domenica 30 dicembre 2007

GHEI PER NASCITA, VOLONTARI PER SCELTA. (parte II)


Sempre questo amico di un mio amico, mi parlava delle riunioni politiche che, in questa grande associazione che ha frequentato per 10 anni, avvenivano una volta a settimana.
Alla fine eravam…hem, erano sempre un po’ le stesse persone quindi l’attenzione che si prestava ai vari interventi era sempre la solita da coma vigile che si potrebbe avere durante l’estrazione dei numeri dell’lotto (quando ovviamente) non hai giocato la schedina. Certo di niu entri ce ne sono sempre ma è la solita diaspora da corte dei miracoli di altri che, come loro, sentitosi dire per l’ennesima volta: “Piuttosto che con te preferisco accoppiarmi con un pony di nome Geppettto”, preferiscono profondere le loro energie verso una più giusta causa (solo dopo però aver squarciato a morsi i pneumatici della macchina di quello stronzo).
Ma, a volte, seppur con la stessa rarità con cui si vede una lesbica indossare un tuin set di cascmir color cipria, appare qualche ragazzo (o ragazza, perché il discorso vale per entrambe i sessi) che riesce a guardarsi allo specchio senza che l’immagine riflessa non lo prenda a schiaffi gridandogli “sgorbio”. A quel punto avviene quella che con un giro di parole forse troppo criptica si può descrivere come “guerra fra poveri”.
Bisogna essere molto veloci perché se uno carino entra in una riunione politica lo fa:
o perché si è appena scoperto ghei e quindi, ancora ignaro delle potenzialità che avrebbe ballando senza maglietta in una discoteca, prova un approccio soft all’ambiente;
o perché è venuto a cercare un amico;
o perché condannato a lavori socialmente utili per 2 settimane.
In ognuno di questi casi, la sola parola d’ordine è: rapidità, perché uno molto carino non resta a lungo quindi, bisogna fare di tutto per cercare di farlo cadere in trappola.
Come solo dopo aver ascoltato tutto Baglioni in sala rianimazione, all’ingresso del bono tutti si riprendono dallo stato di coma perenne mostrando un’attenzione e una partecipazione ai dibattiti come non se ne vedevano dai tempi della Costituente intervenendo con suggerimenti e proposte degne di Gronchi e di tutti i padri fondatori della Costituzione Repubblicana. Infatti, chi ha mostra, e se non hai nulla da mostrare, che almeno ti si faccia notare per l’intelligenza.
La percentuale di bei ragazzi caduti nella trappola è sempre mediamente molto bassa ma sono quelle rare volte che accade (e delle quali poi si continua a parlare per anni sconfinando quasi il racconti leggendari) che foraggiano la speranza che ancora fa si che ci siano volontari nelle associazioni anche se, proprio per questo mi chiedo: ma che siano le associazioni stesse in periodo di calo di vocazioni, ad assoldare qualche bel ragazzo per farlo partecipare a queste riunioni?

venerdì 28 dicembre 2007

GHEI PER NASCITA, VOLONTARI PER SCELTA. (parte I)


Se in discoteca i soli a rivolgerti la parola sono i guardarobieri quando ti dicono “sono 3 euro, grazie”, se nelle ciat sei costretto a mettere la foto di un tramonto scaricato dal sito “i 1000 sfondi per il compiuter più belli del mondo” e quando poi ti chiedono di vedere una tua foto non si prendono neppure la pena di dirti “schiatta”, se il tuo ingresso in sauna causa scene d’esodo da “I 10 comandamenti” di De Mil allora, è giunto il momento entrare come volontario in una delle centinai di associazioni omosessuale che ci sono in Italia.
E’ una specie di corollario matematico: se non rimorchi nei locali, vai nelle associazioni.
E’ un po’ la sorte del secchione della classe. Magari è brutto come uno scatarro d’anziano ma, prima o poi, per farsi passare un compito o per avere qualche ripetizione da lui ci devi andare ed è proprio li che, se se la gioca bene, una smucinata nel seminterrato capace che la rimedia pure.
Si perché lavorare nelle associazioni ghei come volontario ti da subito quell’aura di credibilità e di impegno che a gli occhi di tutti ti fa acquisire quel centinaio di punti che ti porta così a un punteggio di sole – 300 rispetto ai soliti boni che non si sognerebbero mai di andare a manifestare, magari in piena estate, sotto l’ambasciata Irakena che ha condannato a morte due ragazzini che sono stati scoperti mentre si baciavano, rischiando la carica della polizia, una fatva da parte di qualche Mulla e, cosa ben più grave, rinunciando ad una giornata di mare.
Il volontario (beh, se conosco bene questa figura è solo perché lo faceva l’amico di un mio amico e me ne ha parlato) però paga lo scotto di questo scampolo di encomiabilità asservendosi completamente alla causa. Per carità, non che lo faccia per puro interesse, ma diciamo che è un compromesso equo: l’associazione ti permette di tirartela con amici e conoscenti facendoti sembrare una specie di Mahatma Gandi al punto che, in un delirio di onnipotenza, pretendi pure di non pagare ai caselli dell’autostrada ma tu in cambio devi soffiare palloncini fino all’enfisema per le serate di presentazione di libri nella sede dell’associazione e sei costretto a rispondere al telefono della segreteria dove, 6 volte su 10, appena alzi la cornetta ti senti dire “ma è vero che lo prendete al culo?” (suond effect: sghignazzo adolescenziale).

