mercoledì 24 aprile 2013

COME SCHIAVI NELLE PIANTAGIONI.



Ieri mi è capitato di ascoltare il discorso fatto da nostro neo rieletto presidente della Repubblica ai deputati.
Credo che solo per il rispetto del suo ruolo e perché “uomo d’altri tempi” si sia esentato dal ricoprirli di insulti da rissa in un parcheggio ma la sostanza era comunque molto ben espressa: “se m’avete ripiazzato qui è perché siete una manica di inconcludenti, faziosi, interessati solo al vostro tornaconto”.
E giù scrosci di applausi incomprensibili.
Le ipotesi che ho fatto per spiegare un consenso del genere sono state:
1) “applaudo perché è vero, siamo tutti dei minchioni”;
2) “sono straniero, non conosco una parola di italiano e se vedo gli altri applaudire, nell’ignoranza, anche se mi stesse dicendo che ho la faccia come il culo, mi spello le mani”;
3) “sono certo che Napolitano stia parlando di altri, non certo di me”.
Ora io non sono un fine politologo ma ho una certa esperienza della pusillanimità dell’indole umana, soprattutto di quella degli italiani che dei propri fallimenti preferiscono sempre accusare gli altri.
Ieri in Francia è stata approvata definitivamente la legge per l’equiparazione delle nozze etero e gay, adozioni comprese. Oggi tanti status su Facebook inneggiano giustamente all’evento con quel misto di trasporto e invidia come quello che i berlinesi dell’est provavano immaginando la libertà goduta dai loro concittadini appena al di là del muro.
E su questo nulla da dire. Comprensibile.
La cosa che invece mi urta il sistema nervoso e leggere tanti commenti in cui si attribuisce solo e soltanto alla classe politica, al Vaticano e alla perduta civiltà di Atlantide l’assenza di una legge del genere anche da noi.
Mediamente la frase è: “eh bravi, beati voi, noi abbiamo il Vaticano…”.
No miei cari, noi abbiamo i gay che da soli bastano a far si che nulla si muova, senza bisogno si tirare fuori le solite ingerenze religiose o il leccaculismo dei politici alle divine terga porporate. Chiariamolo subito: queste ci sono, per carità, ma chiediamoci: cosa facciamo noi gay per i nostri diritti?
Non è una domanda retorica e la risposta ve la do subito: pochissimo, anzi diciamo pure niente.
Qualche mese fa (e ne cito una anche perché anche dal punto di vista dell’organizzazione di manifestazioni siamo messi peggio del Ciad) a piazza Farnese, sede dell’ambasciata francese a Roma, si organizza una manifestazione di solidarietà ai matrimoni gay in Francia, la stessa che oggi viene lodata con tanta enfasi.
Presenze: se contiamo i ritrattisti in piazza, i turisti lì per caso, e pure i piccioni: 100 persone? Anticipo che la cosa era pubblicizzata su Facebook ma pare che non sia bastato quando invece sappiamo bene che se scrivo che Sabrina Salerno fa un recital con un quartetto d’archi al palazzetto dello sport la fila fuori finisce a Viterbo.
Il punto vero è che ai gay in Italia non gliene frega davvero nulla dell’emancipazione politica, non si fanno problemi a vivere come dei clandestini politici che non godono dei diritti comuni a tutti gli altri, non si indignano considerando quanta parte delle loro tasse vadano per servizi ai quali non potranno mai accedere non per propria volontà ma per una limitazione da dittatura sudamericana. Sono come i neri delle piantagioni dell’ottocento che non cercavano la libertà perché non sapevano neppure cosa fosse. Con la differenza che se quei poveri disgraziati non avevano esempi da seguire che li spingesse a tentare la fuga, anche a costo di essere impallinati dai negrieri, noi oggi di modelli di riferimento ne abbiamo a decine ma restiamo sempre a pecoroni altrimenti poi come facciamo a lamentarci?

domenica 21 aprile 2013

Crazy Little Thing Called Love.



