giovedì 25 febbraio 2010

E VENNE L'ISOLA















Finalmente qualcuno ha accesso la luce nel guardaroba della Ventura che ieri sera era vestita molto bene e non come al solito acchittata come la nonna di Ledi Gaga.

La cosa che fa piacere di questa settima edizione dell’isola è che è tutto esattamente come gli scorsi anni: Simona che incespica nelle parole creando mirabolanti forme sintattiche e neologismi che faranno impazzire i grammatici della Treccani, come sempre non si ricorda una ceppa della scaletta e ogni tanto deve leggere sulla cartellina persino il suo nome. Gli stacchetti partono al momenti sbagliato e come sempre, i naufraghi non sentono un cazzo delle indicazioni date da studio per cui è tutto un “puoi ripetere?”.


Visto che la Rai ha ormai decimato gli opinionisti migliori, chi perché sniffa cocaina, chi perché cucina gatti, la Ventura s’è dovuta arrangiare riesumando Aragozzini, che è stato patron di qualche Sanremo degli anni ’80. Diciamo che uno non si aspetta che un opinionista sia necessariamente anche un Adone ma Aragozzini è uno stupro per gli occhi.
L’altra è: Antonia Dell’Atte. Siccome non parliamo della regina d’Inghilterra, vi dico che si tratta di una che è matta in culo. Modella anni ‘80 ha sposato un pari di Spagna e vive lì. Regina dei tolc iberici qualche anno fa fece scalpore per una storia di violenze domestiche ma aspettate qualche puntata e capirete che si è trattato piuttosto di legittima difesa.
La sua prima impressione sui concorrenti è che: “il gruppo è mui bien amalgamato”. Perché come tutti gli italiani che passano più di 5 giorni all’estero poi iniziano a non ricordarsi le parole italiane e parlano un esperanto cacio e pepe.


L’inviato di quest’anno è Rossano Rubicondi. Per dare più intrigo al programma quest’anno è stato introdotto un sondaggio con televoto: Chi si farà quest’anno Rubicondi: la Galanti , la Milo o Busi?


La prima prova consiste nell’arduo tentativo di scendere da una specie di peschereccio e remare una barchetta preservando Sandra Milo che è a bordo. Se dovesse mai cadere in acqua rischierebbe infatti di essere recuperata da una trup di archeologi sottomarini che stanno scavando nei fondali della zona e finirebbero per metterla nella teca di un museo scambiandola per un triceratopo fossile.
All’approdo sulla spiaggia il primo a parlare è Aldo Busi. Mente eccelsa, grande scrittore e traduttore di chiara fama, lancia un suo motto di evidente ascendenza dantesca: “se sei incerta tienila aperta”. Ma non è niente di così originale. È il motto della mia famiglia da secoli e lo abbiamo inciso sotto il nostro stemma che ritrae 4 palle e il traforo del Gran Sambernardo.


Anche le prove successive sono avvincenti come un aggiornamento di scai meteo 24 dedicata alle regioni settentrionali della Siberia.
Salvo l’ultima in cui fanno precipitare i concorrenti dell’elicottero in mare. Quei mattacchioni dei responsabili però li fanno lanciare in un punto in cui l’acqua è profonda come una pozzanghera. La scena successiva è roba da torri gemelle: piedi distorti e lussazioni al coccige. Per questo la seconda puntata andrà in onda dal reparto di traumatologia ortopedica della capitale di quello stato laggiù nel sudamerica di cui confondo il nome.


Torniamo ai concorrenti.
Stiamo parlando di un programma che ha ridefinito il concetto di tresc e nessuno si aspetta Paspartù di Filip Daverio. Di conseguenza la Lecciso trova qui la sua giusta collocazione. Al primo sguardo si capisce che deve essere stata vittima di un orrendo 2 x 4. Un sadico operatore della chirurgia estetica le deve aver venduto una coppia di protesi al seno regalandogliene altre 2 che lei ha pensato bene di impiantarsi al posto degli zigomi conferendole il turgore in volto di una che è stata appena placcata dalla nazionale degli Ol Blecs durante il 6 nazioni.


