sabato 24 dicembre 2011

Poi, ovviamente, la pace nel mondo.




Esattamente un anno fa ero a New York per un viaggio in solitaria di un mese. Il giorno della vigilia stavo cercando i resti di una discoteca molto famosa negli anni ottanta che si chiamava The Saints. Avevo letto e visto documentari su questo santuario della “queer cultur”, antesignano di tutti i Circuit, e benché sapessi che aveva chiuso i battenti verso la fine degli anni ’90 ero andato a cercarlo come un devoto va incontro alla tomba del suo santo patrono. La mappa indicava un posto ben preciso nell’East Village ma quando arrivai all’indirizzo trovai al suo posto un centro accoglienza per immigrati. A nulla era servito chiedere informazioni a una lavanderia cinese che si trovava esattamente dall’altro lato del marciapiede: a malapena il proprietario parlava inglese, figuriamoci che ne sapeva lui di quell’enorme “dome” che aveva ruggiti il suo dominio sulla scena della nightlife di quella città quando forse lui ancora neppure sapeva esattamente dove fosse situata l’America.
Sconsolato andai a mangiare un boccone ad Alphabet City, in un ristorantino messicano scassato dove alla cortesia delle cameriere faceva da contraltare un menù degno di una sosta per autotrasportatori in autostrada. Mi ero seduto accanto alla vetrina. Non avendo nessuno con cui parlare e così mi distraevo nel vedere la gente che passava lungo la strada con l’incanto di chi si perde a guardare i pesci in un acquario. La giornata era limpida e serena sebbene facesse un freddo da lasciarti sterile.
Era la vigilia di Natale, una completamente differente rispetto a tutte quelle che avevo vissuto fino ad allora. Nessun pacchetto da incartare né frasi originali da scrivere nei bigliettini né parenti da incontrare. Il fuso mi graziava per qualche ora ancora dall’inviare persino dei semplici sms di auguri. Nessuno nel ristorante sembrava particolarmente invasato dall’aria di festa che comunque a New York ti costringono a vivere anche se sei uno dei bambini di Satana.
Il concetto di evoluzione è totalmente soggettivo.
Puoi sperare di migliorare nel lavoro ottenendo un contratto vero, impegnarti giurando che perderai finalmente quei chili che non vogliono andare via o sperando il meglio per una persona cara che in quel momento sta combattendo con una malattia che rischia di inghiottirla. Sono desideri semplici, comuni ma che per noi sembrano fare la differenza di un’esistenza e che molti, abbandonata l’ingenuità di una letterina scritta con i pennarelli colorati, continuano tuttavia a stilare ma solo mentalmente, per evitare di lasciare tracce scritte in giro che ridicolizzerebbero ulteriormente un’operazione di per se piuttosto imbarazzante. Mentre mi ingozzavo di burritos impastato con della birra che aveva sull’etichetta una rosa rossa disegnata anche io mi auguravo che qualcosa potesse cambiare nella mia vita, certo, con l’impegno necessario di chi sa che nulla avviene per magia ma anche con la pigra speranza in una piccola spinta di incoraggiamento che scenda a darti un aiuto come un gancio in mezzo al cielo.
Oggi è di nuovo il 24 dicembre e si presenta il conto di quella giornata. Pochi cambiamenti ma nessun peggioramento, e questo è già tanto. Deluso? Affatto, una cosa, la più importante, oggi è sideralmente migliorata da allora e mi sta bene così. Per le altre, c’è sempre tempo basta resistere e sperare e chissà che tra esattamente un anno non abbia di che gioire per un’evoluzione al cui confronto quello della razza umana non è che una passeggiata.
Tutto questo, ovviamente, con buona pace dei Maya.
Tanti auguri a tutti voi.
Alessandro

giovedì 17 novembre 2011

QUALCOSA DI MENO, TANTO DI PIU'.


Paola Severino Di Benedetto, la neo ministro di grazia e Giustizia non ha un braccio. Nessun giornale ne ha parlato forse per pudore. Al contrario invece credo sarebbe una cosa da sottolineare. Nonostante donna e handicappata è riuscita ad arrivare a costruirsi una carriera di successo e a ottenere la stima necessaria per gestire un dicastero importantissimo. E questo è un merito che le va riconosciuto a prescindere dalla condivisione della sua linea politica.
Sarebbe stato bello se i giornali avessero fatto un elogio alla menomazione fisica in contrapposizione alle maggiorazioni mammellari di tante politiche incompetenti e da palcoscenico piazzate a casaccio dalla vecchia amministrazione su poltrone ministeriali, parlamentari e consiliari. Sarebbe stato davvero un ottimo messaggio da condividere facendo notare come, anche con un arto in meno, quando si ha un buon cervello si può arrivare a obiettivi notevoli, anche nella politica fallocratica del nostro paese.

martedì 8 novembre 2011

LUCA IL (QUASI) GAY DEL GRANDE FRATELLO 12.
















Premessa, i problemi attuali dell’Italia al momento sono ben altri e sebbene sia grande la preoccupazione per le sorti economiche dell’Italia è pur vero che l’affare Berlusconi mi sta disgustando a dismisura.
Detto questo quindi mi concedo un colpo d’ala sulle vicende del “gay si, gay no, gay boh” del Grande Fratello, programma che certamente non ha il valore sociale e politico di Reporter ma quello che è accaduto ieri dà il polso della concezione diffusa dell’omosessualità e del vissuto che molti condividono in Italia.
Luca è un sedicente biologo di 35 anni laureando in una seconda disciplina ma fa anche il modello a tempo perso. Un corsus vitae piuttosto confuso nel quale la sola certezza acclarata è che sia un concorrente del Grande fratello 12.
Ieri sera, posto di fronte alle foto omoerotiche scattate per un servizio di moda piange e si dispera "l'ho fatto solo per soldi, perché mi pagavano", manco fosse un immigrato disperato disposto a tutto per un tozzo di pane.
Poi chiede di poter parlare alla madre per rassicurarla di non essere gay e di andare solo a donne. Io appelli così accorati non li ho visti neppure nelle aule di tribunale quando l’imputato di strage si dispera per perorare la sua innocenza.
Signorini non è certo uno che sceglierei per una vacanza su un’isola deserta. È il ritratto del gay che piace alle nonne, ricchio-cattolico e a tratti stucchevole ma almeno ieri ero d’accordo con lui: “Non ti stiamo accusando di essere un criminale! Non ti stiamo accusando di niente! Non abbiamo detto che hai ucciso qualcuno! Ma ti rendi conto?!”
Salvo il fatto che se entri nella casa sta sicuro che anche avessi rubato la mela a un compagno di classe in seconda elementare, la cosa verrà fuori quindi, meglio che tu sia il più sincero possibile ma vedere da parte di Luca tanto sdegno per esser stato tacciato d’essere omosessuale (e non il mostro di Firenze) mi ha davvero atterrito.
Lui ovviamente rispetta i gay, è contro l’omofobia ma se uno insinua il fatto che possa avere il culo chiacchierato suda freddo, scatta, minaccia e si incazza.
Ora, ribadisco, non che la cosa stupisca o preoccupi ma di gente così, finocchio o meno che sia, ne è pieno il nostro paese. Se posso io la evito come la merda di cane sul marciapiede ma è innegabile che quando te la ritrovi comunque davanti ti rendi conto di quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo paese per raggiungere un livello accettabile di civiltà.

mercoledì 2 novembre 2011

DISEGNI DIVINI.

Qualche giorno fa ho visto una puntata di una serie televisive di quelle ambientate nel mondo degli avvocati. La disputa riguardava delle vignette su Maometto. Satira o blasfemia? Uno degli avvocati, sostenitore della libertà di espressione, porta allora come esempio un opera di Andres Serrano intitolata Piss Christ. Per farvela breve è la foto di un crocefisso immerso in un barattolo trasparente d’urina.
Vederla mi ha fatto venire in mente un episodio della mia infanzia.
All’epoca ero uno di quei bambini che potevano essere descritti come “dal temperamento artistico”. Cantavo, ballavo, recitavo, e disegnavo molto bene. Insomma quanto bastava per farmi dare del frocio dai miei compagni di classe. La mia lezione preferita (oltre a quella di musica) era quindi ovvio fosse educazione artistica. L’insegnante era l’unica donna di un istituto maschile era quindi ovvio che 5 minuti dopo la prima lezione fossi diventato il suo cocco affascinata dalla mia inclinazione artistica quanto infastidita dalla totale assenza di sensibilità di una classe che durante la sua ora giocava a calcio in aula usando una palla fatta con i fogli di carta che dovevano invece servire per i disegni.
Io invece non sapevo pallone a calcio il che in quella scuola equivaleva ad essere portatore del virus dell’ebola ma per quelle due ore a settimana dedicate alle arti pittoriche, lì, ero qualcuno. Gli altri a malapena ritraevano le persone tirando 4 righe per gli arti e un cerchio per la testa mentre io a 12 anni già facevo studi sulla prospettiva dei paesaggi.
Non perdevo occasione quindi di sfoggiare i miei lavori e passavo gran parte del tempo a disegnare, dipingere, colorare a scapito di tutti gli altri compiti. Tornavo a casa, prendevo una risma di fogli che mio padre trafugava dal suo ufficio e passavo tutto il pomeriggio a ritrarre praticamente qualsiasi soggetto mi venisse in mente.
Ogni tanto la professoressa Sabatini ci dava dei compiti da fare a casa che lei chiamava “temi visivi”. Come quelli di italiano lei dava una traccia e noi dovevamo esprimere il nostro pensiero con le immagini.
Essendo un istituto di salesiani, molto spesso erano tematiche legate alla religione.
Ora non ricordo neppure esattamente quale fosse la traccia di quella settimana ma ricordo solo che il mio lavoro consisteva in un ritratto di Cristo morto in croce sanguinate con la corona di spine (il mio senso del drammatico allora era già molto spiccato).
Lo avevo eseguito con una tecnica mista di acquerelli e tempera su un foglio di 70 centimetri per 40, in pratica era una pala d’altare.
Artistica era alla prima ora e io quella mattina non solo ero in ritardo ma già in tram sentivo il bisogno di correre in bagno.
Appena sceso dal mezzo mi precipitai nell’edificio attraversando il cortile con quella velocità che solo il rischio di far esplodere la vescica ti può far raggiungere.
La lezione era iniziata da 10 minuti. Dopo 15 scattava il richiamo dei genitori, dopo 20 la messa ai ceppi nelle segrete dell’istituto dopo 30 un ora in più a settimana di religione co Don De Vito, crudele preside nonché uno di quei sacerdoti insopportabili che avrebbero fatto convertire alla religione islamica persino san Francesco.
Nonostante la pletora di conseguenze possibili causate dal mio ritardo io dovevo per forza andare in bagno. Per evitare che si rovinasse avevo portato il dipinto a mano ma una volta entrato nel bagno lo bloccai tra il mento e il petto mentre frugavo con le mani per aprirmi la patta con la disperazione di uno che per un caso si ritrova un tizzone di carbone ardente nelle mutande.
Iniziai a pisciare sentendo un piacevole sollievo. Troppo forse.
Il collo si rilassa per un secondo lasciando la presa e facendo cadere il dipinto nella tazza del cesso nella quale continuo a urinare incapace di bloccare l’impeto.
Atterrito, ritiro su il foglio: il volto del salvatore adesso era completamente bagnato della mia pipì. Insomma dopo questo gesto di blasfemia ci sono solo i Sabba dedicati a Belzebù nei boschi della provincia romana. Ad ogni modo non posso permettermi di ritardare ulteriormente e corro lungo le scale con questo foglio bagnato. Mentre salgo, con il poco fiato rimasto cerco di asciugarlo e poi ci passo sopra anche la manica del maglione. Riguardo il disegno prima di aprire la porta e lì avviene il miracolo: la pipì a contatto con l’acquerello aveva fatto colare il colore rosso del sangue dando al ritratto un tono ancora più drammatico e realista che nell’insieme era davvero bello.
Lo consegno comunque alla mia insegnante e non solo il mio lavoro risulta il migliore della classe (e ci mancava pure che non lo fosse con quei trogloditi come concorrenti) ma la vera prova dell’imperscrutabilità della benevolenza divina fu che venne presentato a un concorso di disegni tra tutti gli istituti salesiani di Roma.
Arrivai terzo.