sabato 22 dicembre 2007

O LI FACCIO ADESSO O MAI PIU'.


















Auguri di Buon Natale innanzitutto a chi non sente lo spirito del Natale perché trova ipocrita dover fare auguri e regali solo perché è Natale. Sarà che non so distinguere bene chi mente da chi parla con sincerità ma a me ricevere gli auguri fa sempre piacere, non vi dico poi i regali.
Auguri (con il tono con cui li si fa a chi parte per una missione in Irak) a chi come me, da dopodomani sarà ostaggio della propria famiglia, costretto a 3X anni a mangiare ancora nel tavolo “dei ragazzi” mentre gli anziani continuano a confondere il mio nome con quello di mio fratello.
Auguri a le persone che ho conosciuto quest’anno e soprattutto a chi di loro, per evidenti patologie mentali, mi frequenta ancora.
Auguri a chi quest’anno ha trovato l’amore e a chi invece ha trovato un lavoro perché ne sono rimasti pochi dei primi e pochissimi dei secondi.
Auguri, ma soprattutto complimenti, a chi quest’anno ha pensato di fare auting (ndr: ovvero confessare i propri pruriti nel di dietro) con il proprio genitore vecchio e infermo: avete trovato il modo di commettere il delitto perfetto, nessuno vi potrà mai mandare in tribunale.
Auguri a chi riesce a mettere le corna al proprio compagno nei parcheggi, venir beccati essere lasciati ma riuscire a far passare il ragazzo per insensibile venendo compatito dai propri amici. E’ per gente come voi che Silvan s’è ritirato.
Auguri a chi sparisce senza lasciare tracce. Gli alieni esistono davvero e continuano impunemente a condurre esperimenti su di noi in vista dell’attacco finale. E poi non dite che non ve lo avevo detto.
Ancora tanti auguri a chi ha eletto i puntini di sospensione a filosofia di vita e ti dice ancora: “sei una persona fantastica ma…”. “Sono una persona fantastica ma tu sei un pezzo di merda!”. Ecco come vanno chiuse certe frasi.
Di tutto cuore a chi ha appena scoperti di essere omoricchionme. Vi poteva andare peggio, potevate essere rapiti durante un viaggio di piacere in Brasile ed essere catturati per farvi espiantare gli organi venduti poi su internet (a parte questo unico caso, altre ipotesi peggiori non ce ne sono tra quelle elencate sul prossimo best seller di Paulo Cohelo “La profezia dello sfigato”).
Auguri a chi è così onesto da ammettere che le feste delle lesbiche sono divertenti come la via crucis del venerdì santo.
Auguri a chi sarà costretto a passare le feste in ospedale perché gli dice talmente male che il loro caso non viene neppure mensionato nel sopraccitato prossimo volume del magnifico Coelho.
Auguri a chi indaga sui delitti di Perugia e Garlasco perché trovare la soluzione è facile come seguire il filo di un discorso di Renato Zero. Fate una cosa, tirate a indovinare tanto mi pare che li il più pulito c’ha la rogna.
Auguri a Bush perché dimostra ogni giorno di essere davvero un idiota. Bravo com’è a far bere le cazzate che dice avrebbe fatto più dollari con la vendita di accorcia peli da naso di quanti ne farà mai favorendo i suoi affari attraverso le politiche estere del suo governo.
Auguri al Santo Padre che continua a parlare d’amore tra i popoli, di clemenza e tolleranza reciproca e di come chi non la pensa come lui sia l’incarnazione di Satana, causa principale dei mali del mondo, doppie punte comprese. Di auguri ne ha davvero bisogno visto che IlPadreEterno esiste e che lui ormai c’ha 90 anni.
Auguri ai politici italiani perché se non fossero esistiti Pleistescion, Sd e pacchi alle otto erano davvero cazzi amarissimi.
Auguri ai cervelli italiani in fuga perché se non sai fare un cazzo di trenino la domenica pomeriggio in diretta nazionale è giusto che te ne vada a fare il saccente da qualche altra parte.
Auguri in fine a tutti i miei amici perché hanno imparato a rispondermi con benevola accondiscendenza e, soprattutto, con sufficiente credibilità ogni volta che chiedo loro “ma secondo te, c’ho qualcosa che non va?”.