Qui Festival di Torino.
Ieri è stato il mio primo giorno di giuria. Oltre ai corti che dovrò giudicare, avere un pass che mi permette di assistere a tutte le pellicole in concorso è un privilegio troppo grande e una tentazione troppo forte per non approfittare di vedere anche altri film. Complice un tempo da lupi (tale lo è per chi come me arriva dal clima tropicale romano, quello che fa mettere a noi capitolini dei piumoni d’alta montagna non appena la temperatura scende sotto i 18 gradi) credo di aver visto non meno di 15 lavori. Molte storie parlano di relazioni affettive condivise, clandestine, estreme, frustrate o celebrate perché anche se del cinema gay, come in quello di Sanremo, a questo festival gli autori raccontano per lo più l’amore.
Ecco, sapete, ieri vedere tante storie incentrate su questo "Crazy Lillte Thing Called Love" mi ha dato una sensazione di struggente privazione e desiderio che credevo persi da tempo.
Si dice che le storie d’amore, se ben raccontate, hanno il dono di essere universali ed è vero, Love Story ancora mi procura diarree lacrimali incontrollabili, ma vederne tante, tutte insieme poi, con protagonisti gay mi ha portato a un livello di immedesimazione maggiore.
Un limite? Forse, ma penso anche che quando leggiamo un romanzo, vediamo un film, ascoltiamo una canzone, questi ci piacciono e ci coinvolgono quanto più sembrano parlare proprio a noi, raccontandoci il nostro di mondo e il momento che viviamo.
Ricordo la prima volta che vidi Maurice. Certo ero piccolo, certo era 100 anni fa e all’epoca pensavo di essere il solo gay sulla terra, certo non avevo ancora mai amato, ma quella storia d’amore tra due ragazzi fu la causa dello struggimento di giorni perché, sebbene estremamente drammatico e con un finale da tragedia greca, raccontava quello che ero, i miei desideri e quella passione che avrei voluto anche per me. Sensazioni che ho rivissuto ieri dopo l’overdose di racconti dove è stato più semplice immedesimarmi, più di quanto mi riesca vedendo Jenny Cavallieri pronunciare a quella faccia di patata del marito, moribonda nel letto: “amare significa non dover mai dire: mi dispiace”.

venerdì 19 aprile 2013

Da Sodoma a Hollywood.



Carissimi oggi parte la 28° edizione del festival del cinema GLBT di Torino. Una delle manifestazioni cinematografiche più importanti del mondo. 
Bontà loro, farò parte della giuria (vi prego di credermi quando dico che, nonostante questo, è un festival molto autorevole e serio).
Durante la settimana verranno programmati decine di titoli da tutto il mondo. Pellicole che vanno ben oltre il mero contesto omosessuale ma ci parlano della nostra società, la parte buona che cambia, e quella più retriva che ristagna nella violenza e nell'intolleranza. Film che raccontano il loro coraggio, come il primo film apertamente gay che arriva dal Libano o lo spazio dedicato dal festival alla condanna del bullismo.
L'altro giorno stavo raccontando del festival a un conoscente e mi fa: 
"ancora con queste cose da gay?".
La cosa che mi avvilisce di più è sentire commenti del genere fatti da gay (e non uso il plurale a caso) ai quali, però, se proponi il "Festival delle identità femminili del vicino Oriente" (senza nulla togliere a loro) si scapicollano a presenziare. Chissà perché…
Detto del festival a tutti gli amici etero invece, questi non mi hanno detto "ancora con queste cose gay?", ma si sono mostrati incuriositi e interessati, come dovrebbe fare ognuno di noi ogni volta che ha la possibilità di conoscere realtà diverse se, soprattutto, dotati di curiosità intellettuale.
"Ancora con queste cose da gay?”. Sì. Perché non c’è identità se i suoi membri non si riconoscono in essa producendo cultura, come si fa al Festival di Torino. 

giovedì 18 aprile 2013

TORI, VACCHE E I NUOVI GIOCHI DI SOCIETA'.



Insomma mi stavo ancora beando dell’invito ricevuto come giurato al festival internazionale del cinema GLBT di Torino quando stamattina arriva via Grindr (e ovviamente il mezzo fa il messaggio, almeno in questo caso) un altro invito che, in una visione cosmica dell’equilibrio degli opposti, non poteva  essere che per partecipare a LMDV. 
L’acronimo ricorda vagamente quello del super lusso LVMH o quello più ammiccante MDNA ma la versione estesa del primo sta per La Monta Delle Vacche, nome allegorico e vagamente inquietante che indica un evento che si tiene in un locale romano noto per le sue serate piuttosto estreme. Insomma dopo due anni, torna a Roma “La monta delle vacche” e la cosa ha subito quel tono d’orgoglio che potrebbe avere il curatore di una mostra sui pittori fiamminghi che, finalmente, dopo Catania, Torino e Bologna, è riuscito a portarla anche nella Capitale. 
La Monta delle vacche viene definita dagli organizzatori "un gioco di ruolo" per adulti cosa che fino a oggi pensavo lo si potesse dire solo per Risiko o Monopoli e non per un’orgia che, sempre andando avanti con la descrizione che trovo sul sito, si rifà alle nostre origini contadine, un po’ come il palio di Siena che si ispira al passato medievale delle sue contrade.
Come tutti i giochi anche qui ci sono delle regole. Ci si divide un 2 squadre, come a guardie e ladri: i tori e, ovviamente le vacche. Ora non occorre aver studiato all’accademia della Schicchi Production e anche se dotati della malizia di un cantante dello Zecchino d'oro è facile intuire che i tori sono gli attivi e le vacche i passivi.
La termodinamica si fonda su 3 leggi tanto quanto LMDV si basa su quattro dettami fondamentali:
1)   le vacche non possono vedere mai nessun toro per tutta la sera e per questo verranno bendate lasciando solo liberi gli orifizi necessari per sopravvivere e per…vabbé ci siamo capiti per fare cos’altro. Il fatto si essere bendati come un sequestrato dei sandinisti nicaraguensi è forse più un segno di pietà che di umiliazione perché nella dubbio che venga tradita la speranza che ci sia una concentrazione di “tori” boni vale il detto: occhio non vede, cuore non duole .
2)   La vacca non può mai scegliere il toro che la monterà. Anche questa mi sembra una tutela “torinista” che va a indubbio vantaggio del toro che per la ragione sopra citata, anche fosse uscito dal manicomio di American Horror Story Asylum non si vedrà mai rifiutato (soldi ben spesi per i tori mi pare…). Unico rifiuto tollerato è qualora il questo sia esageratamente dotato (stiamo scherzando vero!?)
3)   I tori montano solo le vacche. Le vacche non montano i tori e le vacche non si montano tra di loro, che letta così sembra un passaggio del Vecchi Testamento, sapete di quelli dove ti spiegano quali sono le cose naturalmente giuste come seminare i campi, costruire una barca e lapidare una adultera? Uguale.
4)   La regola migliore e che approvo in pieno è: si fa solo sesso sicuro altrimenti si viene banditi.

