mercoledì 30 dicembre 2009

BUON 2009.

Un licenziamento, un libro pubblicato, uno sfratto, un trasloco e una casa nuova. Notti insonni a chiedermi se sarei mai riuscito a trovare un altro lavoro. L’ansia, la paura e ancor più grossa quella di cadere nel baratro. E poi, la gratitudine e il vigore ritrovato per un lavoro ormai quasi insperato.
Incontri sorprendenti, pochissimi screzi, alcune incomprensioni e nessuna delusione.
Persone che diventano amici con la grazia che solo la casualità sa regalare.
Qualche granchio preso e buone occasioni sciupate perché l’esperienza di anni non mi renderà mai tanto saggio da dare ascolto al cervello invece che alle viscere.
Dopo anni di sciocche riluttanze, la conferma di una buona salute e la certezza forte e assoluta dell'amore degli amici e dei familiari.
il 2009 mi ha messo alla prova rendendomi meno Insy e un po’ più Ale.
E io, gliene sono grato.

martedì 29 dicembre 2009

CAPODANNO A MUCCA. TOCCA BATTERE PER BATTUAGE!










Il tema della festa di capodanno di Muccassassina è Battuage e per questo, molti di quanti vorranno comunque andarci, è proprio questo quello che dovranno fare: andare a battere il marciapiede.
Il biglietto infatti ha l’ingiustificato costo di 50 euro (se acquistato la sera stessa o in prevendita se si desidera accedere al privé).
Sicuramente l’ISTAT non ha messo le discoteche nel paniere dei consumi su cui fare le medie nazionali né alcuna ricerca ha appurato che passare il capodanno a Mucca è la cura che aspettavamo per debellare ogni tipo di cancro, ma il caso specifico solleva ben altre questioni.
Prima di tutte, l’associazione che l’organizza è il Mario Mieli e non il Billionaire di Briatore. Il circolo infatti non è una società con fini di lucro ma un benemerita istituzione culturale (ripeto culturale) che negli anni ha fatto moltissimo per la comunità gay e che, proprio per sovvenzionare le sue attività, molti, molti anni fa inventò una serata danzereccia chiamata appunto Muccassassina. Ora senza farne l’esegesi, la politica fondante di questa festa era quella di creare un evento che non fosse la solita discoteca ma piuttosto un aggregatore per gli omosessuali ed i loro amici etero, senza grosse pretese, divertente e sempre comunque attenta a non far pagare ingressi troppo esosi che comunque diventavano poi il carburante che permetteva al circolo di profondere servizi altrimenti non elargiti dalle istituzioni.
Mutata mutandis.
I tempi cambiano e sarebbe patetico non assecondarli ma lo spirito dovrebbe, a mio avviso, restare lo stesso altrimenti si abdica a dinamiche che snaturano l’essenza stessa della festa rendendola uguale a centinai di altre, molte delle quali, dal punto di vista squisitamente organizzativo, di gran lunga migliori.
Premetto che sono d’accordo che i costi del capodanno lievitino rispetto al prezzo solito del biglietto di 15 euro(dai baristi al service, tutti chiedono, giustamente di più per lavorare il 31 sera) ma qui si parla di oltre il triplo!
Il costo oltretutto stride con il fatto che la location è sempre la stessa di tutti i venerdì sera e i panettoni offerti allo scoccare della mezzanotte o la presenza di DJ che arrivino dal culo di Giove, francamente, non sono elementi così eccezionali da giustificare tale costo.
Sarà la mia malizia, ma a me sembra davvero l’approfittarsi spregiudicatamente di un evento dove la gente, e tanta, comunque andrà.
Non solo. A questo andrà aggiunto il solito travaso di etero, molti dei quali tutt’altro che friendly se non addirittura omofobi, che verranno selezionati con lo stesso rigido criterio con cui si decide chi entra e chi no il primo giorno di saldi alla UPIM costringendoci tutti a ballare il passo della sardina.
È vero, questi soldi verranno (in parte) impiegati per mantenere in vita il Mieli ma credo che 10 euro di meno avrebbe fatto contento il circolo e ancora di più il pubblico e se questo fosse costato la rinuncia di un paio di go go boy oleati come il pistone di una Lamborghini o la scelta di dj meno famosi, ben venga, tanto, non diciamoci fregnaccia, il 98% di noi va lì per divertirsi con gli amici, ubriacarsi e rimorchiare e anche se mettessero Le tagliatelle di nonna Pina remixata dal coro dell’Antoniano di Bologna, la gente ballerebbe lo stesso e si divertirebbe comunque.