lunedì 24 ottobre 2011

GRANDE FRATELLO 12. PRIMA E ULTIMA PUNTATA (PER ME).


La prima puntata del Grande Fratello è come un negozio tutto a un euro: sai che tanto non ci comprerai nulla perché sono tutte porcherie ma un giro te lo fai lo stesso.
Non voglio certo fare lo schizzinoso, non sono di quelli che passano le serate leggendo un buon libro o andando a vedere una maratona teatrale dedicata a Ibsen e se c’è una troiata mediatica nel raggio di 300 canali, state sicuri che mi schianto sul divano e me lo vedo io ma il GF è davvero inaffrontabile.
Alla Marcuzzi che ha avuto un figlio 20 minuti fa o le hanno stretto la cintura con una morsa industriale o glilo hanno tirato fuori al 4 mese per evitare di prender peso.
Piccola mensione sul cast: anche quest’anno un a conduzione tutta al femminile con Marcuzzi e Signorini.
Ma passiamo ai veri protagonisti del programma (si, oltre agli sponsor): i concorrenti.

Come al solito per farli entrare hanno escogitato delle strategie televisive comprensibili come le istruzioni di Risiko in lingua Pali per cui non si capisce chi entra, chi esce, chi rimane in bilico e chi finisce a Uomini&Donne. Il totale di concorrenti comunque già si sa, sarà pari a quello usato per le scene di massa di Ben Hur.
Il primo è Danilo, 22 anni, pugliese, barista: bono ma intelligente come un pugno si sale grosso perché è il primo a entrare e piomba in casa dicendo “buona sera” ai mobili. Se non inizia a farsi 12 docce al giorno senza chiudere la porta è meglio che esca subito.

La seconda a entrare è Adriana 21 anni, portatrice sana del secondo di due neuroni necessari per creare una sinapsi con quello di Danilo.


Man mano che entrano mi sorge il dubbio che gli autori impongano ai concorrenti di esagerare perché questi evidentemente vivono nelle roulotte dal momento che quando entrano, hanno la reazione dei bolscevichi che irruppero nel palazzo d’inverno a Sanpietroburgo quando videro i decori in oro zecchino delle sale.

Chicca delle 22: Signorini si lamenta perché i concorrenti usano troppo “Madonna” come intercala ed è un po’ irrispettoso per uno morigerato come lui. Sapesse la madonna cosa ne pensa invece quando lo vede a letto fare all’amore con qualche ragazzo comodamente disteso a 4 zampe o delle evoluzioni erotiche del suo padrone. Ma lasciamo correre...

Gaia 23 anni da Roma. Cubista, ricostruttrice di unghie, razza immagine, insomma Rita Levi Montalcini.

Poi arriva il momento di Rudolf, 23 anni rugbista. Un po’ genere attore della Colt (ndr: una casa di produzione di porno gay dove gli attori hanno i muscoli anche sulle caccole). Uno di quelli che prenderesti a colpi di boc****i fino a fargli perdere conoscenza.
Entra anche Valeria, 32 anni studia medicina e fa parte del Mensa, un gruppo per cervelloni: 160 di QI quindi adesso in totale la case ha uno score di 161 (certo però che a 32 anni ancora studentessa…mah).

Luca da Eboli. Molto bono anche lui perché si sa, i concorrenti devono rappresentare gli italiani medi che secondo gli autori devono essere un popolo composto da santi, navigatori e modelli di Aussiebum. Sarà che fa il biologo marino ma a me sa tanto di "pesce" infatti le indiscrezioni della rete lo danno per modello (appunto) e presunto ex amante di Valerio Pino, ballerino di Amici passato poi ai reality spagnoli.

Mario 20 anni di Brindisi: altro modello da farti tremare i polsi ma a questo punti io sono un po’ assuefatto e bagnato.

Entra Floriana, 22 anni di Potenza che ammette di essere 10 gradini sopra a tutte le altre donne che la faranno quindi secca con una congiura entro la fine tg notte.

Entra anche un principe indiano che cerca moglie al GF. Sicuramente amico di Gheddafi che gli avrà detto: "Dai vai in Italia che li la fica te la tirano appresso appena vedono una collanina di Pomellato".
Ma si scopre dopo qualche nanosecondo che sto povero disgraziato è di Bergamo fa il contadino, non sa neppure dove sia l’India e tra lui e la zappa che brandisce non c’è differenza.

Verso mezzanotte entra anche Claudia, una mamma che ha fatto il programma su Sky “Burlesque”, ora fa il “Grande Fratello” e se glielo chiedono anche il meteo su TeleNorba, insomma tutto va bene meno che stare a casa appresso al figlio.

In coppia: Chiara, milanese, 22 anni, amante dello shopping che non so al livello previdenziale come si inquadra professionalmente e che ha come motto “vivo per divertirmi” e Leone Guicciardini discendente della nobile casata ormai caduto in disgrazia e costretto a imbottire panini in un bar. Quando si dice la legge del contrappasso descritto nella Commedia dall'amico di famiglia Dante Alighieri.

Questa in spiccioli la rosa dei concorrenti. Come potete vedere hanno puntato molto sull’estetica come mai prima ma si sa la gente si appassiona più a un culo e un pettorale che a una storia strappalacrime e siccome Mediaset Premium non se lo compra nessuno quest’anno si sono detti: “tocca fare cassa!”. Io a questo punto però mi tengo Sky e mi affitto su internet i film on demand della Kazan Production.

giovedì 13 ottobre 2011

EVVIVA GLI SPOSI.




Cosa fa di una popolo una società civile? Chiedetelo a un giurista e vi dirà leggi per tutelare le persone, a un ingegnere la capacità di costruire edifici sempre più alti, a un medico la possibilità di curare quanti più mali possibili. Sembrano cose molto diverse tra loro ma hanno tutti una radice comune: la realizzazione del meglio possibile che, per le persone comuni come noi, può tranquillamente chiamarsi felicità.
Credo che qualche filosofo francese, verso la fine del ‘700 abbia detto qualcosa tipo: “ogni essere umano ha diritto ad essere felice” e che le persone devono essere messe in condizione, in una società che voglia essere civile, di raggiungere questa felicità.
Dopo oltre due secoli, in Italia questa aspirazione continua a essere frustrata.
A settembre Alessandro e Eduardo, sono riusciti però a raggiungere il loro obiettivo sebbene, per farlo, hanno dovuto accettare la più avvilente delle condizioni: espatriare.
Alessandro e Eduardo oggi sono finalmente sposati, non importa se lo intendiate in maniera laica o religiosa, quelli sono solo dettagli perché, alla fine della fiera, è l’intenzione con la quale facciamo le cose che gli da dignità e valore, al di la degli aggettivi.
Ieri è andato in onda alle Iene un bellissimo servizio fatto da Angela Rafanelli sul loro matrimonio irlandese (sì, persino nella cristianissima terra d’Irlanda si può).
A quanto trasmesso c’è poco altro da aggiungere perché dice già tutto benissimo il loro reportage.
Vi consiglio di vederlo e farlo vedere perché è emozionante, vero, diverso come ci si aspetti che sia giustamente un matrimonio tra due uomini dove il concetto di differente non coincide, come pensa il nostro parlamento, con perverso, e perché da coraggio a chi spera che le cose cambino, perché dimostra che un’idea può diventare felicità concreta e perché ci aiuta a credere ancora che la perseveranza è la soluzione a tutto questo buio politico.

mercoledì 12 ottobre 2011

METTI UNA MATTINA IN PALESTRA...

