sabato 25 settembre 2010

CHEC AUT

Finalmente è stata dimessa. E finalmente non lo dico tanto per lei quanto per quei poveri medici e infermieri dell’ospedale. Dal primo giorno di ricovero aveva deciso che lei lì non voleva starci, che si sentiva costretta quindi “ditemi dove devo firmare per andarmene!”. Per questo mercoledì io, mio fratello, 2 infermiere, il cardiologo, il primario e un esorcista abbiamo cercato di trattenerla mentre cercava di staccarsi sensori, tubi e tubicini per poter scappare via.
“E’ sempre stata furastica”, è stato il commento laconico di mio zio che commentava la scena a debita distanza.
Per fortuna dove non siamo potuti arrivare noi è intervenuto il Signor Tavor e con lui è sopraggiunta un po’ di serenità per tutti.
Stamattina il medico le aveva promesso che l’avrebbe dimessa alle 9. Alle 8 ero lì ma dalle 6 lei era già seduta sul letto, tre le sue borse e una pila di riviste, tutta eccitata all’idea di tornare a casa (per quanto lo possa essere una che ha in corpo più sedativi che globuli rossi).
Nell’attesa che il dottorebello finisca di compilare le scartoffie di prassi ci raggiunge mia zia. È nel suo periodo mistico e tira fuori dalla borsa un acqua benedetta di Lurd, una medaglietta di Megiugori, un’acquasantiera mignon della Madonna di Fatima e un pezzo della croce di Cristo ed è già tanto che non faccia apparire la madonna con un proiettore tascabile. Mia madre osserva questo carosello sacro con lo sguardo frastornato. I sedativi ancora scorazzano allegramente nelle sue vene e devono essere piuttosto potenti se penso che solo ieri continuava a raccontarmi una storia famigliare credendo che io fossi suo fratello (“è normale, che abbia questi problemi, tra i farmaci e la degenza”, mi rassicura subito dopo il dottorebello, mentre io lo ascolto con gli occhi a cuore e un barlume di decenza mi schiaffeggia cercando di non farmi immaginare erotiche evoluzioni degne di una scena almodovariana).
Il dottorebello è alla fine del turno di notte ma ha ancora la grazia di spiegarci quali sono i farmaci da prendere, a che ora in che dose. Il cuore non ha subito danni gravi e può riprendere le sue attività precedenti. Per lasciare un buon ricordo di se, mia madre sente la necessità di lanciare un’ultima rivelazione: “Lo sa dottorebello che tutte le infermiere le vengono dietro?” (sempre i farmaci che parlano, ovvio). L’imbarazzo delle paramediche ghiacciano il pavimento dell’intero reparto e su questo scivoliamo via alla guida di una slitta trainata da 4 aschi siberiani, prima che ne dica altre. Varchiamo le porte della sala e, forse me lo faranno le orecchie ma sento un chiasso allegro e festoso e il rumore di un paio di tappi sparati dalla pressione delle bottiglie di sciampagn.
Ora è a casa.
Si è lanciata in camera sua per controllare che tutte le sue cose siano al loro posto con l’entusiasmo con cui un bambino vuota la cesta dei suoi giocattoli al ritorno da un lungo viaggio. Così, per riappropriarsi del suo spazio, del suo mondo fatto di piccole cose tanto importanti. Barcolla da una stanza all’altra, sembra ubriaca e mi fa sorridere. “Mi metto un attimo sul letto ma non andate via”.
E chi si muove.