PS: chiunque iniziasse a muovere critiche quali: “allora tu che ci vai a fare”, rispondo in anticipo che credo andrò comunque per seguire gli amici e che il fatto che ci vada non esclude che possa portare delle critiche o che possa sollevare un punto di riflessione da condividere.

venerdì 25 dicembre 2009

UN IMMAGINE VALE PIù DI MILLE AUGURI


Dopo questa foto augurale capite perché come regalo per natale ho chiesto più dignità.
Buone feste a tutti.
INSY/ALE

martedì 22 dicembre 2009

AMO IL NATALE PERO'...
















Io venero il natale. Fosse per me sostituirei l’inno di Mameli con “Ol ai uont for crismas is iu” cantata da Maraia Cerrei e farei stampare il faccione beota di Babbo Natale sulle banconote da 10 euro.
Mi piace quell’irresistibile atmosfera d’aspettativa che avvolge in un manto di nevrotica condivisione il periodo delle vacanze natalizie.
Tutti quei giorni di ferie da passare inerti sul divano, guardando per la 23esia volta “Una poltrona per due” o “Il piccolo lord”, incapaci di cambiare canale sedati come siamo da un’overdose calorica da cenone che obnubila anche il più forte desiderio di vedere qualcos’altro.
Giocare con amici e parenti fino alle 5 del mattino rischiando rotture familiari e risse da salun per l’esasperazione di aver perso intere tredicesime a tombola e, per questo, urlando bestemmie tali da far chiedere al neonato bambino Gesù asilo politico nel Valalla di Odino.
Insomma adoro il Natale ma non tutto quello che accade in queste magiche settimane è avvolto dal cellofan sbrilluccicante di un cesto “Gran Natale” di Castroni (ndr, per chi vive fuori dal GRA: trattasi di una gastronomia romana dove le lenticchie le vendono ad once pesandole su bilancini più diffusamente adoperati da i migliori spacciatori di cocaina di Maiemi).
Del Santo Natale infatti ci sono cose che apprezzo poco o detesto del tutto come, tanto per cominciare, il fatto di dover incartare i regali. Gli orli mi vengono sempre imprecisi, non riesco mai a sincronizzare i denti per tagliare lo scoch con le dita per tenere i lembi della carta. Quindi, o Dio quindi si decide a darci almeno un altro paio di mani per il compleanno del suo prediletto o ci pensasse lui a confezionare i regali. Ad ogni modo, almeno a me, il risultato finale esce sempre in prefetto stile Bocelli ma, nonostante questo, mi da fastidio veder squarciata quella bella carta argentata dopo tutto l’impegno profuso.
I bigliettini augurali sono un’altra cosa che detesto del Natale. Siccome lavoro in pubblicità, si aspettano sempre delle frasi ad effetto per cui se non ci sono almeno 5 tripli sensi e 12 battute in 4 righe la gente ti guarda come se li avessi scritto “vaffanculo”.
Tra le cose che non sopporto, questa, almeno quest’anno, l’ho scampata: i parenti di mia zia. Siccome mia madre ha litigato con la sorella e mio zio è disperso non si sa dove, faremo la vigilia a casa di mia madre solo io, mia madre e mio fratello, scampando così il solito questionario dei suoceri di ma zia che a 93 anni e benché con un piede nella fossa, invece di raccomandarsi l’anima a l Signore devono rompere la mia chiedendomi ancora perché non sia sposato, per quale motivo abbia lasciato la polizia e quanto la mia stempiatura gli ricordi tanto mio nonno.
Sempre di questo periodo, non sopporto le foto sulle riviste dei ricchi che festeggiano a Cortina. Spero tanto che il colbacco della Marzotto abbia un attacco di alopecia universale, che a Lapo venga un attacco fulminante di dissenteria mentre sta scendendo per una pista nera e che tutto il terzo stato recuperi i forconi dei loro avi e vada a dare fuoco alle ville di questi 4 magnaccia senza pudore.
Forse però la cosa che odio maggiormente è il senso di colpa il giorno dopo il cenone, solitamente così composto: carciofi, broccoli e pastella fritti, per aprire in leggerezza. Spaghetti ai frutti di mare. Pesce azzurro fritto, ovviamente. Verdura, saltata, (e come ti sbagli). Torrone, panettone, pandoro: e non si parla certo di una fetta ma di tutto il cucuzzaro. Menù che può certo subire piccoli cambiamenti da un anno all’altro ma la sostanza adiposa resta al stessa.
Detesto soprattutto il fatto che, a seguito di quest’orgia culinaria, il 27 mi accorga che mancano appena 4 giorni a capodanno (non che sia una novità, ma ho la memoria breve più corta di una “scossarella” dell’Eredità di Amadeus) quindi tento una disperata virata verso il tunnel della santa anoressia che mi porterà a mangiare ore di tapirulant condite con lezioni su lezioni di step nell’illusione di perdere quei 5 o 6 chili prima del 31 dicembre, giorno per il quale pretenderei di avere la siluet di un olimpionico di nuoto mentre, al contrario, sembrerò Selly, l’otaria super star dello spettacolo acquatico di Gardaland.
In