La mia vecchia palestra, la Fitness First, era talmente finocchia che davanti alla sauna distribuivano i preservativi con lubrificante.
A marzo, dopo 10 anni passati, 10 chili persi (e ripresi e ripersi) e 10 “fidanzati” spariti (quando parlo di fidanzati le “ ” sono d’obbligo), la abbandono spingendomi verso un’altra di periferia, più grande, più vicina e soprattutto più economica. Mi aspettavo di ritrovarmi in una specie di tana delle tigri e invece dopo neppure una settimana mi sono accorto di essere capitato nel serraglio di un sultano. E’ vero, i gay sono ovunque, non esistono palestre “gay free” ma questa ha una densità di omosessuali che vedi solo a Barcellona, durante in Circuit.
Io non sono di quelli che dicono “o Dio, tutti questi gay in sala non li sopporto proprio, tutti che ti guardano, tutti che ti cercano, tutti che ti vogliono”. Di tutto soffro meno che della sindrome dell’erotomane che miete invece tante vittime tra i gay convinti che tutti bramino le loro attenzioni o il loro corpo. A me non mi cerca nessuno, non mi brama nessuno, nessuno soprattutto si sfida a una maratona di panca piana per uscire con me quindi per quanto mi riguarda allenarmi in un ambiente gay non mi cambia le cose più che se mi allenassi in un convento di suore Pallottine.
Detto questo una mattina di qualche settimana fa mi è capitato di incrociare in sala un tipo molto attraente.
Io lo guardo, lui mi guarda, io lo riguardo, lui mi riguarda e in questo palleggio di bulbi oculari non mi è chiaro se lo fa perché gli interesso o semplicemente monitora dove mi trovi per allontanarsi il più possibile da me.
Il suo viso mi è del tutto nuovo il che può significare:
1- che è etero;
2- che non è di Roma, anzi, che non è proprio italiano;
3- che si è appena svegliato da un coma di 25 anni;
altrimenti con la memoria fotografica che mi ritrovo lo avrei riconosciuto.
Io non ho affatto il gaydar. Ho dovuto sentire la testimonianza sconcertata di un ragazzo che aveva fatto sesso con Leopoldo Mastelloni ai tempi dell’unità d’Italia per convincermi che il suo atteggiamento effeminato non era dovuto a una posa teatrale ma perché effettivamente gli piacevano i maschi. Quindi figuriamoci se posso capire se questo ragazzo della palestra lo è.
La settimana successiva (ovviamente lui va solo il sabato mattina, mai che le cose possano essere minimamente semplici)
Mi presento allo stesso posto alla stessa ora. Lui c’è! Ricominciamo con questo gioco di sguardi.
Se avessi un paio di Negroni in corpo non ci sarebbero problemi ma alle 11 del mattino è già tanto se riesco a chiedere il giornale al giornalaio, figuriamoci attaccare bottone. Pure lui , a onor del vero, non accenna ad un avvicinamento: guarda e basta.
Finisce l’allenamento e sale negli spogliatoi e io, casualmente, finisco la scheda nello stesso momento. Uno dei mille motivi per cui essere gay è meglio che essere donne è che se ti piace qualcuno puoi sempre seguirlo negli spogliatoi o nei cessi dei locali senza destare sospetti.
Siamo soli, potrebbe essere il momento giusto, quanto meno per salutarlo ma mi si ferma il fiato in gola quindi raccatto le mie cose ed esco. Mentre faccio le scale mi rode il culo per l’occasione persa perciò, un uomo di quasi 40 anni, un professionista nel suo lavoro, responsabile con la famiglia, presente con gli amici, retto con la legge e probo con la società cosa fa? Va alla reception si fa dare un bigliettino e una penna e scrive un messaggio con il suo numero di telefono.
“Senti potresti dare questo foglietto a un ragazzo che sta ancora nello spogliatoio e tra poco scende? Non ti puoi sbagliare c’è solo lui”, faccio alla ragazza alla reception che se non ha un ematoma cranico che le preme sul lobo temporale ha capito al volo tutto quanto.
“Come si chiama?”, mi fa lei.
“Guarda non mi ricordo ma non ti puoi sbagliare, è il numero di un negozio che gli serve…”, rispondo rendendomi conto di aver appena fatto una delle cose più imbarazzanti e umilianti che uno uscito dall’adolescenza possa commettere.
“Va bene”, risponde lei poco convinta.
Passa mezz’ora. Forse si sta ancora vestendo.
Passa un’ora. Beh, forse se la vuole tirare un po’.
Ne passano tre. Mi sa che è cieco e non può leggere il numero.
Passa un giorno. Sono un coglione.
Non avessi fatto l’abbonamento annuale mi cancellerei dalla vergogna ma poi mi dico “vabbé, hai altro di cui imbarazzarti della tua vita che questa bazzeccola”.
Sabato scorso rivado e lo rivedo. Nel frattempo si è anche tagliato i capelli.
Mi alleno con il compagno di una mia amica e gli racconto l’antefatto mentre gli spiego (è un novizio del fitness) come funziona la pressa per le gambe quando dallo specchio vedo il tipo avvicinarsi, mi guarda e, indicando la macchina per i dorsali, mi chiede: “ti serve”.
Io bofonchio il più ridicolo dei: “No, prego” ma con il tono di chi dice: “ma hai ricevuto un biglietto per caso con un numero e un nome? Beh, tante volte lo pensassi, sappi che non sono io. Figurati mi chiamo Luca e non ho neppure un cellulare!”.
Insomma vediamola positiva: un primo contatto verbale c’è stato. È già qualcosa, no? E voi indovinate sabato mattina dove sarò?

martedì 11 ottobre 2011

Quattro cose che non capisco del cinema.



















1) L’intervallo.

A metà degli anni ’90 le sale hanno iniziato a eliminare la pausa. Quel meraviglioso momento di requie tra un tempo e l’latro durante il quale si aveva il tempo di andare fuori a fumare una sigaretta, fare qualche primo commento a caldo sul film, fare spesa di pop corn e cornetti Algida e, non ultimo, andare a cambiare l’acqua alle olive (io che ho la vescica debole da allora sono costretto ad accavallare le gambe trattenendo la pipì fino quasi a scoppiare o rinunciare a qualche minuto di film precipitandomi in bagno veloce come se il cinema stesse andando a fuoco).
A un certo punto quindi si è deciso che il film andava visto tutto d’un fiato per non interrompere il flusso narrativo, per mantenere alta la tensione emotiva e tutte quelle fregnacce da intellettuali dell’ultima ora. Regola applicata solo al cinema a quanto pare perché non ho mai sentito dire che “Guerra e pace” va letto tutto d’un colpo né nessuno è tanto coraggioso da proporre l’ascolto del Tannhäuser di Wagner.

2) vedere i titoli di coda fino alla fine.

Cos’è hai un cugino che sviluppa pellicole che devi restare lì piantato per veder apparire il suo nome fino a che non passano con lo straccio per pulire la sala?
A parte poi che non fanno neppure defluire il pubblico della loro fila che magari giustamente ha altro da fare ma poi l’ostinazione insensata di farlo anche con pellicole svedesi dove i nomi sono solo accozzaglie di consonanti con i puntini sulle lettere e le O sbarrate resta uno dei grandi misteri del cosmo.

3) i posti numerati.

In se è l’innovazione migliore dai tempi dei fratelli Lumiere, evita risse fratricide e arrembaggi all’arma bianca ma capita spesso che la sala sia vuota quindi se si è in 10 e qualcuno decide di scegliere un altro posto rispetto a quello assegnato per vedere meglio il film mi sembra una tigna da nevrotici arrivare sventolando il proprio biglietto retarguendo lo sventurato come se avesse commesso un furto. Ci sono altri 600 ottimi posti, comodi e centrali, mettiti lì e risparmia le tue “questioni di principio” per cose più serie.


4) vedere i film in lingua originale.

Tra tutte è la cosa che sopporto meno.
Allora io parlo per me quindi liberi di contraddirmi ma il mio inglese pur essendo molto buono si va a far fottere se il film che devo vedere è una storia di degrado urbano, di quelle magari candidate a 23 oscar e osannato dalla critica al Sundace Film festival, dove una gang di Los Angeles riedita lo scontro tra Capuleti e Montecchi parlando uno slang che non si capisce una cippa neppur se sei nato a Glendale. E poi o vedo il film o leggo i sottotitoli. Mica ho gli occhi periscopici come i camaleonti.
Peggio mi sento poi se non è neppure in inglese. Tanto vale che mi compro il libro e faccio prima. Poi dicono: “beh, ma così apprezzi fino in fondo la vera bravura dell’attore”, certo del resto se vado a vedere X Man non lo faccio per sbavare davanti al torso nudo di Hugh Jackman ma per sentire come scandisce bene le battute del film…

giovedì 6 ottobre 2011

GOOD JOB, MR JOBS.




















Il primo ipod me lo ha regalato il mio ex ragazzo. Era uno di prima
generazione. All’epoca girare con quello in mano garantiva più
attenzioni che se fossi andato per la città a dorso di un unicorno.
Da quel giorno sono stato infettato anche io dal virus Apple perché di
lì a pochi anni ho comprato in rapida successione un mini ipod (quello
da 40 giga era troppo ingombrante), uno shuffle (beh, quando vai in
palestra ti serve un lettore piccolo e leggero!), un altro da 20 giga
(questa generazione ti faceva vedere anche i film e le foto, certo ti
dovevi sguerciare ma era fondamentale), un ibook (beh, non avevo un
computer a casa) e per finire un ipod touch (e che te lo dico a fare).
Non lo nascondo, a volte mettevo in fila sul tavolo tutti i miei
gingilli e li ammiravo, come farebbe una bambina con la sua collezione
di Barbie. Ma era davvero necessario averne così tanti? Affatto. Chi
compra Apple non lo fa mai per una questione funzionale ma è spinto
dal piacere che procura il bello, esattamente come si fa con i
gioielli o le macchine sportive.
Oggi il creatore di Apple è morto. E quando a scomparire è uno dei
fondatori di questa società 2.0 il cordoglio assume subito dimensioni
globali e istantanee.
Stamattina tutti i telegiornali, la rete e Facebook non parlano
d’altro. Migliaia di persone si sono riversate davanti agli store
Apple per testimoniare con fiori, candele e messaggi scritti il loro
dispiacere, un’immagine che dalla morte di Lady D ci è sempre più
familiare.
Questo mi ha fatto pensare come il progresso mediatico abbia portato
con sé anche l’evoluzione del concetto di cordoglio. Una volta ci si
addolorava solo per la scomparsa di persone che realmente facevano
parte della nostra vita, oggi lo facciamo anche per chi conoscevamo
solo virtualmente, ma del quale stimavamo il valore. Ovviamente è un
dolore differente, non è struggente e lancinante come quello causato
dalla scomparsa di chi ci è davvero caro. È più dispiacere, tristezza,
rammarico per aver perso qualcuno che con la sua vita ha qualificato
anche la nostra. E questo non perché ci abbia banalmente permesso di
scambiare foto in tempo reale o fatto ascoltare Britney Spears ovunque
volessimo ma perché ha dato un messaggio persino più grande delle sue
creazioni: perseguire con tenacia il proprio sogno porta sempre al
successo. Un pensiero un po’ retorico, da super eroe dei fumetti, e
forse così potremmo liquidarlo se poi con la sua morte prematura e
incontrastabile non avesse reso la sua vita incredibilmente umana e
vicina alla nostra.

mercoledì 28 settembre 2011

LAGY GAGA, LA SFIGA E IL SUCCESSO.

