PS: baci sotto il vischio, stasera all'Alpheus.

martedì 18 dicembre 2007

L WORLD e il mondo fantastico


Da Feltrinelli i cofanetti di telefilm sono divisi per generi.
Volendo comprare la prima serie di L World vado quindi sparato alla sezione dedicata al genere fantascienza ma non lo trovo.
Chiedo allora ad un commesso e mi spiega che il telefilm che sto cercando si trova nello stesso reparto di Despereit Ausuaif e Greis Anatomi. Ora, se c’è una cosa che proprio non sopporto è l’incompetenza. Ma come fai a mettere un telefilm che parla di lesbiche in grado di distinguere un rossetto da un fondotinta e che non credono che Paco Raban sia un campione di lotta libera messicana in un reparto che non sia di Saiens-ficscion?
E’ per questo sue essere assolutamente inverosimile che sono un appassionato della serie tanto quanto lo sono della trilogia del signore degli anelli e dei programmi politici di Veltroni sul PD.
L World, siccome non stiamo parlando dei Promessi Sposi e quindi non è detto che tutti sappiano di cosa sto parlando, è la versione lesbo scic de “Il bello delle donna”, con la sola differenza che la sceneggiatura non sembra uscita dal quaderno dei temi di una bambina di terza elementare, le attrici sanno recitare e ogni 25 minuti se la leccano e se la sgrillettano (termini scientifici per indicare rapporti intimi tra duo o più donne).
Sono tutte belle, tutte di successo, tutte vivono in case meravigliose, si truccano e si vestono sempre in maniera impeccabile, in pratica sono dei froci con la patatina.
Certo il paragone con la realtà poi è piuttosto stridente e il telefilm è stato criticato dalla comunità lesbica stessa che non si riconosceva nei personaggi del telefilm più di quanto non lo possano essere i neri d’America rispetto al candidato alle presidenziali Barac Obama.
Le lesbiche che conosco io non sanno cos’è una scheda colore, la piastra la usano per imprimersi a fuoco il nome della ragazza sulla spalla e ammortizzano il falciaerba per fare lavori di giardinaggio e radersi i capelli. Non vanno in giro con Audi A4 ma con furgoni combinati della Iveco, al posto delle poltrone in casa hanno dei tori meccanici e hanno fatto formalmente richiesta al comitato olimpico internazionale di inserire la caccia al cinghiale a mani nude come disciplina dimostrativa alle olimpiadi di Pechino del 2008.
E poi qui stiamo parlando di un telefilm dove non accadono risse, dove le coppie si lasciano senza neppure spaccare una bottiglia puntandosela reciprocamente alla gola (che è pure sempre un modo carino per dirsi addio).
Certo ora non è che voglia generalizzare, sarebbe come dire che tutti i ghei sono delle femmine mancate (forse ho scelto un paragone poco efficace) perché di lesbiche femminili ce ne sono, come quelle che vengono chiamate Lipstic (ndr: rossetto, in una lingua straniera a me ignota) ovvero delle lesbiche talmente femminili, talmente scic e talmente rare che, o come in Giurassic Parc, catturi la zanzara che ha punto la pelle dell’unico esemplare e la cloni o tanto vale continuare a credere che ne esista una colonia tanto folta come uno stormo di Dodo australiani.
Dedicato alla mia amica E. che compie gli anni.

