, ha rilasciato un’intervista sputtanando una presunta storia con Caren. Il tipo chiede spiegazione del perchè la Ventura, poco prima di dare alle fiamme la concorrente, gli abbia dato del “figlio di puttana” rivelando questa notizia a “Chi” e mettendo così in crisi una madre di famiglia.
A Simo non le pare vero e ribadisce l’elegante concetto!
Stasera puntata speciale sulla telefonata (arrivata purtroppo solo a mezzanotte) ad Annozero al posto dello speciale su Biagi (tanto quello è morto, può aspettare) nella quale si spiegherà come tutta la storia della tresca che Simo cercava di tirare fuori tra il mio Vittorio e la casertana, fino solo a una settimana fa, non creasse invece alcun contraccolpo sulla vita familiare di Caren.
Per una volta però sono completamente d’accordo con Simo, la zucca parlante: il sedicente ex, ha fatto davvero il figlio di puttana.

martedì 6 novembre 2007

SI SONO RICORDATI DI ME!

Sì, finalmente hanno scoperto che ci sono anch'io, ma le persone sbagliate. No, non sono stato fermato da Testino mentre passeggiavo per trastevere vestito da marinaretto chiedendomi se avessi mai pensato a fare il modello, nè m'è corsa appresso la Venturea implorandomi di andare a rimpiazzare Caren (ormai da quell'isola stanno andando via pure le palme e il barracuda) promettendomi Vittorio, Coco e una partita "tutti contro me" con la nazionale francese di regbi. Semplicemente a lavoro mi sono arrivati una serie di impicci quindi non ho avuto tempo di elargire i miei soliti brandelli di vita vissuta.
Adesso mi sbroglio e vengo.
INSY