martedì 21 settembre 2010

Hart Bit

Ieri mio fratello mi telefona. Quando lo fa ho sempre un brivido lungo la schiena e non sentendoci solitamente per commentare le partite o le puntate di X Factor c’è sempre un motivo che è quasi sempre grave.
Infatti è così: mia madre è in ospedale. Avendo problemi all’anca penso che sia quello il motivo ma viene subito spazzato via da una causa che ha la dirompenza di uno zumami: ha avuto un attacco di cuore.
30 secondi dopo un razzo argentato sfreccia lungo la tangenziale in direzione ospedale.
Entro come una furia nella sala d’attesa che è il solito caroselli d’umanità. C’è persino la polizia penitenziaria che scorta una pregiudicata in barella.
A mio fratello hanno detto che ci faranno sapere qualcosa di lì a un ora. Ne dubito fortemente e ci prepariamo alla lunga attesa. Mi racconta che mamma ha avuto un dolore al petto e al braccio. I sintomi sono inequivocabile. Lui è abbastanza sereno ma lo siamo di famiglia: finché non vediamo una bara, non ci agitiamo mai.
Due caffé, una bottiglietta d’acqua, una sfogliata poco attenta al giornale.
L’ora è passata e con una puntualità inaspettata. Ci chiamano.
La scorgo appena dalla porta socchiusa. Non me la possono far vedere, non tanto per il suo stato quanto perché è ancora in una stanza piena di pazienti e il rispetto per la sofferenza è un limite che condivido.
Un infermiere ci da i suoi effetti personali. Averli lì in una busta mi fa uno strano effetto. Ma scaccio il pensiero. Mi conferma che ha avuto un problema cardiaco. Entro 2 ore la assegneranno al reparto di terapia intensiva. Questo è quanto. Lui non sa di più io non so che chiedergli.
Torniamo in sala d’attesa. Fuori fa un caldo insopportabile. O almeno così mi sembra.
Ne approfitto per passare a casa e prendere beni di conforto per l’attesa. Poi, passo a staffetta lo scuter a mio fratello che passa a prenderle pantofole, camicia da notte e tutte quelle cose che servono quando si va in ospedale, compresa una pila di riviste che sembrano essere scritte apposta per degenti e vacanzieri.
Facciamo un giro delle telefonate. Parenti, amici, persino mio padre.
Ancora una volta, puntualmente, allo scadere della seconda ora ci chiamano e ci fanno salire in terapia intensiva.
Si entra uno alla volta, abbiamo solo un’ora di tempo e bisogna indossare camice e copriscarpe: sembrano le regole di un gioco ricompensa da realiti.
Entro prima io.
Sento mia madre arringare la cardiologa che ha lo sguardo sgranato. Mia madre le sta comunicando che non ha alcuna intenzione di stare lì per più di un giorno.
“Signora io non la posso obbligare ma ha avuto un infarto”.
Mia madre polemizza e un po’ mi tranquillizzo. È tipico di lei. Ma capisco anche che ha paura, non vuole essere ricoverata pensando che uscire dall’ospedale significhi lasciarsi dietro il dolore. È un pensiero semplice, emotivo, infantile e mi fa tenerezza. La bacio, mi siedo accanto a lei. La cardiologa permette anche mio fratello di entrare.
“Facciamo l’anamnesi insieme. E’ importante che ci siano anche i figli”.
La dottoressa parte con una sfilza di domande alle quale mia madre risponde sempre più docilmente. Il sedativo che le hanno dato inizia a fare effetto ed è meglio per tutti noi.
La cardiologa le spiega che dovrà fare la coronarografia che per noi potrebbe essere anche un ballo tribale africano. Ci spiega di cosa si tratta ma a prescindere da questo, è un test inevitabile quindi tanto vale.
Poi ci lascia con lei per un’altra mezzora. Mentre lei mangia io e mio fratello scherziamo con mamma. Le facciamo notare che c’è anche una telecamera che la sorveglia 24 ore su 24. Lei fa le corna con la mano e ci chiede: “che dite, m’avranno vista? “.
Nonostante i camici che indossiamo, i monitor alle pareti e il letto che sembra una capsula spaziale, la sensazione è quella di stare a casa. Siamo tutti inaspettatamente sereni. Forze è una tecnica inconscia di rimozione ma chissenefrega. Mi passano per la testa tanti pensieri sul tempo che passa, sull’invincibilità presunta dei nostri genitori che con gli anni si umanizza sempre di più mostrandoceli fragili e vittime della vecchiaia e penso che questo, proprio questo, è il momento del contraccambio. L’attimo in cui le parti si invertono e i figli devono diventare tutori dei loro genitori tanto quanto hanno fatto per anni loro con noi. E tutto all’improvviso ha un senso.

lunedì 20 settembre 2010

GUSTI SBANDIERATI AL VENTO


Guardate sul mio articolo per gay.it cos'ho scoperto a proposito di gusti sessuali sbandierati.