Stamattina mi stavo preparando per andare a lavoro. Con una mano finivo la tazza di caffè, con l’altra mi abbottonavo la camicia e con l’altra ancora cambiavo i canali della tv in cerca di un video musicale che rompesse il silenzio tedioso dell’alba. La possibilità che non mi capitasse Lady Gaga tra i piedi era piuttosto remota visto che pubblica più video lei che Berlusconi messaggi preregistrati. E infatti così è accaduto. Francamente non saprei neppure dire quale canzone fosse, ormai per me è tutto un continuum che parte da Poker Face e arriva a Edge of Glory, saprei solo dire che aveva delle sonorità country e un bono spaziale come coprotagonista (vorrei anche dire che lei sembrava un carro del carnevale di Rio ma questa annotazione nel suo caso non è così distintiva).
Mentre la ascoltavo mi è venuta in mente una sua intervista che ho seguito qualche settimana fa. A quanto pare la Germanotta ce le ha avute tutte: vittima di bullismo, figlia di una famiglia povera, presa in giro per il suo brutto aspetto le mancava solo l’epilessia e un abuso in tenera età da parte di una suora e poi era perfetta per una film di Gus Van Sant. Nonostante questo passato da sfigata ora è quello che è ovvero una super, mega, iper pop star. Una di quelle che se fa un rutto spegni il telegiornale che annuncia lo scoppio di un reattore nucleare in Giappone pur di ascoltarla. Allora, con un’intuizione che ha sorpreso persino me, mi sono detto: il successo è dei reietti.
Ho iniziato quindi a chiedermi se questa tesi è sostenibile dai fatti. Ho pensato a Madonna e pure lei, diciamocelo, era una povera disgraziata. Ammesso sia vero il fatto dei 35 dollari in tasca all’arrivo a New York è però inequivocabile che la sua ascesa è stata inversamente proporzionata alla sua mancanza di talento. Ora per non fare la solita finocchetta che parla solo di pop star ci butto dentro anche Stephen Hawking, lo scienziato che non sai dove comincia lui e dove finisce la sedia a rotelle. Tetraplegico sin da bambino a 20 anni si laurea e non con una tesi sulla direzione artistica di Donatella Versace alla guida della meson ma con una sui buchi neri, la relatività e l’origine dell’universo. E come loro ce ne sono ancora centinaia di esempi rappresentativi che alla fine hanno avallato ciò che ho sempre sostenuto: la sfiga nella vita ci rende persone migliori e se solo sappiamo reagire (e se nel farlo riusciamo anche a conservare un po’ di umanità senza diventare degli stronzi) allora otterremo più di quanto un’adolescenza edulcorata potrebbe mai garantirci.
Gli stessi nerd di Glee (torniamo nel mio campo preferito) hanno successo per questo perché ci mostrano quanta grazia nasce dalla sofferenza e come questa possa essere tanto più interessante della presunta perfezione arrivando addirittura a diventare un passaporto per il successo. Nno mi pare infatti che la vita dei “perfetti” sia così interessante. Kennedy si è dovuto far sparare per diventare un mito e Lapo Elkan è finito in periferia a giocare a farfallina con dei trans robusti come fusti di greggio. Quindi forse è vero come dice De André che i fiori non nascono dai diamanti, che quello che non strozza ingrassa e che quello che non spezza rende più forte e se sono frasi fatte e un po’ banali il successo degli sfigati non lo è manco per niente.

venerdì 23 settembre 2011

MANCUSO'S LIST




















Mancuso lo ha detto e lo ha fatto. Pubblicata la (prima) lista dei 10 parlamentari del centro destra omofobi al sole omofili al buio. Se le fonti sono davvero attendibili non è dato sapere. Credo però che Mancuso non sia tanto sprovveduto da mettersi a petto nudo davanti a un plotone d'esecuzione caricato a colpi di querele. Di molti si intuiva e di altri si sapeva. Un solo commento personale: se davvero questi rappresentanti della Repubblica sono omosessuali e omofobi io un po' mi vergogno di appartenere "per natura" alla stessa categoria. Chi abiura le proprie origini, la propria cultura arrivando addirittura ad osteggiarla privando i suoi rappresentanti di diritti fondamentali in uno stato civile, non merita rispetto, non il mio almeno.

giovedì 22 settembre 2011

IL PAPA CHE NELLA SUA GERMANIA LO CHIAMANO "LO STRANIERO"


Il Santo Padre è arrivato in Germania.
Diciamo che questa nazione non è propriamente quella che si definisce una devota seguace del cattolicesimo ed è ovvio quindi che a differenza dei suoi viaggi in paesi più cattolici come la Spagna o la Franca sia entrato con i tacchi in mano per fare meno rumore possibile.
Risponde in maniera incredibilmente docile alle domande dei giornalisti e bisogna fare un grande atto di fede per credere che sia davvero lui quando gli chiedono cosa pensi delle contestazioni che lo aspettano nella sua terra e lui risponde placido: "nulla contro una contestazione che si svolga in modo civile. E' normale, in una società libera e marcata da una forte secolarizzazione. Ne prendo atto e non ho nulla da obiettare”. Ma già me lo vedo subito dopo allontanarsi con la scusa di dover andare in bagno mentre in realtà si è chiuso in uno stanzino per dare cazzotti al muro e scaricare l’incazzatura.
Se la domanda più in voga al momento è chiedere un opinione sui matrimoni gay a chiunque, da Rosa e Olindo a Ronald Mc Donald, il tormentone rivolto agli alti prelati è sempre lo scottante scandalo legato ai predi pedofili.
Quindi, anche in questa occasione, i cronisti teutonici hanno posto al Santo Padre la solita questione.
Benny, deve essere ricorso ai poteri lisergici di qualche calmante illegale a giudicare dal tono accomodante che ha adoperato per rispondere alla “provocazione” o più semplicemente, di fronte al precipizio dei consensi che lamenta la Chiesa in questo periodo, ha capito che è meglio volare bassi, ingoiare il rospo e fare mea culpa.
"Posso capire che, di fronte a crimini come gli abusi su minori commessi da sacerdoti, se le vittime sono persone vicine uno dica: questa non è la mia Chiesa, la Chiesa è una forza di umanizzazione e moralizzazione e se loro stessi fanno il contrario io non posso più stare con questa Chiesa".
Se potessi parlargli francamente però vorrei fargli presente che le persone non si allontanano dalla chiesa per un’aberrazione che alcuni dei suoi esponenti commettono. Ci sono casi di abusi anche nelle scuole elementari ma la fiducia che si ha nei confronti dell’istruzione non mette in crisi l’intero sistema. Fosse infatti quella la sola contraddizione della Chiesa non basterebbe a inficiare la “santità” del loro mandato. Quello che allontana le persone è semmai l’ipocrisia dei loro dettami, la condanna al materialismo da un lato mentre sfacciatamente ostentano opulenza, la ricerca continua e subdola del loro tornaconto, le imposizioni morali fuori dal tempo, l’intolleranza, l’esclusione di categorie sociali dalla compassione e dalla comprensione e la presunzione di parlare per un dio che tace.
Ecco penso siano queste le cose che allontanano le persone dalla Chiesa più di quanto possano fare i preti pedofili.

lunedì 19 settembre 2011

ALE&EDU WEDDING PARTY



















Sabato scorso i miei amici Ale e Edu hanno festeggiato le loro nozze celebrate pochi giorni prima a Dublino perché, come è noto, da noi puoi fare ammucchiate con decine di prostitute nei palazzi del governo senza alcuna vergogna ma il matrimonio tra omosessuali fa ancora orrore.
Gli sposi hanno optato per degli abiti scuri senza litigarsi le crinoline bianche e il diadema di zirconi come potrebbe immaginare un qualsiasi deputato del PdL. Le loro promesse di matrimonio non si sono ispirate ai testi di Britney Spears ma le hanno scritte l’uno mosso dai sentimenti per l’altro e la festa di nozze, che ci credano o meno i detrattori, non è finita con scambi di coppie e orge in dark room. Tutto è stato “normale” dove l’aggettivo in questo caso non ha la puzza stantia di un appellativo ipocrita e borghese.
Gli invitati sono venuti mossi dall’affetto più che dalla formalità e nonostante il rito laico della loro unione tutti lì abbiamo percepito la sacralità del loro sentimento.
Magari non si è assistito alla rissa tra zitelle per accaparrarsi il bouquet né è stata servita al tavolo un’elegante composizione fatta da un cetriolo e due mele affiancato da un melone spaccato ma per il resto non ci sono state grosse differenze rispetto a un matrimonio tra uomo e donna.
I parenti erano commossi, le foto di gruppo ugualmente orribili e la torta, il solito trionfo di strati imburrati. Gli invitati hanno ballato i lenti pestandosi i piedi perché nessuno li sa più ballare, i bambini rincorrevano le luci stroboscopiche che schizzavano sul pavimento al ritmo della musica e alla fine quasi tutti erano ubriachi come a un concerto dei Babyshambles.

sabato 17 settembre 2011

L'OUTING NON E' UNA MOLOTOV.

Aurelio Mancuso promette nei prossimi giorni di fare i nomi dei parlamentari palesemente omofobi ma segretamente omosessuali.
La polemica ovviamente è scattata 3 minuti dopo la dichiarazione non solo da parte di una certa parte politica, come ci si poteva spettare, ma anche da alcuni esponenti del movimento gay italiano che se latitano per grande parte dell’anno, su un’iniziativa mediaticamente più visibile come questa, saltano subito sulla sedia scuotendo la mano per farsi notare.
Ivan Scalfarotto definisce l’operazione "scorretta, volgare e violenta” mentre Paolo Patané, presidente di Arcigay parla, anche lui, di “macchina del fango”, termine già insopportabile e stra-abusato, ormai tirato fuori quasi come intercalare al posto di “cioè”.
Ma detto questo, vorrei fare alcune considerazioni personali.
L’outing (ovvero rivelare nomi di chi è omosessuale senza il loro consenso) è certo una pratica dura ma qui non approviamo un’azione rivolta contro un quindicenne di un paesino sperduto in Iran che come conseguenza rischierebbe la lapidazione o lo squartamento nella pubblica piazza, qui parliamo di persone che fanno della violenza omofoba uno strumento di vessazione nei confronti di milioni di italiani, che con il loro ostruzionismo e le loro condanne morali rendono questo paese un posto difficile da vivere, fomentando l’odio e l’intolleranza con l’aggravante di essere poi loro stessi omosessuali.
Altra considerazione. Aggettivi come “scorretta, volgare, violenta”, e perché? Stiamo forse imputando a qualcuno un delitto, una aberrazione, un comportamento condannabile? Se attribuissimo a Napolitano la passione per la pastiera, quand’anche lungi dall’esser vero, potrebbe mai risentirsi andando oltre una risata e una blanda smentita? Ma come, ci battiamo da sempre perché l’omosessualità venga vista come “normale” e poi noi stessi ci indignamo se qualcuno rivela l’omosessualità di una persona, per giunta omofoba?
Scalfarotto ritiene l’outing un “abbassamento” del confronto e auspicherebbe un dialogo dove far valere la forza della ragione per il conseguimento dei diritti. Proposta condivisibile, chi lo negherebbe, ma non qui, non con questa classe politica dove molti suoi esponenti gestiscono il mandato istituzionale come fossero monarchi assoluti che, arbitrari e capricciosi, decidono a chi e come attribuire diritti. E poi qui nessuno sta inneggiando alla forca: usiamo l’outing non le molotov!! E se nonostante tutti i tentativi fatti in anni di ragionevolezza, nonostante gli omicidi e le violenze siamo ancora fermi al palo degli anni ’50 forse è il caso di adottare nuove forme di opposizione già per altro sperimentate in paesi tutt’altro che “bassi” e incivili.
Concludo con la dichiarazione di Giuseppina La Delfa, storica presidente dell'associazione Famiglie Arcobaleno, che, sulla sua pagina Facebook, difende, senza mezzi termini, l'operazione: "Mentre noi arranchiamo o moriamo uccisi o feriti da fratelli omofobi, mentre noi siamo rifiutati da genitori leghisti o cattolici integralisti, altri, seduti sui banchi del parlamento e del senato, quelli e quelle che votano leggi contro di noi o che ignorano le nostre difficoltà o le negano, vivono di nascosto la loro omosessualità. E nel buio delle stanze, nella vergogna e la paura, come topi di fogna, fanno compagnia a preti, vescovi e prelati di ogni tipo che quando non sono pedofili, rasando i muri come fantasmi o scendendo nelle cantine della vergogna, quelle delle loro teste malate, consumano sesso senza il coraggio di creare legami aperti e degni e facendo danni a se stessi e a tutti noi. Personalmente, verso questa gente, non avrei nessuno rimorso a trombettare alto e forte la loro omosessualità al pubblico".