Ma la vera ravanata gli autori l’hanno data scegliendo nel mucchio dei non famosi. A raffica abbiamo: Dario, uno ragazzino napoletano di cui abbiamo visto il provino fattogli in costume da bagno. E’ bono, per cui anche se avesse bestemmiato tutto il presepe in diretta l’avrebbero preso lo stesso.
Silvia: ha i capelli sfibrati da decolorazioni fatte in casa. Ed è una donna.
Poi c’è una barese, sempre donna, sempre quindi mi sfugge il nome.
È un incidente di seni rifatti, labbra gonfiate male e trucco permanente.
Per alleggerire il personaggio, ha pure un tatuaggio con delle frecce che indicano verso la fica. Poi la Rai ti rompe il cazzo e caccia Bigazzi che parla di carne di gatto.

E poi il dio!! Davide, il personal treiner della Laurentina! Non è descrivibile a parole quindi cercatelo su iutube e digitate: in forma con Davide. Il suo monito: “se non t’alleni e non c’hai la genetica, rimani un sacco de merda!”, accompagna da mesi i miei allenamenti.
La ventura lo sfotte per la cadenza romanesca. Capito lei che crede che la grammatica sia un tessuto inventato da Dolce e Gabbana nella scorsa collezione.
Il resto del programma non brilla per particolari colpi di scena se si considera che il picco del brivido l’abbiamo raggiunta quando la Ventura cade culo a terra a causa del pavimento lasciato bagnato dalla donna delle pulizie che verrà usata per attizzare la brace su cui bruciare le foto dei nominati nella prossima puntata.
Chiudo la cronaca con: “l’importante non è cadere ma sapersi rialzare”. L’acume è l’originalità della considerazione ne attribuirebbe la paternità a Machiavelli e invece no, è farina del sacco della Ventura: metr a pensèr.

mercoledì 17 febbraio 2010

SANREMO. PRIMA E ULTIMA SERATA.
















Premessa: per non cambiare canale già dal 30° secondo mi sono dovuto amputare i pollici quindi a causa del Festival di Sanremo da oggi non potrò più svolgere fondamentali azioni come schioccare le dita, chiamare l’ascensore o scaccolarmi il naso. Anche digitare sulla tastiera mi è risultato molto più complicato quindi questo post va apprezzato non tanto per il contenuto quanto per lo sforzo profuso per scriverlo.

La 60° edizione apre con la coppia Bonolis-Laurenti, 20 minuti di battute che in confronto il mio ex direttore d’agenzia quando mi ha chiamato per notificarmi il licenziamento è stato più spiritoso.
Non so poi se per fortuna o purtroppo entra finalmente la Clerici. Dato che Antonella deve fare la simpatica e non la secsi, l’hanno avvolta in 22 metri di ciniglia rossa, con nastri argentati e applicazioni avanzate dall’albero natalizio di piazza San Pietro. In pratica è una versione soprappeso di babbo natale che porta il sacco dei doni sulla pancia invece che sulle spalle.

La prima artista a scendere sul palco del festiva della città dei fiori è Irene Grandi con “la cometa di Allei”. Io non vorrei dire ma trattasi del funesto corpo celeste la cui apparizione ogni tot centinaia di anni ha causato sventure come l’estinzione dei Maya e la nascita di Malgioglio.
Irene ha un trucco che sembra gliel’abbiano lanciato in faccia con dei gavettoni di ombretto. Annalisa Minetti sarebbe riuscita a metterselo con più precisione.

AVVISO: io non faccio commenti sulla qualità delle canzoni perché al primo ascolto mi fa scifo tutto. L’anno scorso la canzone di Dolcenera mi aveva fatto cagare salvo poi passare i 4 mesi successivi ad ascoltare solo quella.

AVVISO II: alle 23, dovessero anche stare per dare la ricetta del gatò di gatto di Bigazzi, io stacco che domani ho un lavoro da mantenere e non posso perdere il sonno per sentir cantare ‘sti 4 disgraziati.

Altro artista: Valeri* Scanu. Dirige Beppe Vessicchio. Chicco Sfondrini alle luci e la Celentano passa per gli spalti a vendere bibite fresche e coca cola.
Valeri* ha 18 anni praticamente da 3 anni. Deve trattarsi però di un caso di nanismo armonico perchè in effetti sembra giovane ma canta ed è vestito in un modo che, in confronto, Camillo Benso di Cavour sembrava un PR del Pascià di Ibiza.
(* la desinenza sceglietela voi, io non mi sento di azzardare sul suo sesso mettendo una “o”).