sabato 18 settembre 2010

18/9/09-18/9/10




















Oggi è passato esattamente un anno dall’insediamento nella nuova casa. Non avrei mai pensato che tutto quello che si era accumulato in quasi 10 anni di vita sarebbe entrato in un Rascal, in appena un viaggio e mezzo. Dopo 12 mesi la maggior parte delle cose che avevo portato dalla vecchia casa sono state sostituite, regalate, buttate. Non si adattavano più né alla nuova stanza né tanto più a me. Sono partito il 18 settembre del 2009 alla firma di un contratto per un appartamento (insieme ai miei adorati coinqamici, resi ancora più “cari” dal fatto che leggeranno questo post) che non sapevo neppure se mi sarei potuto permettere visto che, allora, non avevo ancora trovato un nuovo lavoro e la linguetta dell’autonomia finanziaria puntava pericolosamente al rosso. Qualche settima dopo finalmente arrivò anche questo. All'improvviso, come spesso arrivano le buone notizie, ma la sensazione di precarietà era difficile da superare e per diversi mesi a seguire ho continuato a non sentire questa casa completamente mia. Non riuscivo ad affezionarmici, terrorizzato dall’idea di perderla. E' stato un periodo difficile, nervoso, nel quale tante volte mi sono perso, incapace di gestire la mia nuova vita. Era arrivato d’un colpo tutta la tensione dell’anno complicato che avevo appena passato.
C'è voluto un po' di tempo per sentire finalmente che questo appartamento stava diventando “casa” e contemporaneamente è ritornata, finalmente, anche la voglia di ricominciare, cambiare, progredire.
Un anno fa ero a San Lorenzo, un santo irrequieto, giovane, rumoroso, oggi vivo a San Giovanni, patrono ben più calmo e sereno ma prodigo di fermenti.

venerdì 17 settembre 2010

LA MISERIA E' DEMOCRATICA




Questo video per carità non ha niente a che vedere con le rivelazioni dell’inchiesta Uotergheit, sono tutte cose che bene o male si sanno. Ma come per i filmati sullo sterminio degli animali da pelliccia un conto è lo sdegno teorico un altro è il ribrezzo reale di vedere concretamente certe scene.
No so se sia più desolante la mancanza di coscienza di questi 4 magnaccia o la miseria intellettuale e l’inconsapevolezza plebea di chi va in costa Smeralda con le pezze al culo solo per ammirare i VIP da quaggiù, accomunati, solo in questo, da una democratica pochezza umana.
Lo so che sembrano discorsi provenire da una vecchia incattivita inchiattata su una sedia di vimini mentre capa faggiolini guardando la tivvù, ma è più forte di me: quando vedo queste cose mi ribolle la bile dal fegato e mi sale su su fino a formare un bolo che mi verrebbe voglia di sputare in faccia a questi 4 magnaccia, alle loro puttane e a quegli accattoni che mangiano pane e merda per potersi permettere un fine settimana in campeggio per guardare tra le grate del Billioner a chi sono destinate le bottiglie di Cristal da 900 euro.
Quando sento che degli imprenditori spendono anche 20 mila euro (si certo…) per il “relax” mi viene subito da chiedere se i contratti dei loro dipendenti sono tutti regolari o quanti ne hanno licenziati per poter mantenere intatti i loro privilegi, per poter continuare a tenersi a debita distanza dal mondo reale, per disinteressarsi ancora delle sorti del Paese che per loro non è altro che una grassa greppia in cui abbuffarsi. Una società nella società così simile a quella nobiltà francese perversa e decadente che purtroppo però non sconterà mai l'impeto di nessuna rivoluzione.

giovedì 16 settembre 2010

-90



















La schermata della compagnia aerea è aperta.
L’importo è segnato in rosso.
In basso lampeggia un pulsante verde con su scritto ACQUISTA ORA.
Accarezzo con il dito il tasto del maus e con l’altro compongo un numero.
“senti Cla, ma che faccio parto o non parto?”, gli chiedo con un filo d’ansia senza neppure dirgli “ciao” o “buongiorno”.
“Ancora con questa storia? Ma certo. Parti!”, il tono è rassicurante come quello di un allenatore che sprona un tuffatore indeciso a scaraventarsi da una piattaforma di 10 metri .
“E se poi i soldi non mi bastano?”. Ping.
“Si trovano”. Pong.
“E se di qui a dicembre succede un imprevisto?”. Ping.
“Ci penseremo allora, eventualmente”. Pong.
“Mia madre forse avrebbe bisogno di me”. Ping.
“C’è tuo fratello”. Pong
“Le piante chi me le annaffia?”.ping
“Ale, sono moribonde già adesso per allora saranno polverizzate. Mi fai il cazzo di piacere di comprare quel cazzo di biglietto?”
Schiaccio ACQUISTA.
La clessidra sullo schermo gira e rigira e un avviso mi avverte che stanno verificando i dati della carta. Spero ci sia un intoppo, un cambio di tariffa una dichiarazione di guerra e invece dopo 30 secondi un altro avviso si congratula con me per l’acquisto effettuato.
“Fatto”. E tiro il fiato. Ormai è andata.
“Ecco bravo, adesso torno in riunione”. E il mio amico riattacca il telefono. Anche lui senza dire neppure ciao.