Postilla doverosa: io non so se questa sia solo una provocazione o se davvero spunterà la lista ma mi auspico che, prima di esser resa pubblica, Mancuso si prenda l’impegno di appurare la veridicità delle fonti altrimenti sì che sarebbe solo una porcheria, alla stregua di tante altre alle quali siamo costretti ad assistere quotidianamente.

giovedì 15 settembre 2011

GRINTA

























Più che una parola per me ha significato per anni uno stile di vita. Nello specifico era quello di mio padre che però sin dalla nascita ha cercato di instillare anche in me ripetendomi come mantra esortativo la frase: “Alessandro, grinta!”.
Per papà ad esempio “grinta” significava obbligarmi a correre insieme a lui d’estate, possibilmente alle 2 del pomeriggio, meglio se in prossimità della spiaggia, senza bere un sorso d’acqua e se mi vedeva arrancare, mi gridava: “muovo quel culo di piombo. Un po’ di grinta!”.
La mia prima e unica bicicletta la ottenni solo in cambio di un riassunto scritto dell’Iliade, un capitolo al giorno durante le vacanze di Natale. E se mi vedeva scoraggiato davanti a quel librone, mordicchiando pigramente il tappo della bic mi faceva un agguato da dietro gridandomi nell’orecchio: “Mettici un po’ di grinta avrai la tua BMX”. Ok, va bene tutto ma volgiamo anche dire che all’epoca frequentavo ancora la quinta elementare?
“Dai muovi quelle braccia, mettici grinta”, mi urlava dagli spalti della piscina mentre le roteava come pale di mulino per farmi vedere come dovevo fare. Pretesa assurda visto che io ero in vasca troppo impegnato ad arrivare ultimo durante una delle mille competizioni perse nella mia carriera.
Per lui non esiste riposo, tregua o resa. La vita va presa a morsi e ogni lasciata è una sconfitta. Uno stile di vita che purtroppo ho fatto mio. Anche per me il sonno è una perdita di tempo, le ore sono sempre troppo poche e il divano è il mio nemico solo che con l’età ho imparato a dare a tutto questo il giusto nome: “nevrosi”.

Altre voci scritte da altri autori le trovate sul Dizionario Affettivo della Lingua Italiana 2.0 curato da Matteo B. Bianchi.
Potere scaricarlo in .pdf a questo link:

http://www.matteobb.com/tina/home.html

martedì 13 settembre 2011

MISANTROPIA TURISTICA.




















Se decidi di vivere a Roma ci sono un po’ di inconvenienti che devi accettare.
Il traffico, le distanze siderali, l’indolenza dei suoi abitanti e, ovviamente, i turisti.
Come ormai molti sanno orami mi nuovo con i mezzi e credo che resterà una condizione permanente dal momento che il mio scooter ritrovato ma martoriato ha bisogno di una rimessa in forma della quale si è incaricato d’occuparsene mio fratello, il che significa che per allora avranno inventato il teletrasporto rendendo a quel punto definitivamente inutile l’uso dei mezzi di trasporto.

I turisti, come dicevo, fanno parte del panorama cittadino tanto quanto gli acquedotti romani e i campi nomadi sulla Prenestina.
In quanto romano li ringrazio per l’apporto economico che veicolano grazie al turismo ma detto questo, li detesto.
Ormai è guerra aperta tra me e loro.
Soprattutto quelli che incontro tra l’ultima fermata dell’85 e l’ingresso in ufficio.

Motivo d’odio numero I: le strisce pedonali.
L’autobus passa davanti al Colosseo che, intuirete, è l’attrazione principale della città insieme alle statue viventi vestite da sfinge egizia che continuo a chiedermi cosa c’entrino lungo i fori imperiali e soprattutto non mi spiego perché la gente li trovi tanto affascinanti da fare foto a nastro manco stessero paparazzando Madonna a culo all’aria mentre fa cicoria lungo una strada statale.
Ad ogni modo ogni mattina il carro bestiame perde almeno 15 minuti fermo per far attraversare i turisti sulle strisce pedonali che dalla fermata della metro li porta davanti all’anfiteatro Flavio. Voi avete idea di quanti siano? Credo che l’immagine del popolo di Abramo che attraversa il Mar Rosso sia un riferimento per difetto. Oggi ho sentiti una donna dal fondo dell’85 che giustamente esasperata ha incitato l’autista a premere sull’acceleratore gridando: “mettili sotto ‘sti stronzi!”. Poi ha detto anche altro ma la voce era stata completamente sovrastata da applausi, cori d’approvazione e trombette da stadio.
Quando con calma riprendiamo il tragitto arriviamo al:
motivo d’odio numero II: i macigni umani.
Insomma dall’interno i passeggeri intravedono la fermata e si preparano allo sbarco con lo stesso slancio eroico dei marines durante lo sbarco in Normandia. Sono lì, pronti a correre per recuperare il tempo perso davanti al Colosseo quando le porte si aprono e lì si assiste alla tragedia. I primi a scendere sono sempre i maledetti turisti che appena toccano terra si bloccano come dei dolmen, strabuzzano gli occhi manco stessero vedendo la luce del sole dopo un sequestro di mesi e spaesati aprono le loro mappe sempre formato un ettaro per un ettaro iniziando a guardarsi intorno come se fossero piombati nel mezzo di un deserto. Del resto vuoi possa essere indicativo della vostra posizione avere davanti il monumento del Milite Ignoto, unico edificio insieme alla muraglia cinese visibile anche dallo spazio?
Così tra imprecazioni e strattoni riesco a superarli per arrivare al
motivo d’odio numero III: i fotografi pittori di piazza Venezia.
Immaginate la situazione. Di fronte all’altare della patria hanno aperto un cantiere archeologico, una di quelle cazzate che magari bloccano la circolazione per 2 anni al fine di rinvenire una collanina di perline e il braccio di un anfora per l’olio. Avendo eliminato un accesso al marciapiede hanno messo delle barriere di cemento di quelle che usano per contenere la lava nei film catastrofici come Vulcano e che ha il nome di uno stato degli USA che non ricordo (ma che sono certo non è né California né Florida). Ad ogni modo questo corridoio è stretto come un ponte tibetano, si procede praticamente in fila indiana. Ma i turisti che fanno? Si piantano lì per fare la foto al monumento costringendo la gente a passare strisciando come in trincea per un eccesso di cortesia pur di non rovinare lo scatto. Tutti tranne me che me ne frego e entro nell’inquadratura senza farmi problemi.
All’inizio anche io aspettavo che facessero lo scatto ma solitamente ci mettono il doppio di quanto Michelangelo abbia impiegato per dipingere la Sistina. Ma cazzo, devi premere un bottone, mica fare un ritratto a carboncino! E poi per cosa? Per fotografare un monumento? Ma comprati 50 cartoline a un euro e non rompere le palle!
Se poi lo scatto prevede anche la moglie, il figlio o gli amici la cosa si fa drammatica e penosa. Insomma, siete sicuri di voler tornare a
Chattanooga, Tennessee e far vedere a tutti i vostri amici come siate ridicoli con il cappello di paglia con su scritto I Love Venezia (a Roma?), sudati e stravolti, con le caviglie gonfie per aver fatto il giro della citta con degli infradito?
Insomma lo stato di turista è qualcosa che tutti, prima o poi viviamo, la tolleranza e la cordialità sarebbero un gesto di grande civiltà ma non aspiro alla santità quindi: toglietevi dai piedi che faccio tardi!

lunedì 12 settembre 2011

CEDERE? MAI!