lunedì 21 dicembre 2009

AMARA SORPRESA















Il venerdì era il giorno dedicato al merluzzetto. E io iniziavo a sentirmi male già dal mercoledì sera. Come non bastasse, la discepola del marchese De Sade, meglio nota come mia madre, poco prima di cena si divertiva illudendomi con una domanda che, secondo il suo particolarissimo senso dell'umorismo, doveva essere assai divertente: “indovina che ti ho preparato stasera?”.
Io sapevo bene cosa mi aspettava ma, per un secondo, mi confortavo nell’illusione di una risposta che fosse diversa da: “il merluzzetto!”. E invece niente, lei, perfida, si affrettava a scoperchiare la pentola mostrandomi l’esangue carcassa galleggiante di quell’inutile pesce.
Al solo vederlo, mi si serravano le mascelle e piuttosto avrei preferito cenare con una zuppa di segatura immersa nell’olio per motori. Era quindi per questa mia reazione che occorreva sempre il supporto di mio padre: lui infatti, maledetto complice schiavo del potere, con una mano mi teneva bloccate le braccia dietro la schiena (faceva il poliziotto, dunque non doveva far altro che applicare le tecniche d’arresto al figlio di 6 anni) e con l’altra mi comprimeva le guance mentre la mia aguzzina faceva leva nella mia bocca brandendo un cucchiaio colmo di quel pesciaccio come fosse un piede di porco. Visto dal di fuori la scena poteva essere tranquillamente scambiata per un interrogatorio negli spogliatoi adibiti a sala delle torture di un qualsiasi stadio non meglio collocato in una misconosciuta repubblica dell'america del sud. Il martirio poteva protrarsi ben oltre la mezz’ora e questo dipendeva quasi esclusivamente dalla mia scelta di arrendermi al disgusto del sapore ferroso del pesce piuttosto che contrastare i miei con una riottosità destinata comunque ad essere soverchiata.
Con gli anni ho cambiato i gusti, ampliandoli. Chi sta a dieta sa benissimo che la perdita di peso è un obbiettivo raggiungibile più facilmente se si sostituisce la carbonara con del pesce bollito e grazie all’applicazione di sapienti tecniche di visualizzazione, ho iniziato a mangiare merluzzo lesso che la mia mente si imponeva però di interpretare come un fritto misto alla romana.
Da lì in poi, sempre grazie allo stesso espediente, ho superato le mie difficoltà anche con i broccoli, la cicoria, i minestroni e tutta la verdura in generale (non credo esista un solo bambino al mondo che non la detesti) fino a vantami oggi di essere il vero onnivoro, pronto a lanciarsi nella cucina di tutto ciò che nuota, vola o cammina a 4 zampe, purché non sia un tavolino.
Cavallette fritte, bacarozzi arrosto e persino piatti cinesi a base di carne, non mi spaventano più.
Così credevo almeno fino a sabato scorso quando un amico fiorentino mi fa assaggiare una gloria culinaria della sua città: il lampredotto.
A vederlo sembra una sorta di Kebab. L’odore è buono e tutti gli altri ospiti ne mangiano con gusto. Inizio però a sentire strane battute, a dire la verità piuttosto volgari, su questo piatto. Inizio a insospettirmi e chiedo. “Sono delle parti molli del bovino”, mi risponde un mio amico, e giù a cucchiaiate. Sì, va bene, allora è come la pajata romana. Assimilarlo a qualcosa che già conosco mi da fiducia e ne assaggio un piccolo boccone, seppure con una certa circospezione.
Il sapore però è strano, non mi ricorda nulla che abbia mai provato prima e forse anche per questo, lo lascio quasi intatto.
Ieri rincontro per un aperitivo il mio amico fiorentino. “Ma lo sai che si sono finiti tutto il lampredotto l’altra sera”, mi fa quasi stupito. Mentre sorseggio un Negroni, che sto bevendo solo per contrastare il freddo preso per raggiungere il bar, non certo perché sono ad un passo dalla dipendenza, gli chiedo: “Io invece ho lasciato la mia porzione. Non so, non mi convinceva e poi a naso mi dava un senso di repulsione”.
“Ti credo”, e ride.
“Perché?”, e tracanno un altro sorso di liquido antigelo.
“Ma lo sai con cosa è fatto?”.
La sua risposta è attutita dalla confusione della sala ma tutti si girano quando sentono il mio urlo di disgusto e disperazione. Le papille gustative mi si accartocciano e le budella fanno un doppio scorsoio e pretenderanno da oggi in poi un certificato di garanzia per tutto quello che trangugerò.
“Ma stai scherzando?”, gli chiedo con un tono di sgomento avvolto da un velo di supplica.
“No, no. È la fica della mucca”, continua serafico. “Pensa che a Firenze ci sono un sacco di chioschi che vendono i panini con il lampredotto”. Subito mi viene in mentre il mostro di Firenze e molte cose mi si chiariscono. E soprattutto mi si chiarisce la mia istintiva riluttanza a mangiarne.
Partorito con un cesareo, mai toccata una donna più in basso del collo, mai vista una fica vera in diretta, figurati se potevo addirittura mangiarmene una.