La scorsa settima ho comprato il biglietto per Niu Iorc.
Partirò tra tre mesi esatti (o 90 giorni, se proprio vogliamo dar via a un caunt daun) e ci resterò per 4 settimane: 28 giorni, come un turno in un centro di riabilitazione.
Inizialmente doveva essere la vacanza che non ho fatto quest’estate mentre grondante sudore venivi crivellato dalle foto del miei amici in spiaggia a Miconos, con i moito a Ibiza e con le mani appoggiate sulle impronte della Loren su Ollivud Bulvar. Ma poi ha preso una valenza molto diversa.
Una sfida con me stesso (ho provato a trovare una formula meno banale per esprimere il concetto ma, credetemi, non esiste, sarà per questo che è così usata).
Mi rendo conto che non stiamo parlando di una solitaria di un anno in pattino attraverso i 7 mari e la destinazione e la permanenza non fanno di me Ulisse ma per me l’impresa è quasi altrettanto epocale.
Primo perché vado da solo. Cosa che non faccio neppure per andare in bagno. Fino ad oggi i miei viaggi sono sempre stati legati a gruppi che non fossero inferiori al numero della Nazionale, riserve allenatore e massaggiatori compresi.
Secondo perché vado per “sentire che aria tira” e in caso, più in là, legare lo spago alla valigia di cartone. E solo pensare a questa ipotesi mi da le vertigini.
Chi conosce le mie rocambolesche avventure estive con Americanino, può maliziosamente credere che la scelta di quella città non sia casuale e in parte è così. Me lo sono chiesto e richiesto prima di decidere perché non volevo che questo fosse un viaggio della speranza, in cerca di qualcosa che è stata poco più di una bella esperienza e solo dopo essermi convinto con spietata sincerità che non è lui quello che vado cercando ho confermato che la destinazione fosse Niu Iorc: la città dove ancora succedono delle cose, l’unica capitale che dopo la sbornia delle On Cong, delle Dubai e delle Sidnei rimane sempre e comunque la capitale del mondo.
Potere dell’auto suggestione? Forse eppure, da quando ho premuto quell’ACQUSTA, è come se avessi trovato stimoli ed energie che non sentivo da anni dandomi degli obiettivi e dei progetti da perseguire e realizzare e dei quali per ora non parlerò per scaramanzia (anche perché sono ancora in fase di definizione) ma che nei prossimi giorni inizierò a condividere con chi vorrà seguirmi in questo viaggio.

martedì 14 settembre 2010

MENGONI, C'AVRAI LA VOCE MA LASCI SENZA PAROLE.






Non so se sia dovuto all’età che avanza inesorabile o alla zitellaggine che mi sta rinsecchendo come una prugna della California rendendomi sempre più rigido e intransigente su certi argomenti ma vedere questo filmato dello scorso Sanremo mi ha provocato un prolasso alle gonadi e un innalzamento del livello di bile.
E stiamo sempre qui a ribadire le stesse cose ma non mi stancherò mai di denunciare: l’imbarazzo e la vergogna che mi provoca sentire dichiarazioni come quelle di marco mengoni.
Allora diciamocelo chiaramente, non bisogna essere un’aquila per capire che mengoni ha visto più ufo che fiche. Come altrettanto chiaramente ribadisco che nessuno lo obbliga a rivelare che sia ghei. Per carità, io sono il primo a rivendicare il diritto alla privasi, tanto più se giovane e all’inizio di una carriera incerta come quella del cantate. Ma santa miseria nera, puoi dire frasi del tipo “no io non lo sono anche se ho tanti amici come loro”?
Ma loro chi? Ma che siamo una razza aliena?
Puoi poi diventare paonazzi e farti tremare la voce quando quella volpona della Parietti ti chiede cosa ci sarebbe di male ad essere ghei? Se ti avesse chiesto cosa ci possa essere di male ad essere di colore, o ebreo o donna (beh quest’ultima evidentemente sì, potresti esserla), avresti reagito così?
Io un panico del genere l’ho solo visto solo in “Lo&Order” quando l’imputato viene accusato di aver sparato in testa a un bambino di 5 anni. Possibile che questo debba reagire in una maniera così appanicata?
Ripeto, non dirlo è lecito ma spergiurare come San Pietro il venerdì Santo è deprimete per la persona che abiura quanto per chi lo ascolta. E di nuovo torna la questione dell’esempio dei personaggi pubblici.
Mengoni non è certo un eroe di guerra ma potrebbe aiutare tanti ragazzi a non sentirsi più “de onli ghei in de villag”, potrebbe contribuire a creare un nuovo clima culturale in Italia, a partire dalle canzonette. Negli anni ’70 la musica era anche impegno politico. Oggi è puro intrattenimento. Perché non ridarle allora nuovo vigore con valenze che gli appartengono per natura?
Visti poi gli esempi di altri cantanti, sarà mille volte più fico fare come Richi Martin che continuare a essere uno scarafaggio come Renato Zero?