Stamattina salgo sull’85. Ormai il fatto è assodato. Hanno potenziato la linea perché fino solo fino a un mese fa l’unico espediente per trovare un posto a sedere era appiccare un incendio e sperare che la gente in preda al panico fuggisse dal bus.
Ci sono un paio di posto liberi, scelgo quello lato finestrino accanto a un anziano. Ovviamente lui non accenna neppure un movimento per favorirmi l’accesso quindi come il miglior contorsionista del circo bulgaro mi snodo per raggiungere il posto.
Mi accomodo e per riprendermi dallo sforzo faccio un respiro profondo. Solo allora sento le narici bruciate per l’odore acre di sudore stantio emanato dal mio vicino e inizio a sospettare che sia quella la ragione per la quale il posto accanto a lui era libero.
Fa ancora caldo e sudare è una reazione normale, è plausibile che alcuni abbiano un odore più forte di altri e non pretendo che vadano in giro con degli assorbenti intimi incollati sotto le ascelle ma riesco a distinguere una puzza “fresca” da una che ha che sta lì da almeno 48 ore.
Cerco di respirare il meno possibile e tengo duro fondamentalmente per 2 motivi.
Primo: non mi va di alzarmi. Se lo facessi mi sentirei in colpa e mi dispiacerebbe far credere al vecchio che lo stia facendo per colpa sua. Magari a lui non gliene fregherebbe nulla e mi ignorerebbe come pare faccia con l’acqua e il sapone ma non posso fare a meno di temere il mio allontanamento lo metta in imbarazzo.
Secondo: il più importante, è che ho il culo di piombo e se trovo un posto a sedere cerco in tutti i modi di tenermelo.
Ora la possibilità che nel bus non ci siano persone in piedi è piuttosto remota se non il 15 di agosto alle 2 del pomeriggio quindi volendo ci sarebbe sempre l’occasione di cedere il proprio sedile a una donna, un invalido, una mamma con il bambino in braccio o un anziano e il primo istinto (indotto dall’educazione non sentito con il cuore) sarebbe quello di alzarmi e farli accomodare ma non voglio. Tutto qui.
Guardando le persone in piedi cerco sempre una giustificazione alla mia pigrizia e, con occhio esperto, osservo, valuto e giudico: “E’ anzianotta ma guarda come si aggrappa con vigore alla barra. Si, ce la può fare a restare in piedi e poi la vedo così stabile con quel bastone che stringe nell’altra mano!”.
E per frustrare ancora di più i tentativi di assalto al mio sedile scelgo sempre il lato finestrino nei posti a due perché quando sei in quel posto quasi nessuno viene lì davanti a te a guardarti come un cane imprigionato nella gabbia di un canile.
Come tutto questo non bastasse mi porto sempre un libro nella borsa. Lo apro, fisso la pagina, senza neppure leggere una parola. E’ un puro diversivo e se ci fosse qualche passeggero abituale con un minimo di spirito d’osservazione si accorgerebbe che da mesi sono fermo sempre allo stesso punto. Qualche volta alzo lo sguardo con fare meditabondo, come se stessi riflettendo su qualche passaggio. in realtà sto semplicemente fissando il vetro per vedere dal riflesso se qualcuno mi sta guardando e abbasso di nuovo gli occhi su quelle righe che non mi dicono nulla.
A volte succede che la mia persistenza venga messa a dura prova da qualche passeggero particolarmente insistente che quasi con arroganza mi sbatte in faccia la sua età o la sua scarsa stabilità dovuta a qualche menomazione. Quand’è così persino io provo disagio e sono costretto a cedere. Così mi alzo cercando anche di sembrare un bravo ragazzo: “la prego si accomodi”. Questo fa una mossa con la mano come a dire “ma non occorre” e a me verrebbe da rispondere: “Adesso invece metti quel culo qui sopra, sono 2 ore che stai face di tutto per muovermi a compassione!”. Ma invece rispondo con un candido: Insisto”.
A quel punto mi guardo intorno in cagnesco per scovare chi più di me avrebbe dovuto cedere il posto e sono talmente incazzato che sono sicuro lo troverei anche mi trovassi su una camionetta medica dell’esercito americano che trasporta reduci di guerra.
Qualche giorno fa ad esempio, sempre sull’85, mi siedo e davanti a me c’è un altro sedile libero. Il bus si ferma, apre le porte e vedo una macchia umana schizzare alla velocità della luca verso il posto e schiantare il suo culo sopra. Quando l’immagine si ricompone realizzo che è un ragazzino. Avrà avuto 10 anni è grasso e solo per questo mi sta subito antipatico. Ha la faccia indisponente e una maglietta orribile e attillata che evidenzia ancora di più il suo sovrappeso.
Qualche fermata dopo, l’85 si riempie e tra me e l’orrido minorenne inizia la competizione. Entrambe arroccati, nessuno ha intenzione di cedere il posto. Io penso “alzati ciccione (così smaltisci pure) e fa sedere qualcuno prima che vengano con la loro solita faccia pietosa a pretenderlo da me”. Lui ha un’espressione indisponente e mi verrebbe tanta voglia di afferrarlo per una guancia e pizzicargliela fino a farlo lacrimare. Niente da fare. Siamo inespressivi e immobili come due giocatori di scacchi russi. Arrivo alla mia fermata e preferirei saltarla piuttosto che darla vinta a lui per abbandono del campo ma alla fine scendo comunque non senza prima averlo però guardato negli occhi sussurrandogli con lo sguardo: “piccolo pezzo di merda, non credere che abbia vinto tu, ringrazia dio che abito qui altrimenti sarei rimasto su quella sedia a costo di farmi venire il culo piatto come una tavola da surf”.

sabato 10 settembre 2011

9/11 2001-9/11 2011 Senza New York.



















Se non esistesse New York avrei molto più imbarazzo della scelta quando devo decidere la destinazione di una vacanza.
Madonna si chiamerebbe solo Luis Veronica Ciccone e canterebbe tutt’al più nei matrimoni degli italo americani.
Audrey Hepburn non si sarebbe specchiata nella vetrina di Tiffany entrando a fare colazione né avremmo visto le culotte di Marilyn scoperte dallo sbuffo della metropolitana.
Nessuno avrebbe aspirato a essere famoso, almeno per 15 minuti nella sua vita.
Dopo Roma sarebbe Milano la seconda citta al mondo con più italiani e la quinta sarebbe solo quella di Beethoven.
Saremmo gay ma senza pride.
Non avremmo mai potuto tirarcela dicendo: “ma questo a New York lo fanno da anni!”, con quell’aria un po’ spocchiosa di chi è appena tornato dal futuro.
Carrie, Samantha, Charlotte e Miranda, chi?
Woody Allen sarebbe stato solo uno sporcaccione che ha sposato la sua figliastra.
Da piccolo non avrei mai mangiato i wurstel chiamandoli hot dog, nel mio i pod non ci sarebbe la playlist: “Broadway on my way” e non avrei mai incontrato l’“Americanino”,‘tacci sua!
D’accordo, se non esistesse New York si vivrebbe comunque ma quanti sogni in meno avremmo fatto nella nostra vita?


If New York did not exist, I would have many more holiday choices.
Madonna would just be Miss Louise Veronica Ciccone, performing at some guido's wedding,
Audrey Hepburn would never have stood
outside Tiffany's windows eating breakfast,
nor would we have seen Marilyn's underpants revealed by an underground piff.
Nobody would have ever craved for their fifteen minutes of fame.
Milan would be the second city in the world with the most italian residents.
There would just be Beethoven's Fifth.
We would still be gay, but “prideless".
No one would have ever said "Oh, but here in New York we've been doing that FOR AGES!", with that bored look of someone just returning from the future".
Oh, and...Carrie, Samantha, Miranda, Charlotte who???
If New York did not exist, Woody Allen would just be another lecher who married his adopted daughter.
I would never have eaten sausages in my childhood and called them hotdogs,
my ipod would not have have had a playlist called "Broadway on my way"
Well, yes, we would still be living, but how many dreams would we have missed in life.

giovedì 8 settembre 2011

SCAPOLI D'ORO. ITALIA VS USA. LA DISFATTA.
























Mi è capitato sotto gli occhi la lista dei 5 sigle “d’oro” del nostro star sistem e i corrispettivi hollywoodiani. Infierire, lo so, non è mai elegante ma il giorno che gli alieni torneranno a verificare a che punto è l’avanzamento tecnologico sulla terra dai tempi della loro ultima visita (quando vennero a insegnarci come edificare le piramidi, ricordate?) come faremo a spiegargli che in California il progresso genetico è andato avanti mentre quello in Italia si è andato a schiantare contro un muro?
Partendo anche solo dagli aggettivi, quelli che da noi si chiamano “scapoli” (il che ti fa pensare subito a una parte del corpo avariata) lì sono i “Bachelor” che se permettete ha tutto un altro fascino. E la partita sarebbe già bella che chiusa.
Ma se all’onta vogliamo unire l’umiliazione basta scorrere i nomi (e soprattutto le foto) delle 2 cinquine per capire chi dei due ha fatto tombola.
Certo non è la fonte ideale dove cercare lumi sulle politiche della BCE ma quando si tratta di argomenti altrettanto interessanti, sebbene di diversa natura, Novella 2000 è la fonte perfetta.
Secondo la rivista per l’Italia scendono in campo:
Gerry Scotty
Flavio Insinna
Teo Mammuccari
Ezio Greggio
Carlo Conti
E anche se avessero come antagoniste le 5 migliori attrazioni del Ripley's Believe It or Not! (per intenderci il museo americano che tra le sue bizzarrie vanta il corpo mummificato di una sirena e il cervello di Giovanardi) ne uscirebbero sonoramente sconfitti.

Poi leggi la top 5 americana e se non sei affogato nella tua stessa bava ti fai un’idea di come non ce ne sia proprio.
Justin Timberlake (oooollllééééé!!)
Jake Gyllenhaal (plin, plin, plin)
Bradley Cooper (non so come si scriva l’onomatopea di chi se la fa sotto da secondo canale, scusate)
Chris Evans (“scusa, perdonami, non so chi tu sia ma mi hanno detto che per averlo devo uccidere il primo che capita, tu mi puoi capire se adesso ti trancio la testa con un machete, non me ne volere)
Ryan Gosling (“avete un Tena Lady maxi, grazie!!”).
Ora io non ho 16 anni e non sono certo una specie di teen ager in preda a tempeste ormonali. Ho da poco superato i trenta e so gestire la libido andando oltre l’effimero richiamo dell’estetica quindi non voglio basarmi solo sull’aspetto fisico perché, a meno che non abbiate perso la vista dopo aver letto il carteggio di SMS tra Italo Bocchino e Sabina Began, la vittoria sapete già a chi assegnarla. Ma detto ciò, voi avete presenti di chi siano gli italiani?
Gerry Scotty, un conduttore che chiude i suoi programmi augurando “che Dio vi benedica”. Uno che guarda i concorrenti di “Chi vuole essere milionario?” come se fossero arrivati dal cast di Jersey Shore perché non sanno dopo quanti anni decade di un decimo la carica radioattiva dell’uranio impoverito quando lui conosce a memoria solo le portate che compongono il menù maxi di Mc Donald.
Flavio Insinna, per carità un caro ragazzo, ma voi avete idea di chi sia Chris Evans? (ricordate che la saliva corrode lo schermo del pc).
Teo Mammuccari, fosse l’ultimo uomo sulla terra ti verrebbe voglia di fartela con una pecora (se almeno quelle ci sono).
Ezio Greggio: sai quando dici “non è bello ma quanto è simpatico!”. E quando non è manco simpatico?
Carlo conti: detto terra di Siena bruciata. L’unico a montare di serie spazzole Bosh sotto le ascelle. Beh, diciamo che non ci siamo.

Io l’ho sempre detto: dovevo nascere negli Stati Uniti. Dite che comunque nessuno di loro mi si filerebbe neppure fossi cresciuto lì e neanche se li minacciassi con rivoltella puntata ai loro zebedei? Probabile. Ma non credo avrei risposte diverse anche dalle 5 stelle nostrane ma, se permettete, rifiuto per rifiuto, meglio essere ignorati da Jake Gyllenhaal che da Gerry Scotti.

lunedì 5 settembre 2011

GEOLOCALIZZAZIONE. UN NUOVO FLAGELLO MEDIATICO.