sabato 15 dicembre 2007

le mille luci del natale


















Lo strano fenomeno di bagliore notturno che da ieri sera è visibile in tutta Italia non è uno dei fenomeni collegati al cambiamento climatico (anche se ormai pare che dipenda tutto da quello, sciopero dei trasportatori compreso) ma proviene dalle decorazioni di natale che io e “uno dei miei coinquilini” abbiamo montato.
Casa nostra è talmente luminosa che adesso dalla luna, oltre alla muraglia cinese e il Gran Chenion e possibile vedere anche casa nostra. E’ per questo che stamattina abbiamo mandato una raccomandata alla Casa Bianca spiegando che l’aumento di consumo energetico in via XXX non è dovuto ad un esperimento per la produzioni di armi nucleari e che quindi evitasse di bombardarci.
Abbiamo messo luci ovunque, intorno al nostro fantastico albero, all’ingresso, nelle camere, sul pianerottolo e, ormai invasati dal sacro furore delle lucine, siamo entrati a forza dalla vicina come i drudi di Arancia meccanica e l’abbiamo avvolta con 12 metri di fili argentati e costretta a cantare Tu scendi dalle stelle tenendo il puntale dell’albero in bilico sul naso.
Adesso praticamente chi entra in casa nostra non sa se è in un appartamento romano o sulla strip di Las vegas.
Ovviamente dopo tutti gli avvisi fatti dai telegiornali sull’attenzione da portare ai marchi di garanzia che solo i prodotti europei garantiscono, noi abbiamo pensato bene di affidarci totalmente ai negozi cinesi. In effetti anche i loro prodotti hanno sulle confezioni i marchi di garanzia della CE ma il fatto che siano scritti a penna non ci ha dissuasi affatto. La sola cosa che mi lascia perplesso e che i cinesi hanno una lunga tradizione di fuochi d’artificio piuttosto che di luci di natale per cui spero proprio di non essere io il botto più grosso di capodanno venendo sparato come la torcia umana direttamente a Vienna sul palco del concerto del primo gennaio.
Allestire questa magia di luce non è stato affatto semplice. Solo ieri saremo andati dai cinesi almeno 4 volte. Del resto, si sa, mettere le luci di natale è come la preparazione del ragù (versione napoletana): più aggiungi e meglio viene. E siccome più addobbi mettevamo più scoprivamo qualche angolo della casa che meritava di essere caricato come un carro di Viareggio, alle 8 di sera, eravamo ancora da Lu Cin che non solo grazie a noi adesso può far venire in Italia anche il resto della famiglia con un comodo volo della Emireits invece che nelle cassette di frutta stipate nella cella frigorifera di un camion ma, vista ormai la confidenza, ci ha anche chiesto di tenere a battesimo la figlia appena nata.

giovedì 13 dicembre 2007

IL NATALE DEL POVERO


Lo giuro, non ho mai fumato quindi, almeno sulla qualità e la pulizia dei polmoni posso garantire, se trattati con Argentil e appesi ad una parete potrebbe fare il loro figurone anche come specchiere. Di questi ne offro uno.
Venderei la coppia ma il polmone d’acciaio è un capo che non mi spiomba particolarmente bene addosso e poi non vorrei rischiare di essere rimorchiato da Giancaldo, il boiler scalda acqua della Ariston.
Sulle cornee, vale lo stesso discorso. Una è tutta quella che posso offrire e del resto trovo che una pezza nera su un occhio e un gatto d’angora in grembo mi darebbe quel tocco di fascino e mistero che rincorro sin da quando vidi per la prima volta Adolfo Celi nella parte del cattivo della Spectre in 007-Tanderbol.
Il fegato, eviterei. Con tutto l’alcol ingerito ormai sembra più una ciliegia al maraschino che un organo interno e poi essere condannato per spaccio di materiale difettoso è l’ultima cosa che potrei sopportare al momento.
Darmi alla prostituzione sarebbe un’idea ma ho già problemi a trovare qualcuno che mi si prenda gratis figuriamoci a pagamento e poi, diciamocelo, la natura ha lesinato in generosità (i soliti ben informati mi hanno confermato che al momento in cui dio doveva donarmi gli attributi era ancora esausto per l’impegno profuso per un certo Siffredi Rocco).
Da stamattina le sto pensando un po’ tutte per migliorare la mia condizione economica visto che quest’anno, anche questo, di aumenti non se ne parla.
La spiegazione? Ho provato a chiederla a chi di dovere ma leggendo nei suoi occhi lo stesso smarrimento di un cucciolo d’alce immobilizzato davanti ai fari di una giardinetta lungo una strada di montagna ho capito che avrei avuto una risposta positiva tanto quanto chiedere al Papa se ha una mezz’ora di tempo per unirmi in matrimonio con un altro uomo in un rito interreligioso con il rabbino capo di Roma e con Luxuria come testimone della sposo (uno dei due a caso).
Il fatto che non mi sia laureato per non aver fatto un unico, ultimo esame di economia all’università, la dice lunga su quanto ne capisca di bagget e cose del genere. Ho provato a chiedere però a chi se ne intende e pare che sia tutta colpa della legge dell’entropia secondo cui se una farfalla sbatte le ali nei Caraibi causa una recessione economica nel mio ufficio.
A fronte di questa sconvolgente notizia ho deciso di mandare una richiesta formale al consiglio dell’Aia chiedendo di reintrodurre il calendario druido preistorico fatto di 23 giorni mensili. Chi volesse sottoscrivere la petizione può recarsi nei banchetti allestiti in tutti i centri della Caritas sabato e domenica prossimi. Riceverà una spilla da mettere sul bavero della giacca con su scritto “vuoi arrivare alla fine del mese? Non chiedermi come!” e un pranzo al sacco così, almeno un pasto questo mese lo sfanghiamo.

mercoledì 12 dicembre 2007

DOPO LA FESTA, GIRA LA TESTA.


