A garantire che la monta segua le succitate regole ci saranno, come è ovvio che sia in una qualsiasi fattoria nel Montana, gli stallieri. Questi si occuperanno di accudire le vacche con beni di conforto come Redbull, balle di fieno, sacche del ghiaccio e Voltaren da spalmare sulle ginocchia che dopo qualche ora in posizione bovina ti diventano come quelle delle lavandaie.
Il dress code è diverso per vacche e tori. Siccome essere chiamati “vacche” e venire bendati come il Dr. Lecter non è abbastanza umiliante, queste dovranno girare nude e quando dico nude significa niente anelli, collanine, bracciali, cinture di castità (giuro che è scritto così) o placchette militari per il riconoscimento del cadavere quindi, il suggerimento è farsi tatuare il nome sul petto o esser sicuri che il vostro dentista possa fornire un calco della vostra dentatura perché in questi "eventi" non si sa mai come potrebbe andare a finire.
I tori: o nudi o una t-shirt nera, tante volte dovessero sentire freddo. Questa non deve essere griffata o faschion (del resto il solo pensiero di John Wayne con una camicia a fiori di Dolce&Gabbana è una cosa che farebbe ammosciare la libido anche a un carcerato uscito dopo 20 anni da braccio della morte).
Alla fine del gioco verranno proclamati 2 titoli:
la Vacca Imperiale: (non Ruby Rubacuori, un altra) ovvero la vacca che ha totalizzato il maggior numero di monte e che sarà di conseguenza la candidata ideala del prossimo docu-reality di Real Time: "Non pensavo dovessero ricucirmi come una Pigotta di stoffa";
Toro Alfa: ovvero il più votato attraverso l’assegnazione di un braccialetto da tutte le vacche. Titolo equipollente per i concorsi pubblici alle lauree in scienze politiche e sociologia.


PS: è notizia di questi giorni che X Box Kinetic si è assicurato i diritti de LMDV per farne un gioco interattivo e, allora, potremo dire addio al caro vecchio Twister.




mercoledì 17 aprile 2013

Living (and eating) New York.



Sono sempre stato affascinato da quella città ruvida e malfamata che è stata New York fino alla fine degli anni ’90, quando ai sexy shop e alle prostitute di Time Suare si sono sostituiti i mega store della Disney, con Minnie e Topolino che salutano orde di orribili turisti.
Domani, alle 18.30, al Perfect Bun (il ristorante, bar, centro esposizioni in Largo del Teatro Valle, 4, a Roma) ci saranno in mostra le foto che Giovanni Cozzi ha dedicato alle metropoli Usa proprio negli anni Novanta. Un viaggio in bianco e nero nei temi classici dell'immaginario mitico americano: la strada, gli skyline, gli slogan pubblicitari, le icone pop, la bandiera.
La mostra resterà lì per un lungo periodo. Un Bel modo quindi di mangiare circondati da una New York livida ed estrema che ormai vive solo nei ricordi di chi la conobbe allora.






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La mostra è organizzata da www.loolitart.net, un’associazione che a Roma, dal 2012, sostiene un gruppo di artisti (tra i quali la mia amica fotografa Mirta Lispi) che hanno come obiettivo quello di dare forza al legame tra chi realizza arte e il pubblico che deve poterne godere liberamente.