Vorrei tanto avere anche io un i phone. Solitamente giustifico il mio Nokia dicendo che la versione attuale del gioiello di Cupertino non ha ancora dato il meglio di se e che quindi aspetto la “versione perfetta” che come sa anche l’ultimo dei geek è una chimera generata da una staffetta tecnologica senza soluzione di continuità lungo la quale a un prodotto già buono, ne succederà uno altrettanto buono +1 e così via via all’infinito portandomi quindi a non decidermi mai di fare l’acquisto.
Il vero motivo però è che verso in una tale crisi economica per cui rischio di finire nel mirino della BCE e degli speculatori internazionali e a quel punto le sole azioni che potrei vendere per risollevarmi sarebbe di dubbissima moralità.
Ad ogni modo una delle funzioni che invidio di più del cellulare dalla mela mozzicata è la possibilità di geolocalizzarsi su Facebook (cosa che credo si possa fare anche con il Blackbarry ma è un telefono troppo da manager e in mano a me striderebbe come un dildo nella borsa della Binetti).
Essendo ormai il sindaco di questo social network posso però vedere dove si geolocalizzano i miei amici e così facendo mi venivano in mente un po’ di considerazioni.
Come molti altri servizi proposti da FB anche questo ha pochi lati positivi e 45mila negativi.
Positivo.
Hai la possibilità di collocarti in una località e permettere agli amici di darti indicazioni e dritte sul posto. Non so ti trovi a Piazza Navona e qualche amante dell’arte può suggerirti un percorso interessante lungo i viottoli della zona o magari (anche più utile) ti trovi al Circuit a Barcellona e in diretta gli amici da Roma possono segnalarti l’ospedale più vicino come fosse l’892424 delle Pagine Gialle.
Positivo.
E’ un servizio meno spudorato di quanto possa essere Grindr per far sapere ad amori e amanti dove ci si trova e se sei da quelle parti ci si vede per un caffè o un incontro galeotto.
Tolte queste, per il resto la geolocalizzazione (che da ora chiamerò “geoloc” per economizzare sulle lettere e scrivere queste stronzate in meno tempo) è una gran rogna.
Negativo.
Rischi di ritrovarti davanti stalker, ex fidanzati e creditori che scoperto dove sei non ti daranno più tregua.
Negativo.
Provate a pubblicare d’essere in luoghi come Ikea o la SMA.
Vi ritroverete una lista di notifiche di amici che vi chiederanno di comprargli questo e quello costringendovi a tornare carichi di candele profumate, orribili cornici in betulla e la spesa per una settimana (del resto a un amico non glielo fai un favore?).
Negativo.
Vi trovate in prossimità di botteghini per teatri, concerti o cinema. Altra lista infinita di amici che vi supplicheranno di unirsi a voi e darete così fondo alla vostra carta di credito (si sa che tanto poi i soldi, come per le quote dei regali, difficilmente li rivedrete) e in più sarete costretti a condividere lo spettacolo con loro.
E’ l’aspetto che potremmo chiamare “dimmi dove vai e ti dirò chi sei”. Se infatti nel giro di una settimana ti geoloc presso via di Monti Parioli (per gli extra GRA: una zona moooolto bene di Roma), l’ufficio del catasto, la filiale della tua banca e uno studio notarile si rischia che moti dei tuoi “amici” (che come sappiamo su FB il più delle volte sono solo aspiranti amanti) inizieranno a farti una corte tutt’altro che disinteressata e tu farai la fine di un primo ministro qualsiasi in balia di una qualsiasi schiera di escort di provincia.

lunedì 29 agosto 2011

L'ESPERIENZA E' UN'OTTIMA MAESTRA DI VITA.


Dopo qualche anno di errori di valutazione e di sportellate in faccia, a meno che tu non sia del tutto deficiente, te ne accorgi già dopo 5 minuti se quel tentativo di rimorchio ci sono reali possibilità di uscirci o se tanto vale girare i tacchi e con un residuo di dignità fuggire via.
A me è capitato pochi giorni fa. Conosco una persona, faccio il preciso, tendo la mano e mi presento con nome e cognome e con la formalità inappuntabile di chi si sta proponendo al nuovo capo reparto. Ma tanto lo vedi subito, lo sguardo dell’altro che sfugge, quasi a cerca un appiglio, una via di fuga neppure lo avessi trafitto con uno spiedo e lo stessi rosolando sulla brace. Ma vado avanti comunque, almeno per un altro po’ fino ad essere sicuro al cento per cento che piuttosto che uscire con me preferirebbe tuffarsi in un fiume amazzonico infestato da pirana (o nel lago di Martignano sempre pieno di lesbiche al bagno).
Alla fine faccio il tentativo estremo e propongo “ci vediamo uno di questi giorni per un aperitivo?”. Il tentativo è blando, la data non è fissata e certamente è uno sforzo che chiunque potrebbe fare, soprattutto se deve uscire con me che magari non lo attrarrei sessualmente neppure gli assicurassi di avere due peni ma quanto meno 4 risate te le faccio fare. Questo è il tipo di domanda brevettata e registrata che ho chiamato “Cartina al tornasole”. È quella proposta che ti fa capire immediatamente se ce ne sarà o meno.
A me è stato risposto che lavora molto, che fa tardi la sera, che non sa cosa farà domani figuriamoci nel fine settimana e se non l’avessi fermato io con un “va bene, tranquillo” avrebbe continuato con un’escalation esasperata che lo avrebbe portato a mettere in ballo una madre storpia da accudire e la costruzione di un orfanotrofio in Africa.
A quel punto, per me finisce lì.
Ma non sempre la cosa è così lampante perché c’è poi “il disfunzionale”. Archetipo purtroppo ben più diffuso e assai più pericoloso. Anche questo, in quanto cazzaro, lo riconosci ma ci metti un po’ più di tempo. È per intenderci quello che ti fa il filo in discoteca (leggi pure: che ti infila le mani nelle mutande facendoti una rettoscopia), che ti sorride, ti fa i complimenti, ti guarda come un carcerato fissa una donna dopo 25 anni di detenzione. Ti si avvicina e ti chiede anche il numero e tu, ovviamente, glielo dai ma adesso lo scambio si fa così: “fammi uno squillo che mi resta il numero in memoria e ti richiamo”. Te provi a digitare il numero che ti fai ripetere almeno 12 volte visto che la musica non ti fa sentire e le luci basse ti impediscono di leggere il labiale. Il suo dislpey alla fine si illumina e ti mostra soddisfatto il numero impresso e poi “ciao, ciao”.
Te aspetti qualche ora per non dare l’impressione di essere così disperato da mandargli la buonanotte usando qualche ridicolo emoticon. Ti mordi la mano per far passare almeno l’ora di pranzo poi alla fine guardi l’orologio e alle 6 del pomeriggio fai un tentativo (ovviamente in questo lasso di tempo non che l’altro che solo la sera prima ti stava mettendo incinta con lo sguardo si sia degnato).
Lanci questa bottiglia nel mare e più o meno ricevi lo stesso tipo di risposta ovvero: nessuna. Aspetti la sera. Magari si è perso il cellulare, magari lo hanno rapito per asportargli un rene magari ha fatto scudo con il suo corpo per salvare un cucciolo di cane da un tir ed è morto.
Poi alla fine arriva e la risposta che nel mio caso è stata: “Si ci vediamo dopo anche con Luca per la cena”. “Siccome il tuo messaggio è stato “ciao come va?” ti rendi conto che si è trattato di un messaggio mandato per sbaglio, il che è persino più umiliante che se non avesse risosto affatto. Cosa che per altro ha fatto poco dopo quando gli scrivo “forse hai sbagliato destinatario”. E neppure si prende la briga di spendere 10 cent per dire “vammoriammazzato!”.
A questo punto entra in gioco un protocollo mutuato dal mio amico Meloni che quindi si è preso l’onore di registrarlo a suo nome come “protocollo Meloni”. Questo è un servizio che offre assistenza 24/7. Chiamandolo si sente la voce di una signorina che illustra i vari benefici che consistono nell’annullamento del numero dalla rubrica, dei messaggi inviati, quelli in entrata e ogni forma possibile di reperimento successivo del numero. Con un piccolo supplemento è possibile aggiungere una lamia evocata da una gitana che lo perseguiterà per i successivi 8 mesi. Ed è questo quello che ho fatto.
La pratica è stata archiviata e registrata nel file “cazzari”, il più voluminoso di tutti insieme all’altro complementare chiamato “arrizzacazzi”.
Il fatto è che tanto questo lo ribeccherò prima o poi ma l’esperienza di cui parlavo all’inizio mi ha anche insegnato che queste persone hanno la faccia come il culo e farlo notare non fa altro che farti passare per rosicone e isterico quindi tanto vale sorridergli, salutarlo e dissimulare sportività quando invece vorresti appenderlo al soffitto per i malleoli e prenderlo a bastonate nei reni.

venerdì 26 agosto 2011

26 agosto: Alessandro Santo, subito!
























ALESSANDRO: dal greco "Alexein": proteggere e "Andros": uomo, quindi "protettore di uomini" ma come si sa il greco antico ha 100 significati per ogni parola e tra quelli del verbo “alexein” preferisco l’accezione “tormentatore” .


Numero portafortuna: 3 (meglio se alti, belli e muscolosi, 2 biondi e uno moro)

Colore: verde (o meglio al verde)

Pietra: smeraldo (ma anche rubini e diamanti purché donati con il cuore)

Metallo: oro (perfetto per incastonare le suddette pietre).

Il nome greco è certamente di derivazione asiatica, forse frigia o forse di origine aliena e diffusa quando atterrarono per costruire le piramidi, insegnarci la medicina e togliersi dalle palle la Santanché mollandola sul nostro pianeta.
E' diffuso in tutta Italia, mentre, nella forma abbreviata Lisandro, è un nome tipicamente toscano ma trovatemi qualcuno che porti questo nome da bischero e gli offriamo tutti da bere.

Il più famoso personaggio dell'antichità portatore di questo nome è Alessandro Magno re di Macedonia. Nell’era moderna si segnalano due padri della letteratura italiana: Alessandro Manzoni e il ben più noto Alessandro Michetti.
Assunto nel mondo latino, ebbe grande diffusione nel Rinascimento, sostenuto anche dal culto di ben quaranta santi riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa quasi tutti martiri motivo per il quale i portatori del nome passano la maggior parte della loro vita grattandosi abbondantemente.
Tra questi si ricordano s. Alessandro, patrono di Bergamo, onorato come protettore dei carbonai ed è per questo che insieme al patrono dei minatori, è tra i più bestemmiati della storia.

Otto papi, tra cui Alessandro VI Borgia, famoso per le sue dissolutezza e per il suo nepotismo, tre re di Scozia, tre imperatori di Russia, insomma tutta gente che stava bene.

Assai diffusi sono i diminutivi Sandro e Sandrino o, come nel mio caso, Pezzo di merda.
L'onomastico si festeggia anche il 27 marzo, il 3 maggio e il 6 giugno quindi non crediate di cavarvela facendomi gli auguri soltanto oggi.