martedì 15 dicembre 2009

TIRA UNA BRUTTA ARIA.
















Tira davvero un’ariaccia e oltre a volare statuette iniziano, come prevedibile, anche a volare delle emerite stronzate. La più pericolosa è la quella di Maroni che, cito da Repubblica, dichiara: "Valuteremo soluzioni idonee da presentare al prossimo consiglio dei ministri" per consentire "l'oscuramento dei siti che diffondono messaggi di vera e propria istigazione a delinquere".
Non occorre essere un genio della politica per sentire odore di censura, pratica storicamente parziale, imprecisa ed arbitraria.
Giovedì quindi il governo potrebbe varare per decreto una legge volta a monitorare e, eventualmente, sanzionare quelli che spesso sono poco più che i commenti da pausa caffè. Sperando che questa idiozia non veda luce allo stesso tempo mi chiedo:
1) chi dovrebbe valutare la reale pericolosità di una nota o uno status su un profilo, su un blog o un forum?
2) come si distingue una provocazione o una battuta da una reale istigazione a delinquere?
3) Se io mando a “morì ammazzato” un amico sul mio blog, ne rischio quindi l’oscuramento?
4) Quante persone (competenti in materia) dovrebbero essere impiegate per monitorare milioni di siti affinché la rete diventi pura come la pipì di un neonato? Quanto tempo rubato a faccende più serie? E, soprattutto, quanto denaro?
5) Perché piuttosto Maroni non pensa a ai precari, a Scampia, ai soldi che si stanno rubando per la ricostruzione de L’aquila o, più semplicemente, ai regali da fare ai parenti per Natale?

lunedì 14 dicembre 2009

IL PRESIDENTE, LA STATUETTA E LA VIA PER LA BEATIFICAZIONE.