giovedì 9 settembre 2010

IL PARADIGMA MALGIOGLIO








Cristiano Malgioglio, si è scagliato contro Enrico Ruggeri la cui colpa sarebbe di avere privilegiato i due gay dei Kymera per avere rivelato davanti alla telecamera di essere una coppia anche nella vita.
Ecco a voi il tipico esempio di come molti gay vadano contro altri gay mossi solo da invidia e risentimento, criticando senza un fondamento reale e continuando a mantenere la nostra comunità frazionata.
Certo non si tratta del caso del secolo, ma nel suo piccolo è paradigma di un’incongruenza ben più ampia.
Premettendo che i due ragazzi potrebbero essergli nipoti, premettendo che hanno cantato bene e hanno una loro visione artistica eccentrica ma quantomeno non banale, premettendo che non hanno dichiarato di essere una coppia per trarre profitto (non mi pare che essere gay in questo paese porti al successo altrimenti lo stesso Malgioglio sarebbe ora Capo dello Stato), la sua accusa è del tutto fuori luogo. Avrebbe potuto al contrario plaudire a un atto di coraggio e sincerità (tratti del tutto sconosciuti all’autore di “Pelame” che per anni ha nascosto la propria evidente frociaggine continuando tutt’ora a farlo, rendendosi ancora più ridicolo) per un afflato di comunanza e di appartenenza tra parti di una minoranza vessata. Avrebbe potuto schierarsi a sostegno dei Kymera dando così un forte segnale, anche politico. Ma del resto non si cava sangue da una frangetta decolorata e, ancora una volta, “frocio, froci, lupus est”.
E questo la dice lunga su come il movimento (??) omosessuale non esista a partire già dalla basa a causa di un individualismo irragionevole e egoistico che non ha assolutamente una visione prospettica e di insieme su quanto potremmo cambiare in questo mondo (tutte le minoranze, non solo i gay) se fossimo più complici e coesi.

mercoledì 8 settembre 2010

XF4: tra balbuzienti, mezze orfane e carrozzoni, quest'anno è l'Opera don Guanella.
















Ieri sera per vedere in santa pace la prima puntata di X Factor ho dovuto spegnere il cellulare per evitare le solite mille chiamate di quanti mi imploravano di uscire con loro. Subito dopo ho anche dovuto spalancare le finestre per far circolare l’aria dopo una cazzata del genere. E così l’incipit l’abbiamo sfangato e possiamo andare direttamente in media res tra le tette della Tatangelo che sostituiscono con siliconica prosperità quelle della compianta signora tutta “core, panza e sentimento”: Simona Ventura che va bene, sono due anni che manca ma per dire quanto siano piatte tutte le edizioni, me ne sono accorto solo ora.
All’opposto, unica pietra miliare, anzi vero e proprio macigno monolitico in stile Stoneing, è Mara Maionchi, che come sempre si mostra elegante come uno spettacolo delle Pussicat Doll nell’aula Paolo VI la notte della vigilia di Natale.
Anche quest’anno la conduzione è affidata al caso. Sì, il caso più inspiegabile dai tempi del figlio di Salvetti al Festivalbar ovvero: Francesco Facchinetti il quale presenta x factor da 4 anni pur avendo l’appil di un scultura di pasta di sale.