Temperamento da lottatore (soprattutto nei primi giorni di saldi), una mente brillante (anzi diabolica), amante appassionato (peccato che agli altri non interessi), un ardente amore per l'avventura (soprattutto quando si lancia con sprezzo del pericolo dal letto al divano e dal divano alla poltrona) caratterizzano questo indomito sognatore di gloria e successo. Generosità (mani bucate), orgoglio (presunzione), pazienza (inesistente) rendono imprevedibile (nevrastenico) i portatori di questo nome ed è per questo che preferisco farmi chiamare Michetti che almeno quelli, come dice Mulino Bianco, sono buoni come il pane.

giovedì 25 agosto 2011

IS THIS THE REAL TIME OR JUST A FANTASY?













Sabato scorso ero con un gruppo di amici al mare.
Le uniche preoccupazioni erano cadenzare le ore con puntate al bar e sincronizzare la posizione dei lettini in funzione dell’inclinazione del sole.
Nell’indolenza del momento la sola cosa che ha eccitato la nostra attenzione, ben più dei pacchi portati con sportività dai ragazzi che giocavano a pallavolo proprio davanti ai nostri occhi, è stato l’aver nominato “Ma come ti vesti?”, uno dei programmi di punta del canale Real Time. Da lì è stato tutto uno snocciolare del palinsesto della rete che, visibile ora anche su digitale terrestre, ha allargato a dismisura il proprio pubblico e il cui zolloso duro, come qualcuno potrebbe intuitivamente immaginare dalla reazione esagitata dei miei amici, non è composto sicuramente dalle giovani leve del FUAN.
Mentre si parlava di “Case da incubo” (2 maniache compulsive della pulizia dalle sembianze di Barbamamma e Barbabella girano il Regno Unito andando a ripulire case che sembrano la discarica di Napoli), “Paint Your Life” (programma sul “fai da te e fallo male” più vicino a un programma di reinserimento per detenuti che a un corso per borghesi annoiate) e tutti gli altri programmi trasmessi ho iniziato a considerare come Real Time sta ridefinendo il concetto di televisione di servizio. Raccogliendo il testimone della RAI, cauto ormai da decenni, che vedeva come missione della rete televisiva pubblica la divulgazione della cultura, Real Time propone una visione moderna e pratica di quel che potremmo definire una pop utilities.
A metà strada tra una tele laurea del progetto Nettuno e la Scuola Radio Elettra, il canale ha una programmazione che cerca di condividere uno scibile che abbraccia i consigli di medio-alta moda ai segreti sull’economia domestiche che avrebbe potuto darci il mitico calendario di Frate Indovino.
Insomma sia che si tratti di approntare una cena per 12 con una crosta di grana, 3 uova e mezzo litro di latte ormai cagliato (prego vedere e registrare ogni puntata di “In cucina con Ale” Borghese, figlio della criogenizzata Barbara Bouchet) o disporre la tavola per l’arrivo di sconosciuti rompipalle che passano con il guanto bianco sui mobili e controllano che tu tenga a tavola i gomiti tanto stretti al busto da bloccarti la circolazione sanguinea delle braccia (l’ormai pluristagionato “Cortesie per gli ospiti”), Real Time è il perfetto sostituto satellitare alle ore di economia domestiche che si tenevano fino a 30 anni fa nelle scuole della Repubblica. A tutto questo va aggiunta anche l’alta aspirazione ecologica (e per questo modernissima) del canale che adattandosi al momento di recessione propone programmi dove il bricolage da riciclo (lo già stracitato “Paint your life”) potrebbe diventare spunto per il ritorno a una economia del baratto.
Spero però che presto i dirigenti della rete si rendano conto che manca ancora qualcosa alla quadratura del cerchio e che si decidano a completare l’opera con un programma finalizzato alla ricerca, alla seduzione e al conseguente impalmamento di un fidanzato benché mi renda conto che oggi come oggi l’operazione sia tanto difficile da dover poi far cambiare l’intestazione del canale da “Real” in “Fantasy”.

mercoledì 24 agosto 2011

COMPAGNI DI SCUOLA












Sto vedendo “Immaturi” un film su un gruppo di quasi quarantenni che si ritrovano per un errore a rivivere i tempi della maturità e ritrovano così i vecchi compagni di scuola. Sulla pellicola stendiamo un velo pietoso. Nel suo genere preferisco piuttosto ricordare il perfetto “Compagni di scuola” di Verdone. Ma mosso da una brezza emotiva ho provato a cercare i mie compagni su Facebook.
A memoria so poche cose: le provincia della Toscana (un giorno vi dirò anche il perché), la declinazione dei verbi irregolari greci (altra storia, in un altro momento) e i nomi dei miei compagni di scuola, elencati come da registro dalla B di Bosco alla V di Ventoruzzo. Si fosse trattato di ricercare i superstiti alla battaglia di Curtatone forse avrei avuto sorte migliore.
Mi sarebbe piaciuto sapere che fine hanno fatto, organizzare una cena e confrontarci su quanto i nostri sogni (o più probabilmente i nostri incubi) siano diventati realtà.
E invece: nessuno, tranne la mia amica Elena (che taggo nel post).
Così mi sono lasciato scuotere per un po’ da un moto di nostalgia. A 18 anni del resto è un sentimento che non puoi provare.
E’ ironico come “per sempre” sia l’avverbio di modo più usato da chi, come gli adolescenti, ha così poca esperienza del tempo che passa. Pensavo infatti saremmo rimasti vicini “per sempre” ma solo ora conosco bene il valore del termine e riconosco quanto sia difficile pronunciarlo con consapevolezza. Allora credi che tutto, compreso l’amore ancora così vago, durerà per tutta la vita e l’abbandono, la mancanza sono stati d’animo inconsistenti.
A 18 anni credi che i legami siano forti, assoluti e incorruttibili eppure li ho persi, come un albero le foglie al vento dell’autunno.

giovedì 11 agosto 2011

ERA LA NOTTE DI SAN LORENZO


















Era la notte di san Lorenzo del 1979.
Erano ancora gli anni in cui Roma per tutto il mese di agosto si svuotava lasciando dietro di se uno scenario apocalittico da estinzione della razza umana.
Solitamente anche noi abbandonavamo la città per spostarci al mare in Abruzzo ma quell’anno non ci muovemmo.
All'imbrunire io, mamma e papà ci spostammo sul terrazzino un metro per un metro del nostro appartamento. Le dimensioni già ridotte erano rese ancora più risicate dalla passione di mia madre per la floricultura. Ovunque vasi di piante, alcune si inerpicavano lungo il reticolato di canne che mamma aveva appoggiato a una parete. In mezzo a quella vegetazione c’era spazio solo per una poltroncina di vimini gialla.
Eravamo tutti lì fuori sperando di avvistare qualche stella cadente.
Io indossavo una canottierina bianca e mutande che componevano la tenuta estiva. Mia madre invece aveva un camicione di lino molto largo dal quale affiorava fiero un pancione smisurato. Era per questo che quell’estate non ci muovemmo: aspettavamo tutti Stefano che di lì a pochi giorni sarebbe venuto al mondo.
Mia madre troneggiava sulla poltrona e io seduto tra le sue gambe mentre mio padre, appoggiato allo stipite del balconcino, fumava una sigaretta quel tanto distante da non farle arrivare il fumo. Tutti a naso in su, verso il cielo, immersi in un silenzio irreale per quel quartiere così popolare e solitamente tanto chiassoso.
Non so dire se quella sera vedemmo delle stelle cadenti. Almeno io non me ne ricordo. Non ricordo neppure quali desideri esprimemmo ma considerando l’arrivo di mio fratello era immaginabile fossero tutti dedicati a lui.
Il termine scadeva il 15 di quel mese ma Stefano nacque il 14 grazie a un cesareo che mi regalò un fratello con un giorno d’anticipo rispetto al giorno previsto. Il ginecologo non voleva rinunciare al pranzo di ferragosto e così per non perdersi il pollo con i peperoni, preferì dare un taglio alla faccenda.

lunedì 8 agosto 2011

IL GAY VILLAGE E' ANCORA UN GAY VILLAGE?


















Sento amici e conoscenti lamentarsi sempre più di come il Gay Village sia ormai diventato il set di Tamarreide e di quanto moltissimi etero ospiti non si facciano più nessuno scrupolo ad uscirsene con frasi omofobe e atteggiamenti ostili. Io sono andato solo 2 volte e credo bastino perché l’atmosfera che ho respirato non era più quella degli scorsi anni e in un climax decrescente dal 2001 a oggi la qualità del pubblico è andato progressivamente deteriorandosi fino a farmi sentire furi luogo in casa mia.
La situazione è paradossale.
Il concetto bellissimo e che tutti accogliamo della condivisione trasversale del pubblico va bene ma sono sempre di più i gay delusi che hanno giurato di non mettere più piede al “qualcosa” Village.
Sì perché di gay quel posto ormai ha ben poco.
Ora molti diranno che siamo noi a essere intolleranti, con la puzza sotto il naso e ghettizzanti. Ma è mai possibile che appena uno si lamenta del fatto che una coatta gli si avvicini e gli dica: “ma è vero che tu lo prendi al culo?” (accaduto realmente ad un amico) o che una coppia di mie amiche lesbiche abbiano giurato “mai più” a seguito di pesanti apprezzamenti di un branco di burini si venga poi accusati di volere la segregazione dagli etero?
Credo che tutti noi che ci lamentiamo vorremmo solo un ambiente che ci somigli, dove essere liberi di essere quel che siamo senza temere che un coatto ci gridi “a froci!”. Un posto che sia un luogo rassicurante soprattutto per quelle persone fragili che qui possano essere quel che sono con la serenità che il mondo esterno non sempre garantisce.
Il Gay Village, è vero, è un evento a scopo di lucro dove la politica potrebbe anche non entrare ma un minimo di coerenza e rigore etico, quanto meno nel rispetto di quel “gay” che identifica la serata andrebbe garantito.
Stamattina poi, per curiosità, sono andato a vedere sulla pagina FaceBook del Village se ci fossero commenti di critica su quanto sta accadendo. Nulla. Solo pubblicazioni di status entusiastici (del gestore) sulle mirabili serata passate. Alcuni dicono che questi vengono prontamente cancellati o forse dovremmo dire censurati. Se così fosse sarebbe molto grave. Fatto sta comunque che io non ci vado, tutti i miei amici non ci vanno (e dire che ne ho davvero parecchi) e tutti per lo stesso motivo. Mi auguro che gli organizzatori prendano atto delle lamentele quanto meno per ridefinire il posizionamento della serata altrimenti farebbero tanto presto a cambiare il nome da Gay Village in Tammarro Night.
E voi che ci siete andati che impressione avete avuto?