Toc, toc.
“Chi è?”
Toc, toc.
“E’ difettosa. Dai un colpetto con il piede alla parte bassa dello stipide oppure piazza un candelotto di dinamite”.
La porta alla fine si apre ed entra un pezzo di pizza bianca farcita con provolone e mortadella che, piangendo lacrime di grasso guardandomi con occhi supplichevoli.
“Hai ragione. Stai sul tavolo da ieri sera, se vuoi puoi andare. Dillo anche alla torta avanzata e ai chili di patatine sparse ovunque”.
Il poverino cambia subito l’espressione di contrizione con una di gioia (per quanto la possa esprimere un tocco di pizza ormai rinsecchito). Prende la rincorsa e si lancia dalla finestra non senza prima rivolgere verso di me un angolo di crosta che a me sembra tanto un dito medio alzato.
Mi ci sono voluti tre giorni di ramazza, una tanica di sgrassatore, 12 buste della mondezza, 120 gocce di novalgina (non tutte insieme solo perché avrei detestato essere ricoverato in ospedale con le mutande a fiori che solitamente porto i giorni speciali, una canotta lercia e lo suiffer strretto nel pugno per il rigor mortis). Ad aiutarmi nell’impresa il “Grande libro dell’esorcismo” per eliminare le tracce del maligno che si appalesa ogni volta che faccio una festa a casa. Non capisco come sia possibile. Eppure alle feste degli altri io ci vado e alla fine il loro appartamento non sembra il set di Lost con pezzi carlinga di un 747 è sparpagliato ovunque.
Per fortuna quest’anno, come gli ultimi 2, mi sono dato una regolata riducendo la lista degli invitati da un numero pari ai signori Rossi presenti sugli elenchi telefonici di tutt’Italia ad una più modesta cinquantina di persone. Gli scorsi anni chiamavo persino un amico dj per mettere musica e gli invitati erano talmente tanti che si creava quell’effetto intasamento che puoi vedere solo a Piazza del popolo la notte del 31 dicembre verso le 23, 58 o sul 117, il bus elettrico omologato per 20 ma che, aspirando alla celebrità immortale che regala solo il libro del Ghinnes dei primati, inizia a saltare le fermate solo dopo l’ingresso dell’ottantesimo passeggero.
Sabato mattina appena sveglio sapevo che mi sarebbe toccato pulire tutto e il primo pensiero è stato quello di scendere dal ferramenta e comprare una tanica di trielina, cospargere il pavimento, dando poi la colpa a una famiglia di zingari con la testa nei cassonetti della GS.
Salto giù dal letto e resto inchiodato dallo strato di coca cola, mista a vino, mista a vodka, mista a greggio disperso da qualche petroliera mista a vinavil sniffato per sballarci come i ragazzini che vivono sotto i ponti di Mosca e mi prendo una contrattura femorale per riuscire a muovere i passi necessari a raggiungere i solventi dell’Ansaldo che riuscirebbero a sciogliere anche la porta in acciaio del cavò della Banca Svizzera.
Come non bastasse in capo a tre ore sarebbe arrivato dall’Abruzzo mio padre per pranzare insieme. A nulla è valso il mio disperato tentativo di bloccarlo millantando febbre altissima. Io lo conosco, non è vero che non si era accorto del messaggio, semplicemente l’ha ignorato come fa per tutto ciò che non rientra nei suoi programmi, ex moglie compresa.
A causa quindi di un pastone ansiogeno composto da gavettoni di alcol, sostanze stupefacenti varie, pensiero fisso del sudicio sparso per casa, l’imminente arrivo di mio padre e un virgulto ancora mollemente addormentato nel letto, sì giovane ma che russava come il Mangiafuoco di Pinocchio, non ho chiuso occhio.
Alle 11 si presenta mio padre con mio fratello. Io ormai sembravo Laura Palmer al momento del ritrovamento ma siccome mio padre ha lo spirito d’osservazione di Mister Magù ha avuto il coraggio di dirmi: “Ti trovo in splendida forma!”, ignorando quelle graziose rientranze suboculari profondi come due acquasantiere.