Elio è mascherato da cocainomane redento (ndr: Morgan): è un genio. Le sue canzoni non le ascolterei neppure se da questo dipendesse la salvezza della terra ma è competente, ironico ma inscopabile.

Uno dopo l’altro entrano Natalì, Sofia e Davide. Insomma 3 ragazzi alla fermata della metro durante l’ora di punta farebbero più colpo, ma poi, volete trovarvi dei nomi d’arte un minimo interessanti e accattivanti? Pensate a Sting, Madonna, Pinc, Al Bano! Come non bastasse ‘sto Davide è acchittato come uno dei ragazzini di Disnei Ciannel e ha più spille addosso lui che un generale di corazzata d’armata americano che si sia fatto 2 guerre mondiali e il Vietnam. Sofia invece è solo la prima della lunga sequela di casi umani: il padre è scappato di casa 5 mesi fa, ma non è una tragedia poi così forte. Visto che canta come una pippa da karaoke la Tatangelo gliel’ha fatto capire subito: meglio che tiri fuori la storia di essere stata messa in mezzo ad una gang band di preti in sacrestia quando aveva 5 anni o questa a martedì prossimo non ci arriva.

Nevruz, è il vincitore morale. E’ un film di Mel Brucs incrociato con Iggi Pop sebbene sembri Renato Zero a tempi del Carrozzone con un pessimo balsamo sui capelli.

Cheti Perri è l’ospite internazionale. Avrebbe dovuto cantare California Gurl ma dopo aver visto Mengoni ha preferito dedicargli “Ai Chis De Gerl and I laic’it” (but sci dont).
Lei è il secondo mistero della vita dopo Facchinetti: come fa questa a vendere milioni di dischi se canta come se un gatto le stesse graffiando la fica? Ovviamente i froci ne sono pazzi ma quando vedono due lustrini e sono al 4 gin tonic amerebbero anche la processione del venerdì santo di Pratola Peligna.

E con questa critica invece mi sto avviando al trotto verso le fiamme dell’inferno ma a me Stefano, il cantante balbuziente mi sembra un povero disgraziato buttato cinicamente nel circo del patetismo. Mi farà anche piangere la sua storia ma qui siamo a X Factor non dalla D’urso o a “C’è Posta per te” dove tra l’altro quest'anno la De Filippi o porta una nel polmone d'acciaio che vuole fare la danza del ventre o è spacciata!! Oltretutto, biasimo la cattiveria di chi monta un ragazzo fragile solo per sfruttare il caso umano. Questa è crudeltà. Tra tre mesi manco alla fiera della marmitta di Maranello lo inviteranno e quel che gli resterà sarà solo frustrazione e maggior insicurezza.
In più ha pure cantato male.
E già che sono pervaso di bontà parliamo della seconda cantante ospite della serata: Marc* Mengoni. Ma c'avrà la faccia come il culo per querelare Fabri Fibra per avergli detto che è gay? Manco avesse scritto che è un colluso con la mafia implicato nell’omicidio Moro e Ustica.

E ora il secondo della bontà: Manuela, 35 anni, un Sarremo alle spalle, poi l’oblio ma sa che è la sua ultima scians e decide di mettersi in discussione in mezzo a pischelli canterini di 12 anni, ma ci prova. Mi piace e poi c’ha 2 voci, non una!

E finalmente il colpo di scena: i Chimera! La prima coppia ghei dichiarata sotto i 23 chili, in due. Come dice il loro nome sono un mix mitologico tra i Tazzenda, i Farias, Cher e Ceccherini e gli insetti stecco dell’ape Magà i quali, con slancio d’originalità e assenza di pregiudizi da parte di Ruggeri cantano “Frozen” di Madonna che sarebbe come assegnare a Storace “Faccetta nera”.

Vabbè è ora, tagliamo corto e io domani all’alba ho palestra. Con la morte nel cuore ci abbandona Alessandra, bella voce ma un po’ gna-gna gerl e mentre lei si allontana, io vi lascio dicendovi che “quando la persona è niente, l’offesa è zero”.

lunedì 6 settembre 2010

I GHEI FUORIDAIGIRI






















Oggi ho fatto solenne promessa di non andare più per locali almeno fino alla mia partenza per il nuovomondo a dicembre. Un po' per canalizzare risorse ed energie su altri progetti un po' perché ormai non mi si fila più nessuno. Il primo a non crederci sono io ma intanto vi allevo il mio articolo per gay.it proprio su quelli che "nonfrequentanoilsolitogiro". Voi fatemi sapere quali sono 'sti fantomatici fuorigiro, magari provo a reinventarmi lì.

giovedì 2 settembre 2010

I GHEI DI DESTRA. TRA MITO E REALTA'.