Tutto sta andando esattamente come deve andare affinché si consolidi il consenso di Berlusconi. La sua ascesa a santo martire è ormai assicurata. Prima bersagliato dalla magistratura poi addirittura aggredito fisicamente cosa che, seppur ancora vivo, gli permette d’esser vagamente paragonato a Chennedi, Gandi e Gesù Cristo.
Se fossimo dei fanatici del complotto, potremmo dire che abbia addirittura ordito lui quest’aggressione, proprio ora, proprio nel momento in cui il suo formidabile consenso iniziava a vacillare. Aiutarlo in questo momento sarebbe stato un gesto davvero fole per chi, come moltissimi di noi, vorrebbe vedere SB ritirarsi a zappare l’orto della villa di Arcore. E folle infatti è stato chi ha commesso il gesto servendo al nostro presidente la splendida occasione di cavalcare di nuovo l’onda della benevolenza popolare e di potersi appigliare all’imbarbarimento dei tono dell’agone politico per puntare i riflettori sulla vicenda personale lasciando invece all’ombra dell’opinione pubblica i reali problemi del paese. Per questo io non gioisco di quanto accaduto, semmai sono seriamente preoccupato della strumentalizzazione che se ne farà e che andrà tutto a beneficio di SB. Oltretutto, la condizione psichica dell’aggressore non permette certo di trasformarlo in un Masaniello che si fa eroe di un crescente disagio popolare(potendo,vorrei ben altri personaggi a rappresentanza del mio disaccordo nei confronti del governo) e il compiacimento di quanti godono dell’accaduto, francamente, mi sembra il godimento piccolo piccolo dei paesani che vedono inciampare a terra il baronetto del villaggio (in 15 minuti 6000 feisbucchiani si sono fatti fan dell'aggressore, e sai che vanto!).
Personalmente preferirei veder portare avanti le ragioni dell’opposizione con la forza dello scontro dialettico piuttosto che con il lancio di una statuetta proprio perché, noi insoddisfatti della politica berlusconiana, possiamo aspirare a qualcosa di più alto che godere delle foto del volto insanguinato del presidente-martire.

venerdì 11 dicembre 2009

NON CI SONO PIU' I BARBONI DI UNA VOLTA.















Sto rientrando in ufficio dopo una pausa caffè. Sulla strada un barbone è puntellato con la faccia contro il muro.
Sembra stia dormendo se non fosse per il fatto che è in piedi e sicuramente non è un cavallo.
Fosse per me l’avrei ignorato del tutto ma il mio collega che è nato in provincia con i sani valori altruistici del paese, gli si accosta e gli chiede: “tutto bene?”.
Il tipo sembra svegliarsi di soprassalto e inizia a biascicare un flusso incomprensibile di parole aggravato dal lancio di lapilli di saliva da una bocca tumefatta. Più o meno il succo del discorso è che non ha una lira e ha fame.
Mi rovisto nelle tasche ravvisando in questa un’occasione per guadagnare almeno 15 punti paradiso. Oltre allo scontrino del bar, recupero il resto di 3 euro e 50 e glieli porgo.
“E che ci faccio io con questi?”, risponde il barbone.
Ma vaffanculo, va! Mi rimetto i soldi in tasca e me ne vado.

mercoledì 9 dicembre 2009

IL GIORNO DELL'ALBERO

















Stasera tocca all’albero. Lo so che tradizione vorrebbe lo si facesse l’otto dicembre ma ieri mi sono dovuto scontrare con il montaggio di 100 chili di armadio assemblato praticamente ancora ubriaco dalla sera precedente ed è già un miracolo che il risultato finale non sia stata una sedia a dondolo a tre ante.
Il mio coinquilino Last Dei da quando ha iniziato a lavorare davvero, torna sempre troppo stanco, l’altro, Il Turco, adduce motivazioni religiose alla sua riluttanza nell’aiutarmi a mettere palle sui rami ma giuro che se lo becco anche solo con una fetta di panettone in bocca scateno una guerra santa a colpi di torrone caramellato.
Evito di chiederlo agli amici perché lo so che lo farebbero contro voglia e minacciarli sotto Natale con uno dei video che ho girato di nascosto mentre, ubriachi, cantano e ballano in plaibec Crilù di Eter Parisi, non mi sembra molto nello spirito della festività. In più, non posso chiedere ad altri una cosa che non farei mai io per primo dato che montare è una cosa che mi scoccia a morte dai tempi in cui da bambino mi toccava farlo con i regali dell’ovetto Chinder.
Quindi stasera dovrò tirare fuori da solo un abete sintetico alto come uno degli Ol Blec della nuova zelanda e addobbarlo con la sobrietà della compagnia di danza folcloristica di pechino dato che ogni singolo pezzo, dal puntale alle luminarie, è stato rigorosamente realizzato dalle sapienti manine di minorenni dagli occhi a mandorla, utilizzando materiali che vanno dall’uranio impoverito alle vernici cancerogene. Gli addobbi che però più mi preoccupano restano le lucine. Ricordate l‘anno scorso quella cosa dell’acceleratore di particelle in svizzera che dicevano che, se fosse andato male l’esperimento, avrebbe causato un buco nero all’altezza di Chiasso? Ecco, non so perché ma quando mi trovo ad attaccarne la spina temo sempre di causare una sciagura di quel genere. Quindi se stasera, verso le 22, precipiterete in un medioevo teconologico dovuto all’esplosione di tutte le centrali elettriche italiane, saprete di chi è la colpa.