Iniziando poi a volteggiare tutto eccitato come Giuli Endrius mi propone: “Dai usciamo, andiamo a pranzo insieme!”. Sono questi i momenti in cui speri siano veri quei casi di autocombustione di cui hai sentito parlare nei documentari di “Italia Misteriosa” di Medail che andavano in onda a mezzanotte su canale 5 nei primi anni novanta. Ma niente. Conoscendo poi mio padre mi avrebbe lanciato una brocca d’acqua sul corpo in fiamme e mi avrebbe detto: “dai non è niente, muovo quel culo di piombo e andiamo a mangiare che ho fame”.
Io sentivo già la mano scheletrica della morte grattarmi il culo. Non è che sentissi freddo per la temperatura esterna, lo emanavo direttamene io il freddo. Mio fratello mi guarda e fa spallucce, vede che sono a un passo dalla lapide ma anche lui sa come me che la sola speranza per fermarlo sarebbe che L’Italia si spostasse magicamente su la faglia di Sant’Andrea venendo inghiottita dal big Uan al posto della California.
Su una busta raccattata sul tavolo tra quelle contenenti i biglietti d’auguri scrivo “grazie a chi mi ha voluto bene”, lo riguardo mi accorgo che, per gli spasmi del freddo, sembra il grafico su carta millimetrata per i rilevamenti dei decibel più che un testamento e lo straccio.
Il bello di uscire con mio padre è che anche se non hai nulla da dire, anche se ti addormenti o svieni o vieni rapito da un commando di brigadisti e usato come riscatto, lui parla, parla, parla…
Due minuti dopo essermi seduto al tavolo entro in contatto con entità celestiali vestite con abiti di organza (anche le mie visioni risentono per una frocesca inclinazione per l’eleganza) che, ballando sulle note “Carlest Uisper” degli Uam, (vedi concetto sovraespresso) iniziano a giocare a tuzzico rampicino con i tre neuroni sopravvissuti alla nottata e, alla fine, mi rivelano la formula segreta della Coca Cola sparendo in una nuvola di cipria.
Alla fine del pranzo mio fratello riaccompagna mio padre alla stazione che ribadisce quanto parlare con me gli faccia sempre tanto piacere quindi sale sul pulman dove trova alcuni compagni di viaggio che, già traumatizzati dalla sua logorrea all’andata, tentano l’estremo cercando di strangolarsi con le loro stesse mani. Lo salutiamo dalla macchina o almeno è quello che fa mio fratello visto che ormai sono ridotto a una medusa spiaggiata ed è per questo che mi afferra un avambraccio e lo scuote in direzione del pulman facendo sembrare quasi naturale il mio saluto con la mano.
Chiedo allora a mio fratello di avere pietà di me e di recidermi in cervelletto con un colpo secco di Pensilvenia alla nuca (per chi non lo sa è la spazzola tonda usata dai parrucchieri professionisti per la messa in piega, mio fratello fa il rappresentante per una casa cosmetica e quindi la sua macchina è il paradiso che vogliate alzare qualche euro travestendosi come la Santanché o cercare armi contundenti alle quali mai nessuno dei RIS riuscirà a risalire).
Ma lui è il buono della famiglia e mi scarica semplicemente sotto casa. Raggiungo il divano facendomi un giaciglio con le confezioni dei regali dilaniate. Il resto è oblio.
Mi risveglio solo molte ore dopo con un biglietto d’auguri appiccicato sulla fronte. Vado in bagno, lo stacco e scopro che ho qualcosa sulla fronte, sembra una scritta. Mi avvicini allo specchio del bagno per leggere meglio e penso subito a un’altra rivelazione delle fatine nel mio cervello. Sì, sono state sicuramente loro! Leggo ma ovviamente non capisco visto che è stato scritto nella loro lingua magica. Comunque, qualcuno di voi sa per caso cosa possa significare: ! IRUGUA ITNAT?

