Ieri mi è capitato di ascoltare il
discorso fatto da nostro neo rieletto presidente della Repubblica ai deputati.
Credo che solo per il rispetto del suo
ruolo e perché “uomo d’altri tempi” si sia esentato dal ricoprirli di insulti
da rissa in un parcheggio ma la sostanza era comunque molto ben espressa: “se
m’avete ripiazzato qui è perché siete una manica di inconcludenti, faziosi,
interessati solo al vostro tornaconto”.
E giù scrosci di applausi
incomprensibili.
Le ipotesi che ho fatto per spiegare un
consenso del genere sono state:
1) “applaudo perché è vero, siamo tutti
dei minchioni”;
2) “sono straniero, non conosco una
parola di italiano e se vedo gli altri applaudire, nell’ignoranza, anche se mi
stesse dicendo che ho la faccia come il culo, mi spello le mani”;
3) “sono certo che Napolitano stia
parlando di altri, non certo di me”.
Ora io non sono un fine politologo ma
ho una certa esperienza della pusillanimità dell’indole umana, soprattutto di
quella degli italiani che dei propri fallimenti preferiscono sempre accusare
gli altri.
Ieri in Francia è stata approvata
definitivamente la legge per l’equiparazione delle nozze etero e gay, adozioni
comprese. Oggi tanti status su Facebook inneggiano giustamente all’evento con
quel misto di trasporto e invidia come quello che i berlinesi dell’est
provavano immaginando la libertà goduta dai loro concittadini appena al di là
del muro.
E su questo nulla da dire.
Comprensibile.
La cosa che invece mi urta il sistema
nervoso e leggere tanti commenti in cui si attribuisce solo e soltanto alla
classe politica, al Vaticano e alla perduta civiltà di Atlantide l’assenza di
una legge del genere anche da noi.
Mediamente la frase è: “eh bravi, beati
voi, noi abbiamo il Vaticano…”.
No miei cari, noi abbiamo i gay che da
soli bastano a far si che nulla si muova, senza bisogno si tirare fuori le
solite ingerenze religiose o il leccaculismo dei politici alle divine terga
porporate. Chiariamolo subito: queste ci sono, per carità, ma chiediamoci: cosa
facciamo noi gay per i nostri diritti?
Non è una domanda retorica e la
risposta ve la do subito: pochissimo, anzi diciamo pure niente.
Qualche mese fa (e ne cito una anche
perché anche dal punto di vista dell’organizzazione di manifestazioni siamo
messi peggio del Ciad) a piazza Farnese, sede dell’ambasciata francese a Roma,
si organizza una manifestazione di solidarietà ai matrimoni gay in Francia, la
stessa che oggi viene lodata con tanta enfasi.
Presenze: se contiamo i ritrattisti in
piazza, i turisti lì per caso, e pure i piccioni: 100 persone? Anticipo che la
cosa era pubblicizzata su Facebook ma pare che non sia bastato quando invece
sappiamo bene che se scrivo che Sabrina Salerno fa un recital con un quartetto
d’archi al palazzetto dello sport la fila fuori finisce a Viterbo.
Il punto vero è che ai gay in Italia
non gliene frega davvero nulla dell’emancipazione politica, non si fanno
problemi a vivere come dei clandestini politici che non godono dei diritti
comuni a tutti gli altri, non si indignano considerando quanta parte delle loro
tasse vadano per servizi ai quali non potranno mai accedere non per propria
volontà ma per una limitazione da dittatura sudamericana. Sono come i neri
delle piantagioni dell’ottocento che non cercavano la libertà perché non
sapevano neppure cosa fosse. Con la differenza che se quei poveri disgraziati
non avevano esempi da seguire che li spingesse a tentare la fuga, anche a costo
di essere impallinati dai negrieri, noi oggi di modelli di riferimento ne
abbiamo a decine ma restiamo sempre a pecoroni altrimenti poi come facciamo a
lamentarci?