domenica 6 dicembre 2009

giovedì 3 dicembre 2009

XF3, ADDIO















Il dio delle Yavanna oggi mi ha già fatto scontare la colpa di non aver visto il programma fino alla fine ma io ieri sera non ce l’ho fatta e mi sono addormentato alle 11. Infatti stamattina mi sono svegliato e passandomi un cottonfioc nelle orecchie mi sono accorto che erano diventate a punta e al posto del motorino ho trovato ad aspettarmi il Superfantadrago.
Comunque, come da pronostico, ha vinto Marco(nonostante una canzone assegnatagli da Morgan e scritta da lui medesimo orecchiabile come la recita della formula estesa della realitività di Ainstain e dalla quale si capisce perché con i Bluvertigo vendesse numero di copie: 5, a dire tanto)concludendo così la terza edizione di X Factor che passerà alla storia per essere il primo narcotico somministrabile senza assistenza medica.
La maratona televisiva ha più ospiti che la premiazione dei telegatto e la prima a scendere in campo è la Clerici: “Francesco, te lo devo proprio dire, sei davvero un bravo presentatore!” Va bene che c’è in giro gente come Giletti e la D’urso ma bravo a uno che a 25 anni usa termini come “ai posteri l’ardua sentenza” che era antico già ai tempi di Nunzio Filogamo non può che farmi pensare che l'ultima ribollita preparata da anna moroni alla Prova del cuoco è stata insaporita con foglie di cannabis.
Gli inviati nelle tre città dei finalisti, anche quest'anno, sono tre presi a caso tra i parenti dei dirigenti rai, in particolare 2 devono essere le nipotine di qualche capostruttura.
il primo cantante è Giuliano, brav, per carità, ma c'ha una facci appesa che se lo vede un gatto nero si gratta i coglioni, in più, per dare una sferzata di brio, gli assegnano Caruso. Il big abbinato è ovvimente Lucio Dalla che, insieme alla sua parrucca, formano il trio maschile di risposta alle yavanna.
A proposito di parrucca, anche quella della Mori è abbastanza orripilante ma inutile criticarla troppo, il macello sta in quello che c’è sotto.
Le yavanna cantano "Come mai" e ci regalano un quadretto fantasi degno de Il signore degli anelli. Loro sono tre elfi e c'è persino Max "il gollum" Pezzali.
Di Marco posso solo dire che mi dicono in continuazione che gli somiglio il che può anche andarmi bene visto che su Eriteig.com, l’ultima vola che ho fatto il giochino delle somiglianze, è uscito che ero per il 78% identico ad Angela Lansbury.
Tra i vari oscpiti c'è stato persino 50cent, costretto ad un rep estemporaneo con Facchinetti. Era evidente avrebbe preferito trovarsi in una sparatoria nel ghetto di los angeles piuttosto che fare il coglione con il principe dei suddetti ma, preventivamente, il suo manger aveva fatto stipulare un accordo in cui si vietava la diffusione in america di qualsiasi spezzone tratto dal questo programma.
Morgan ormai è in fase cialtrona-ascetica e il suo ego è talmente smisurato che la prossima estate inizierà a camminare sulle acque di milano marittima e alla comunione della figlia moltiplicherà panbriosc e pasticcini.
E' la serata anche per Tommasini che sta preparando un miusicol con gli scarti dei concorrenti di XF. La sceneggiatura, che io per il teatro chiamerei però:copione, l'ha scritta lui, quindi ora ve lo dico, io mo mi metto a riadattare l'Ulisse di Giois per farne una commedia recitata da cani addestrati e macachi albini.
Le prime ad essere fatte fuori sono le Yavanna ma se la ridono perché tanto da quando Enia ha abbandonato l'arpa per mettersi a fare la tenutaria del bordello "In fondo al bosco" in Nevada, il segmento di pubblico che crede nell'esistenza dell'unicorno, degli gnomi e del cervello nella testa di Calderoli, è tutto loro.
Altro da segnalare francamente non ce n'è stato, quindi vi saluto e buona notte.