mercoledì 5 dicembre 2007

34


24 ore di travaglio. Ma del resto, io di passare per quella fessura stretta e pelosa non ne avevo assolutamente intenzione. Ma siamo matti? Mi sono sempre rifiutato anche solo di vederne una, figuriamoci passarci attraverso. Quindi, con una certa propensione per il melodrammatico, benché di mia madre, piuttosto che sgusciare fuori attraverso “quella cosa che neppure nomino”, ho preferito attorcigliarmi il cordone intorno al collo minacciando il suicidio e costringendo i medici a praticarle un parto cesareo.
Un maschio, il primo. Frutto di anni di tentativi, di pellegrinaggi al divino amore e di ex voto alla Madonna, uno tra i tanti di quei cuori di marmo con su scolpito P.G.R. che si possono ancora vedere a Largo Preneste, a 5 minuti da Muccassassina (vedi poi uno dice che non deve leggere i segni che il destino ci manda).

6/12/19XX




Domani sarà il mio compleanno, almeno quello che i miei genitori adottivi hanno scelto come tale. Perché io mi rifiuto di credere di essere nato a dicembre e, di conseguenza essere un sagittario. Questo doveva essere l’anno astrologico della svolta, della fortuna sfacciata e della realizzazione assoluta in amore e nel lavoro.
Io un anno più infame di questo credo di non averlo mai vissuto. Si ci sono stati periodi difficili della mia vita come lo sconfinamento nella taglia 50 a 15 anni, la traduzione di un dialogo di Platone al liceo che parlava dello splendore dell’anima che rende la navigazione della vita più sicura, da me tradotto come l’affondamento di una flotta per mezzo di frecce infuocate facendomi ottenere il voto più basso nella storia della mia sezione dall’anno della fondazione del liceo alla fine dell’800: 2 meno, meno, o beccare il mio ragazzo dire al telefono ad un altro: “…si che ti amo”, non essendosi accorto che, in stanza, dietro l’anta aperta dell’armadio, c’ero io che ero andato a prendere una maglia che avevo comprato per lui e che stavo per regalargli, ma quest’anno, considerate le fantastiche premesse, non è stato sto fuoco d’artificio.
Quindi io, credendo ciecamente nell’esattezza scientifica dell’astrologia, seconda solo a quella della fisica, non posso che dubitare del fatto che i miei in realtà mi abbiano trovato sulla soglia di qualche chiesa nel dicembre di molti anni fa, decretando quel giorno come mio compleanno e che, forse, la mia reale data di nascita sia un’altra (ecco perché il numero speciale di Astra di dicembre con le previsioni per l’anno in arrivo me lo leggo tutto, dall’inizio alla fine, dedicando la stessa attenzione a tutti i 12 segni).
I meglio informati mi tranquillizzano di essere fiducioso, che questo è stato l’anno della “semina” e che i frutti si vedranno nel 2008. Io non voglio essere il solito scettico ma se pianti un broccoletto, la vedo dura veder spuntare un cespuglio di rose.
A quanto pare infatti il prossimo anno la congiunzione di Giove con il mio Sole di quest’anno si trasformerà in un sestile, che per quanti credono che i tarocchi sono solo una varietà di arance, è un aspetto planetario molto propizio.
Visto che con l’età sopraggiunge anche un vago senso di rassegnazione e una insperata pazienza, io adesso vedo che succede anche nel 2008 dopo di che, se le cose dovessero seguitare ad andare male, becco quei due disgraziati dei miei e, minacciandoli di spedirli in ospizio a gareggiare con gli altri vecchi a chi si piscia prima sotto, li costringo a cacciare fuori la mia vera data di nascita.

martedì 4 dicembre 2007

IL BELLO DI UN VIAGGIO NON E’ LA DESTINAZIONE MA IL TRAGITTO.