Una volta ho visto un documentario sulle perversioni sessuali. Un tipo, che per giunta era anche il dirigente di una multinazionale svizzera, pagava fior di quattrini ad una dominatrice che dopo averlo inguainato in una tuta di lattice, lo avvolgeva nel cellophane e lo costringeva ad aspettare per ore nel pollaio sul retro di casa salvo di tanto in tanto andarlo a trovare per umiliarlo gridandogli “mi fai schifo!” e giù pure un paio di colpi di scudiscia. Ecco diciamo che io sono più da gita al faro e baci sulla spiaggia ma al limite un comportamento del genere arrivo anche a capirlo ma, sarò io limitato, i gay che votano a destra invece no. Per me continua a restare un mistero, persino più grande di qualsiasi cerchio nel grano e di ogni mostro che popoli i fondali di qualche lago inglese, il perché un omosessuale sia tanto masochista da votare per uno schieramento politico che, al di là delle sue origini storiche sulle quali mi sembra fin troppo facile fondare una critica, ha più a cuore il problema dei graffiti sui muri dei palazzi piuttosto che il riconoscimento dei diritti dei gay.

Io ho provato a sondare i fondali oscuri di una scelta del genere e il più delle volte mi sono sentito controbattere: “beh non mi pare che la sinistra sia migliore”, come se il voto non fosse motivato da quanto buone siano le proposte da attuare in sede di governo ma da quanto lo schieramento prescelto sia meno peggio rispetto al suo antagonista. In effetti anche la mia scelta elettorale è spesso poco difendibile considerando quanto non sia stato fatto durante gli anni dei governi di sinistra, ma alla base di una preferenza politica ci dovrebbe essere l’aderenza del nostro pensiero ai valori fondanti di un movimento politico e l’omosessualità, in alcun modo, può sentirsi rappresentata dalla destra italiana. Tanto più se risulta così pesantemente legata a un’ideologia cattolica che ci apostrofa come esseri “contro natura”, sinistre chimere causa di buona parte dei mali del mondo, il cui amore non deve essere condiviso, né legalizzato, ma descritto come vizioso e perverso, finanche alla corruzione dei minori.

È però vero e sorprendente che avvisaglie di fermenti politici, le prime dopo anni di ristagno, stiano venendo proprio dalla destra. Le posizioni dei finiani si aprono quantomeno al dibattito sui temi delle unioni civili e per la prima volta questa destra inizia timidamente a somigliare a quella europea che già da tempo ha preso il volo verso vedute molto più democratiche. Ma chissà quanto peso riusciranno ad avere all’interno del Pdl, tale da portare a reali evoluzioni.

Eppure, il mistero resta sempre lì, non si dipana: per quale motivo il maiale vuole per forza essere invitato a cena dal macellaio? E non è neppure un numero marginale quello composto dai gay di destra.

Se è vero come le statistiche confermano, che gli omosessuali sono una media costante internazionale del 10% e se avessero votato compatti a sinistra Berlosconi sarebbe rimasto solo il pittoresco fondatore di canale 5 e non l’inquietante incarnazione di Citizen Kaine.

Se davvero fossimo coscienti del nostro potere di voto e avessimo una rappresentanza politica responsabile a quest’ora avremmo già iniziato a celebrare le prime nozze d’argento tra coppie omosessuali. Ma nonostante il rammarico di un’immaturità elettorale e di un’inconsapevolezza politica a me il gay di destra mi si deve ancora spiegare.

È una mia teoria pseudo-psicologica che può essere tranquillamente confutata ma io nell’attrazione degli invertiti verso il polo di destra ci vedo una forma neppure tanto inconscia di autopunizione. Una compensazione morale per essere, “purtroppo”, quel che non si vorrebbe. I tacchi interni di chi si sente troppo basso o la macchina sportiva per chi ha una S tra le gambe. Del resto se Di Tolve decide di flagellarsi fingendosi guarito grazie ad un matrimonio che ha mischiato al profumo dei fiori d’arancio la puzza putrida della menzogna c’è anche chi crede di poter espiare la colpa di una sessualità indesiderata ostinandosi a votare quanti sono convinti che uno come “lui” non abbia diritto di essere uno come “loro”.