Ogni tanto la regia stacca l’inquadratura sui quei poveri deportati dei membri della giuria. Un centinaio di sventurati costretti per 5 giorni a sentire e votare i cantanti. E’ una scena talmente penosa che molte associazioni di raccolta fondi per Haiti hanno deciso di ridistribuire le donazioni devolvendone la maggior parte proprio a loro.

E’ il momento di Toto Cutugno. Il lifting gli ha regalato 30 anni di meno e la rara fortuna di assomigliare a Sofia Loren In Nain.
Ho detto che non mi sarei sbilanciato in giudizi ma questa canzone è scritta con il culo e cantato con il medesimo.

Passiamo ad Arisa che è meglio.
A me lei piace, ha dimostrato di non essere un blef e poi è la testimonianza vivente che la bellezza non conta un cazzo.
Si presenta con le sorelle Marinetti che io ADORO. Si, ho fatto un apprezzamento positivo ma tutta questa bontà prima o poi la sconterò con qualcosa di tragico come ritrovarmi a letto con un elettore del PDL.

Poi entra un certo Cassano e mi sa che è un calciatore. Siccome però non ha mai posato per l’intimo di Armani, Calvin Clain o anche la Ragno, non lo conosco.
Presenta Nano D’Angelo che è addirittura più basso di Cassano. Se gli va male qui a Sanremo, sicuro che vince lo Sciò dei Record con la D’Urso al posto di Unda Pacru.

Nooo, questo è un colpo baso! Marco Mengoni, la mia nemesi, il mio sosia, la mia versione in overdose da progesteroni, a Sanremo!?!? Mica lo sapevo.
E’ ovvio che io sia molto più bello di lui sebbene debba riconoscergli un certo talento ma ognuno ha il suo. Sono certo che lui non sa portare con la mia stessa disinvoltura i gins senza mutande.

Arriva poi il fenomeno da baraccone, anzi arriva il baraccone per intero: Susan Boil (ma diciamo pure: boiler). Una donna che ha scoperto solo a 40 anni il successo, la ceretta e, cosa ben più funesta, Sanremo.

Le lancette puntano ormai verso le 23 ed è ora che vada a riposare le mie stanche membra.
Il solo rammarico è che mi perderò Morgan e le sue teorie sulla cocaina che raccomanda non solo come antidepressivo, ma propone anche come acceleratore del metabolismo e additivo portentoso per eliminare le macchie più ostinate del bucato. Quindi, alla luce di ciò, siamo increduli sul perché la mutua non si decida finalmente a passarla gratuitamente a tutti cittadini italiani.

lunedì 15 febbraio 2010

AMABILI RESTI
















Sedute dietro di me al cinema ci sono due nemicheamiche. Una razza di attempate borghesi che nonostante si detestino, continuano a frequentarsi perché costrette dall’assenza perenne dei mariti sempre troppo disinteressati ad ogni loro proposta di svago.
Sono venute a vedere AMABILI RESTI, un film "delizioso e commovente" che gli deve aver suggerito un'altra finta bionda calando i punti sul tavolo in un torneo di canasta.
“In un negozio ho visto un gioiello di quelli che piacerebbero a te. Di un bel verde...strano".
"Che tipo verde?", le fa l'amica, non troppo interessata. E suggerisce: "smeraldo?"
"Mmhh...no". Ribatte l'altra.
"Verde prato?", insiste l'una infilandosi in bocca una caramellino alla menta.
"eppure". Si sente che il suo cervello brancola in uno spettro di appena 3 colori ed è incapace di coglierne la minima variazione.
"Vedere brillante?", prova strenuamente la tipa.
"No. Verde...strano".
"Ah, ho capito". Taglia corto la sventurata.
Poi, purtroppo, si abbassano le luci e tacciono.

mercoledì 10 febbraio 2010

Paranormal Activiti. In sintesi.















Prima di vedere un film chiedo quasi sempre un'impressione agli amici che l'hanno già visto. In procinto d'andare stasera a vedere Paranormal Activiti, chiedo a Dariush un'opinione. In realtà non è un ragazzo particolarmente ferrato nella materia (è uno che sul tram passa tutta la corsa riprendendo dai vetri posteriori il tragitto con la videocamera del suo cellulare) ma è piuttosto capace nell'individuare sinteticamente l'essenza della trama.
Condivido quindi con voi la critica che mi ha mandato oggi per meil.