mercoledì 2 dicembre 2009

Vaniti Fer e la fine della crisi economica.














Come tutti i mercoledì, la terza cosa che faccio al mattino è lanciarmi in edicola per comprare Vaniti Fer. Ormai ho imparato a valutare l’andamento del mercato dal numero di pagine stampate e, a giudicare dal volume del numero di questa settimana, sono evidenti i segnali di ripresa dell’economia. E non mi sbaglio. Infatti intorno a pagina 153 trovo un campioncino del profumo di Mugler: Amen. Si vede che gli investitori sono tornati all’attacco. Quindi, mi faccio a mente due conti: se compro altre 9 copie della rivista, a 5 ml di profumo a copia, con una spesa di appena 19 euro ho un profumo ching saiz e carta sufficiente per pulire i vetri fino alla fine del 2010.
Altro indicatore della fine della crisi è l’immancabile rubrica dedicata agli eventi mondani: a Marraches riapre La Mamunia che grazie ad un restauro di appena 15 milioni di euro torna ad essere uno degli hotel più lussuosi del mondo. A parte il fatto che a me sembra uno spreco spendere tanti soldi per finire in una stanza che tanto ti si riempie di sabbia, circondati da beduini in guanti bianchi e orrende candele che puzzano di paciuli ma poi dico, vi pare una notizia da pubblicare quando in questi giorni sono stati licenziati 2000 operai dalla fabbrica di Termini Imerese e il 27% dei giovani italiani sono senza lavoro?
Poco più avanti, sulla cartina dell’arco alpino, campeggiano le fotine lapidarie di, nell’ordine: Fiona Svaroschi, Marella Agnelli, Maria Sole Brivio Sforza, Martina Mondatori e Clementina Montezzemolo variamente disseminate tra Curmaier e Cortina. Per favore, qualcuno vicino alla redazione di VF può spiegargli che, va bene non essere certo Internazionale, ma articoli del genere fanno gridare alle lettrici un sonoro “sti cazzi!” più che se scoprissero che Bondi è stato beccato in una stanza d’albergo svenuto per un’overdose da Preparazione H?
Copertina ed intervista di punta questa settimana sono dedicate a Sabrina Ferilli. Ma 3 pagine, non saranno un po’ troppe? Dopo che t’ha detto “Forza Roma, forza lupi so’ finiti i tempi cupi” e che lei si fa la tinta in casa con i prodotti da supermercato, che altro deve dirti?
Settimana evidentemente dedicate alle dive. A pagina 106 un’altra intervista, stavolta alla statua di cera di Sofia Loren che per la prima volta lascia la sede londinese di Madam Tussò per girare un ficscion a Roma.
E poi lui, Roberto Bolle. Con lui ce l’ho dai tempi in cui prima confessò d’adorare ballare sulle punte (leggetelo con l’accezione più becera e pecoreccia che vi venga in mente perché è in quel modo che intendo le “punte”) per poi ritrattare dicendo che era stato mal interpretato e che lui in realtà è uno sventra fiche. Sta per uscire un libro fotografico di Brus Ueber che lo ritrai in virilissime pose degne dei ragazzi di Casa Paund quali: lui in calzamaglia con la gamba annodata intorno al braccio che sorregge la sua testa in una posa che sembra un incidente frontale tra il pensatore di Roden e Eter Parisi in Cicale ed un’altra in cui è sdraiato sul corpo di 2 ragazzi buonissimi, altro scatto che colpisce per la sua incredibile portata testosteronica.
Segnalo poco più avanti una pubblicità di un certo Marc Echò che, con mirabile originalità, usa Fabrizio Corona come testimonial. Ora, è evidente che questo stilista non sia mai stato a Roma altrimenti avrebbe saputo benissimo che il fidanzato di Belen da mesi è già padrino di MAS (ndr per gli abitanti extra GRA: il magazzino preferito dalle trans per scegliere i loro rigorosissimi abbigliamenti da lavoro) sotto il titolo: “Fabrizio Corona, il MASsimo dell’eleganza”.
A seguire noiosissimi articoli impegnati sulla desertificazione del pianeta, le razze in estinzione, l’acqua razionata e bla, bla, bla, bla…
Vi rivelo in oltre che, secondo Capitani, il segno “bucio di culo” della settimana è il leone, quindi i lettori dei restanti 11 segni, possono anche evitare di spendere questo euro e 90 investendoli in cappuccino e cornetto.
Concludo segnalando la lettera di una lettrice che da anni combatte contro l’obesità e che, con un inconsapevole senso dell’ironia, chiede consiglio a Mina che pur di poter mangiare in pace le lasagne al sugo di cinghiale della Barilla ha preferito ritirarsi dalle scene 30 anni fa.