lunedì 29 ottobre 2007

ORSI E VASETTI DI MIELE


Un mio ormai ex amico del blog, lui dice fuorviato dalla foto sulla mia pagina, mi dice qualche giorno fa: "sai pensavo fossi un bear" (ndr: tra poco capirete cosa significa). Il caro ex amico di blog deve ringraziare iddio che, facendo sto maledetto scarico di carborati, sono così debole che mi fa fatica pure salire le scalette del mio letto a soppalco sennò lo corcavo di botte, con tutta la fatica per stare a dieta mi dici una cosa del genere?! E se mettevo al posto della bocca un fiore? Mi scambiava per un colibrì? Comunque premettendo che gli Orsi (animali ed umani) li adoro, ecco una mia impressione su questa categoria non ancora universalmente famosa. Chiedo scusa in anticipo se qualcuno può sentirsi toccato da questo post ma lo tranquillizzo subito dicendo che tanto, questa è la fine mia.
L'orso è un grande mammifero dell'ordine Carnivora, famiglia Ursidae. Tutti gli orsi hanno in comune la pelliccia densa, un buon senso dell'odorato e dell'udito. Gli orsi hanno un grande corpo.
L’Orso ghei invece è sì anche lui un grande mammifero ma è soprattutto una delle categorie di nicchia che descrive corpulenti omaccioni, irsuti con una propensione per gli abiti da boscaioli, le salopette e i pasti a base di panini al colesterolo fritto. Però, paese che vai orso che trovi.
Infatti nelle culture anglosassoni gli orsi sono meglio identificabili come delle montagne muscolose dai baffono alla Stalin con braccia grosse come pali della luce, ben piazzati e dallo sguardo che sembra dirti “se metto le mani nel tuo vasetto del miele sta sicuro che non ti siedi per una settimana”. Il che potrebbe solleticare la fantasia erotica di molti di noi. Ma come si arriva a casa nostra il concetto di orso si allarga, soprattutto di taglia.
Qui pare che l’usitudine, più che una filosofia di vita, sia una scelta di ripiego per chi ha abusato rigatoni alla carbonara e merende fatte di anfore di Nutella tra due pagnotte di pane casereccio. Più che altro gli orsi italiani sembrano aver reinterpretato la dieta a Zona facendosi tutti i ristoranti delle città zona per zona appunto.
Arrivati quindi al quintale e visto che il mondo ghei, con le sue fisse per la forma perfetta, non rientra più nelle loro misure si sono visti costretti a cambiare nicchia, tentando oltretutto di dare una giustificazione culturale alla situazione. Il fatto è che semplicemente, dopo decenni di diete a base di cotone imbevuto con la vodka, dopo otto scalate del K2 e dodici dell’Imalaia a forza di salire e scendere dallo step e aver circumnavigato la terra strappando il record a Magellano correndo sul tapi rulan si sono arenati.
Ma il mondo degli orsi non è solo un mondo fatto di strutto usato al posto della vasellina e di morie di bilance suicide lanciatesi dalla finestra al solo sguardo dei loro padroni. C’è innanzitutto un forte spirito di gruppo e come per molte altre categorie ghei, vivono tra loro, e sempre tra di loro spesso si accoppiano, mangiano (tanto) e vanno (quindi) in letargo.
Persino in spiaggia li vedi fare comunella passando il tempo tra stampini per creme caramelle usati come formine per la sabbia e gavettoni di crema pasticciera. Sì, infatti la loro caratteristica principale è un’estrema quanto contagiosa giovialità fedele al motto “panza piena, cuore allegro”.
E se le “palestrate” tirare fuori i loro tristissimi contenitori della tapperuei colmi di riso conditi con aria di mare gli orsi danno il loro meglio. Mi ricordano tanto le gite fuori porta della mia famiglia dove le mamme, le nonne e le zie a ora di pranzo aprivano il tavolino pieghevole in alluminio con sopra stampata la scacchiera per la dama e per il filetto, lo apparecchiavano e poi lo ricoprivano di teglie di lasagne, spaghetti alla chitarra, insalate di pollo, patate al forno e crostate alla crema che avevano richiesto tre giorni di preparazione e le truppe cammellate di Lorenz d’Arabia per trasportarle. Allo stesso modo, verso le13 scatta, anche per gli orsi scatta l’operazione “calorie sotto il sole”.
Dopo un pranzo dove la cosa più leggera contiene il fabbisogno energetico per un villaggio di 35 persone nell’Africa sub saariana e con un caldo, pure quello subsaariano è possibile possa esserci la remota possibilità di venir colti da un leggero torpore che può sfociare in casi di svenimento iperglicemico. Ma siccome l’orso è un animale la cui intelligenza è pari solo alla sua stazza, si buttano all’ombra non di un semplice ombrellono (viste le dimensioni cosa pretenderebbe mai di riparare, una caviglia?) ma di vere e proprie tendopoli realizzate con 4 ceppi di legno raccattati sulla spiaggia e una cordata di gran fular Bassetti sotto le quali si adagiano mollemente per schiacciare, anzi stritolare, un sonnellino.
E’ quando li vedi lì sdraiati, seminudi, uno accanto all’altro che ti aspetti spunti da un momento all’altro Alberto Angela per uno speciale di Super Quark dedicato agli spiaggiamenti dei leoni marini durante il periodo dell’accoppiamento.
Negli ultimi anni si stanno organizzando sempre più incontri e serate in discoteca, tra l’altro molto divertenti, dedicate esclusivamente agli orsi. Elemento caratteristico d queste serate: la pista da ballo semideserta. Provate voi a ballare il remix di Junior Vasquez con una cena da banchetto di nozze, sposi compresi, sullo stomaco?
Al limite ci si mette a bordo pista ciondolandosi con la musica in sottofondo con un bicchiere di milc scheic alla vaniglia in una mano e una pentola di polenta e spuntature di maiale nell’atra.
Una volta ricordo d’essere stato ad una serata ursina. Bel locale, ottima musica e pista ovviamente vuota.
Saliamo al piano superiore per vedere se la festa non fosse una fregatura. No. Al contrario era piena di orsi buttati sui divani in fase di digestione.
La scena che ci colpì di più non era tanto il fatto che la serata prevedesse anche la cena i cui resti sul tavolo ormai sembravano il plastico della città di Niu Orlean dopo il passaggio dell’uragano Katrina, ma il fatto che vedessimo questi omaccioni nerboruti nelle loro camice di flanella a scacchi fare il caraoke con le canzoni della Pausini. Insomma uno si aspetta degli spaccalegna canadesi capaci di abbattere una sequoia con un sol colpo d’ascia e si ritrova invece gli orsetti del cuore con gli occhi umidi cercare di andare in sincrono con i sottotitoli dei Strani Amori.