"Mah sai, secondo me è il genere di film che visti al cinema perdono, perchè c’è il ragazzetto che ride, quello che dice a gran voce "è una cazzata", la tipa che rimprovera il fidanzato di averla portata a vedere sto cesso di film etc.

Secondo me rende meglio se ti metti a casa, al buio, di notte da solo. A quel punto, accendi pure la luce.


È molto simile a blair witch project. Quindi riprese un po’ casalinghe, alla lars von trier e una storia abbastanza semplice. Diciamo che quando non dormono non c’è un cazzo da vedere, quando invece sono in camera e cominciano i fenomeni ti cachi addosso".

lunedì 8 febbraio 2010

E CHE UNA VOLTA QUI ERA TUTTA CAMPAGNA, NON LO VOGLIAMO DIRE? Parte I
















“A Londra puoi vestirti come ti pare che nessuno ti dice niente”.
Diciamo pure che anche se ti prende un coccolone in mezzo alla strada non ti dice niente nessuno, anzi ti scavalcano e procedono a tutta velocità per i cazzi loro.
Alcuni la chiamano tolleranza, a me sembra beato menefreghismo.

“Conosco un ristorante cinese buonissimo”. Per me vale come dire che il Mc Donald di piazza di Spagna è più leggero di quello di via Tuscolana. I cinesi si riforniscono tutti dagli stessi grossisti, cucinano tutti nello stesso olio esausto da camion e quando esci dai loro ristoranti, invariabilmente, l’unico modo per togliere la puzza dai vestiti è cospargerli di diavolina e dargli fuoco.

“Un capo di marca costa di più ma lo usi per tutta una vita”.
Dopo aver visto la puntata di Reporter in cui facevano vedere che le borse di Dolce&Gabbana le assemblano sul greto dello Ian Tze al costo di una ciotola di riso facendo lavorare i cinesi come i negri del piantagioni di cotone di miss Rossella mi verrebbe piuttosto voglia di andare un giro coperto solo di una foglia di fico. E fossero solo loro. Le magliette di Armani le metti una volta dopo di che le puoi usare tutt’al più come pezze di stoffa per fare le pigotte da vendere in beneficenza per le raccolte fondi dell’unicef a favore dell’infanzia maltrattata nel terzo mondo.


“I prodotti biologici sono più buoni”. Sarà, ma piuttosto che dividere la mia mela con qualche famiglia di vermi preferisco una bella passata di pesticidi.
Detesto la divinizzazione del termine “biologico”. In più è solo una scusa inventata da avidi contadini per maggiorare i prezzi e abbindolare candide anime d'ispirazione fauerbechiana.


“Il film in lingua originale è tutta un’altra cosa”.
In assoluto la considerazione che più detesto. La trovo di uno snobbismo vagamente provinciale. Ma ammetto che è un mio limite dato che o seguo il film o leggo i sottotitoli e non essendo stato dotato naturalmente di quella capacità che ha persino Victoria Adams di poter camminare e masticare una gomma allo stesso tempo, io o faccio una cosa o ne faccio un’altra. Oltretutto, diciamocelo, molti attori sono cani soprattutto in lingua originale e per molti di loro il doppiaggio non può che essere una benedizione.