martedì 1 dicembre 2009

MA OZPETEK NON SI VERGOGNA?




Ai miei tempi si diceva "o lo fai bene o non lo fai per niente".
Ecco lo spot ministeriale che, secondo loro, dovrebbe sensibilizzare il pubblico sul tema dell'AIDS. E nel dubbio se farlo bene o per nulla, lo hanno realizzato con i piedi. Non si sa che malattia sia, non si sa come si contragga ne come la si ostacoli. Ti invita a fare il test, che, dio non voglia, una volta che risuti positivo, non puoi far altro che contrastarne lo sviluppo con i farmaci e ti lascia con un messaggio sibillino ocme quello dell'ultima cartomante di piazza: "la sua forza finisce dove comincia la tua". Ma che vuol dire!?
E il bello è che a girarlo è stato Ozpetek. Ma un po' di senso civico e dire "cari signori del ministero, io sta porcata non la filmo!", no?
Ci dicesse l'esimio regista come gli è venuto in mente di girarlo.
Se potevamo aspettarci una comunicazione del genere da parte di questo governo catto-borghese, risulta invece piuttoso avvilente scoprire che a dargli una mano ci si metta un regista che mangia pane e froci da sempre.

1° DICEMBRE




















Quando rivelai a mia madre la mia omosessualità il suo dolore più forte non fu tanto il fatto di avere un figlio “mezzo femmina” quanto perché, soprattutto allora, sembrava inesorabile che i ghei fossero tutti destinati a contrarre il virus dell’HIV e quindi morire. Ne parlammo, la confortai e le spiegai, per quel che ne sapevo, come si contraesse il virus e, cosa più importante, come fosse possibile evitare il contagio senza per questo praticare l’astinenza.
Io, come molti altri della mia generazione, sono cresciuto con la cultura del preservativo e con il terrore dell’AIDS. Quando passò per la prima volta alla televisione lo spot dell’”alone viola” ero ancora piuttosto piccolo per capire esattamente cosa fosse l’AIDS ma abbastanza sveglio da associare quell’acronimo alla morte.
Sono passati tanti anni e moltissime persone, alcune a me molto care, oggi non ci sono più. Oggi all’AIDS, almeno a certe latitudini (e purtroppo solo a quelle), si può sopravvivere sebbene questo non significhi che sia una vita facile. Quindi è a tutte le donne e a tutti gli uomini che hanno imparato a convivere con questo virus che voglio dedicare un pensiero, rendendo merito al loro coraggio, alla loro caparbietà, alla loro dignità nel sopportare la diffidenza e la discriminazione, alla loro capacità di farsi forza, a volte persino creandosela, nel consolare il dolore delle persone a loro care e nell’indignarsi di fronte al pregiudizio di alcune istituzioni che malamente intendono la loro missione.
Oggi è alla loro voglia di vivere e, soprattutto, alla loro splendida ostinazione nel non rinunciare all’amore che voglio dedicare la mia ammirazione.