giovedì 4 febbraio 2010

MORGAN NON E' ENDRIX




Ci rendiamo tutti conto che due edizioni al fianco della Ventura e un matrimonio alle spalle con Asia Argento, per molti potrebbero già essere condizioni sufficienti per decidere di prendere casa al mare con Pit Doerti e Emi Uainaus facendo la spesa dal primo puscer che ti capita a tiro lungo il molo, ma non credo che la stupidità della dichiarazione di Morgan sia da imputare a nessuna di queste cause. Il giudice di XF qualche giorno fa dichiara a Max di far uso di droga. E non la cannetta come tutti, compreso Prezzemolo di Gardaland, ormai ammettono di farsi, ma il crac. Ci tiene però a precisare che ne fa uso esclusivamente per rilassarsi e non per sballarsi come farebbe ogni buon drogato che si rispetti (come se questo motivo sminuisse la gravità della questione).
Io non entro nel merito dell’uso delle droghe ma mi stupisco invece della mancanza di pudore nell’ammetterlo pubblicamente e non con il fine di condividere con il pubblico una situazione di disagio (ammesso che al pubblico freghi una ceppa del tormento interiore di un cantante come Morgan che, diciamocelo, non è certo Endrics o Morrison) ma lanciandosi quasi in un’apologia dell’uso del crac.
Temo infatti che Morgan, esaltato e travolto da una fama in parte meritata arrivatagli addosso grazie a X Factor, si sia fatto prendere la mano da questo suo ruolo "sgarbiano" di bastian contrario, di animo eletto, di artista maledetto da illustrazione di fine ottocento, al quale, in virtù del suo genio, ha creduto che tutto fosse concesso.
In questo suo delirio però non si è reso conto che ci sono argomenti che, giustamente, non vanno condivisi né difesi. Che voglia far uso di droga, è liberissimo di farlo (cosa che molti di noi hanno fatto e fanno) ma far passare il crac per una versione 2.0 della Valeriana Dispert, è altra cosa.
Chi è un personaggio pubblico deve pensare all’influenza che le proprie dichiarazioni hanno su un pubblico di ammiratori, alcuni dei quali deboli e proprio per questo estremamente influenzabili.
Non ho mai condiviso le eliminazioni dei concorrenti dei realiti che per una bestemmia detta a denti stretti dopo aver preso con la testa lo spigolo di un armadio vengono squalificati, avvolti in un sacco piombato e buttati nella fossa delle marianne, ma condivido l’eliminazione di Morgan da San Remo e non ci trovo nulla di ipocrita nella cosa. La sola cosa che invece trovo ipocrita è il fatto che Morgan è più meschino dell’immagine da artista tormentato che vorrebbe dare dato che stasera si affretterà ad andare da Vespa per spiegare, ritrattare e spergiurare la sua dichiarazione pur di esser riammesso al festival dei fiori e riabilitato agli occhi del suo pubblico maledetto, ma non troppo.

lunedì 1 febbraio 2010

ERRORI ELEMENTARI




Il mio inglese è ottimo. Lo parlo benissimo e sono convinto che l’espressione contrariata che a volte assumono i miei interlocutori madrelingua riguarda semmai il contenuto dei miei discorsi e non il modo.
Certo quando guardo Littel Brittain, il senso di alcune delle loro battute può sfuggirmi ma lo stesso mi capita quando cerco di cogliere l’ironia degli schec del Bagaglino.
Per questo, in generale, posso affermare che la mia conoscenza della lingua della perfida Albione ha ben pochi segreti per me e posso dirmi orgoglioso di poter intavolare una conversazione che vada oltre le considerazioni sul tempo e la richiesta d’indicazione su la fermata più vicina del bus.
Il mio rapporto con l’inglese è cominciato in terza elementare. Era un corso facoltativo della mia scuola e i miei pensarono bene di iscrivermici dato che il nuoto e lo judo mi lasciavano ancora troppe ore libere da dedicare all’oziosa attività del riposo. Le classi erano composte da bambini provenienti da diverse sezioni. Della mia eravamo solo in due: io e la mia compagna Barbara con la quale, in 5 anni di elementari, avrò scambiato sette parole, otto delle quali erano insulti. Una ragazzina talmente odiosa che credo i genitori l’avessero iscritta al corso di inglese non per favorirla negli studi quanto per togliersela dalle palle almeno un paio di ore in più a settimana.
Mancavano pochi giorni ormai all’inizio delle lezioni quando mia madre tornò a casa con i testi del corso che la scuola le aveva già consegnato. Mamma non conosceva l’inglese ma aveva studiato francese quel tanto che bastava per sapere che per noi italiani molte lingue (e soprattutto l’inglese) si scrivono in un modo ma si pronunciano in un altro. Fu proprio questa quindi la raccomandazione che mi diede quel pomeriggio: “se vuoi, sfoglia i libri ma non imparare nulla perché sicuramente la pronuncia non è quella che credi”.
Esiste un bambino che di fronte ad una raccomandazione, fosse anche “non passare il braccio sotto quella sega a motore con la quale il falegname sta sezionando quei tronchi di quercia”, non faccia poi esattamente il contrario? Non lo so ma io, certamente, ero uno di quelli.
Per una settimana quindi iniziai non solo a leggere ma anche a imparare a memoria tutto quello che potevo perché l’idea di essere considerato già dalla prima lezione una specie di genio che ne sapesse più degli altri era una prospettiva eccitante e inebriante allo stesso tempo.
Ad appena due giorni quindi dall’inizio del corso sapevo che il gatto si chiamava “cat” che il tavolo era “table” e che per un’oscura attrazione tra i due il primo era sempre sopra o sotto L’altro, un po’ come la nostra capra con la panca.
Arriva il giorno della prima lezione. Nella stessa aula vengono fatti sedere gli allievi del primo anno e quelli del livello avanzato. anche I genitori sono invitati a prendere posto per fare la conoscenza dell’insegnante e per ascoltare l’augurio del preside della scuola che con il suo discorso avrebbe dato più enfasi e ufficialità a quello che era un corso all’avanguardia per una scuola elementare dell’epoca.
Io mi siedo accanto a Barbara perché, per il fatto di condividere la stessa sezione, eravamo stati costretti nello stesso banco.
Davanti a me, disposti con un gusto per l’ordine e la simmetria del tutto innaturali per un bambino di 8 anni, i due libri di testo, l’astuccio e il quaderno.
Come per tutti i ricordi del passato, ci sono episodi, momenti, frasi, che per qualche inspiegabile perversione della mente ci restano impressi per tutta la vita come, per me, ricordare che Patti Scialfa è stata corista e moglie di Springstin, e invece non riuscire a memorizzare cose ben più importanti come il proprio gruppo sanguigno. Di quel pomeriggio infatti non ricordo altro che il momento in cui l’insegnante d’inglese chiese, non senza prima aver avvertito che la domanda era per ovvi motivi rivolta solo agli allievi del corso avanzato, come si dicesse “bianco”.
Ecco era proprio quello il momento che aspettavo, la possibilità di mettermi subito in luce. L’occasione di dimostrare come io, ancor prima di iniziare il corso, già fossi pronto per quello avanzato. Sarebbe bastato dare la risposta, che ovviamente già sapevo, per veder brillare negli occhi della maestra uno sguardo d’ammirazione e in quelle di quei piccolo ignoranti invidia e risentimento.
Mentre gli angoli della mia bocca si sollevavano andando a formare un sorriso che si allargava dal compiacimento alla saccenza, anche la mia mano sorgeva dalle paludi dell’ignoranza tendendosi dritta e fiera come in fusto di una canna di bambù.
“Ma tu non sei del primo corso?”, mi chiese perplessa l’insegnante.
“Sì, ma lo so!”, risposi con un tono stridulo mentre con la coda dell’occhio vedevo lo sguardo preoccupato di mia madre che si portava le mani alla tempia come volendo porre un paravento tra lei e i genitori che le sedevano accanto.
“Wite!!!”.
Benché ancora molto piccolo, mi era già ben chiaro che lo sghignazzo non rientrava certo tra le espressioni di ammirazione comunemente codificate dalla nostra cultura e alcuni bambini del secondo corso si lasciarono andare persino a una risata davvero poco elegante.
“Mi ero raccomandata che vostri genitori vi dicessero che non dovevate leggere i libri di testo prima di iniziare le lezioni proprio per questo: le parole non si pronunciano come si leggono”. Il monito della maestra faceva da eco nella mia testa a quanto mia madre mi aveva già detto giorni addietro. “Si dice “uait”, non “wite”, provò a dirmi con tutta la grazia della quale era provvista una maestra delle elementari.
Non è vero che i bambini non hanno già ben chiaro cosa sia il senso della morte, neppure che non possano provare desiderio che un colpo di mannaia sferzata da uno scheletro animato e avvolto in una palandrana nera venga a porre fine al dolore di un’esistenza annientata dalla vergogna perché, in quel momento, era la sola cosa che avrei desiderato accadesse.
Fortunatamente l’insegnante, forse per pietà, cambiò subito discorso congedando poco dopo l’assemblea.
Il corso iniziò il giorno dopo. È ci volle del tempo prima che avessi il coraggio di rispondere ad una domanda, anche quando qualcuno mi chiedeva solamente come mi chiamassi. In oltre, l’apprendimento dei primi rudimenti di quella lingua fu per me doppiamente difficoltoso, no solo perché iniziai a scoprire che “the dog is braun” e “the ros is ros” ma anche perché dovetti imparare che la neve è “uait” e non “wite” come invece ero convinto che fosse.