Ho deciso cosa farmi regalare tra pochi giorni per il mio compleanno: una seduta spiritica per parlare con Torpalock, ovvero quello che la zingara di Piazza del Popolo, qualche anno fa, mi rivelò essere il mio spirito guida (sotto compenso di 5 euro).
Devo assolutamente chiedergli io nella vita precedente chi ero.
In ballottaggio abbiamo:
1) un negriero spagnolo che sterminò un intero villaggio africano gettandolo dalla nave durante la tradotta in America per alleggerire l’imbarcazione durante una tempesta;
2) Erode, per il ben noto fattaccio della “Strage degli innocenti”;
3) L’inventore della ceretta a caldo per le sofferenze inflitte a milioni di inguini femminili ogni anno.
Perché altrimenti il mio carma, nonostante le porcherie commesse in questa vita da me medesimo, non giustificherebbe tanta sfortuna.
Venerdì mattina arrivo con i miei amici all’aeroporto per prendere un volo diretto a Stoccolma che, in questo periodo, da il meglio di sé: temperatura oscillante tra i -12° e i -45°, con il sole che tramonta alle 2 e mezza e un’umidità da acquario dei pesci rossi.
Sapevamo che ci sarebbe stato lo sciopero quel giorno ma sarebbe dovuto cominciare un’ora dopo la nostra partenza, per questo eravamo già pronti a fare pernacchie mettendo il braccio a manico d’ombrello a tutti quelli che avrebbero visti cancellati i loro voli gridando sguaiatamente: “viaggiatori!!”, seguito da un elegantissimo pernacchione. E, invece, come Alberatone Sordi nei Vitelloni, alla fine c’è toccata la stessa sorte.
L’altoparlante ci comunica che, invece di dare la sola solo ai passeggeri dei voli che partono dalle 11 in poi, è segno di maggior democrazia cancellare anche quelli precedenti. Neppure ci avessero comunicato che la nazionale di Regbi Italiana l’avrebbe dato solo ai primi 7 che avessero raggiunto il banco informazioni, abbattiamo i record dei 200 metri di Liuis dell’ ’84 precipitandoci al banco delle informazioni per sapere per quale motivo fossero stati cancellati tutti i voli. Lì ho avuto la conferma: quando una compagnia aerea vuole fare tagli sul personale costringendo gli impiegati a licenziarsi o, come in questo caso, ad abbandonare il posto di lavoro con un teatrale suicidio lanciandosi nella turbina in azione di un 747, lo mettono al servizio informazioni durante i giorni di sciopero. Ma, poco prima del suo gesto estremo, l’impiegata della Raianer fa di tutto per trovarci una soluzione visto che avevamo deciso che noi, comunque, in Svezia ci dovevamo andare.
Da lì, il delirio di tragitti alternativi per aggirare il blocco degli scioperi. Ad eccezione del risciò a pedali e del carretto siciliano trainato da una coppia di poni, per il resto le abbiamo provate tutte. Alla fine le alternative erano: un Roma/Liverpul/Stoccolma con una sosta comoda di 10 ore nel aeroporto che, per varietà di negozi e possibilità di svaghi, è secondo solo a quello di Noril'sk, attracco dismesso dell’esercito sovietico nella regione settentrionale della Siberia, per poi ripartire in serata;
un Roma/Pisa/Stoccolma che avremmo potuto raggiungere in macchina in poco tempo (ipotesi poi sfumata a causa della sparizione della destinazione dal terminale della futura suicida che ormai, con un filo di voce e dandosi dei colpi alla testa con la cornetta del telefono, ci dice: “non capisco, Pisa era qui fino a un secondo fa!”, per cui non si è capito bene se Pisa sia stata risucchiata dalle viscere della terra o cosa);
Roma/Treviso/Stoccolma.
A quel puntolo sono rassegnato: inventerò di esserci stato lo stesso, mi leggo la guida di Stoccolma, e, se mi ci metto d’impegno, tra fotosciop e immagini scaricate da internet riesco anche a testimoniare il viaggio con degli scatti di me che insegno la tarantella a Victoria, l’erede al trono di Svezia, dandole delle pacche sul culo.
A quel punto, non so quale dei miei compagni di viaggio se ne esce con un’idea degna del reportag di punta del numero di gennaio di Nescional Geografic: “Beh, prendiamo una macchina in affitto, andiamo a Treviso e partiamo da lì”. Io ora di Treviso, so solo che sta a nord ma per me nord è anche Viterbo quindi non mi è subito chiaro dove sia e, sulla scia dell’entusiasmo (o più precisamente isteria collettiva) decidiamo di noleggiare una macchina e partire. Di minivan non se ne parla neppure, all’aeroporto la più spaziosa che ci possono dare è una Opel Zafira che ti vendono come omologata per 7 ma appena ce la danno salta subito all’occhio che questi 7 devono essere i nani di Biancaneve.
Essendo io e il mio amico “costumista quasi affermato” i più bassi del gruppo (primato conteso con metro alla mano e vinto per una manciata di millimetri con un altro amico), ci caricano dietro in uno spazio comodo come una vaschetta per fragole (Ballarò ha cambiato in corso d’opera una puntata dedicata alle condizioni disumane di viaggio in gommone dei profughi nordafricani verso la Sicilia con il nostro verso Treviso). Solo dopo essermi svitato le ginocchia ed essermele messe in bocca, partiamo. Dopo pochi metri un altro amico svolge la cartina stradale e, neppure ci avessi letto sopra la mia data di morte, mi prende un colpo quando scopro che Treviso è più a nord di Viterbo, più a nord di Firenze, più a nord di Bologna. Quando vedo il suo dito andare ancora più su, perdo i sensi e mi riprendo solo all’autogrill di Signe dove vengo fatto rinvenire annusando un Ortolana condita con aceto e smalto solvente per vernici.
Alle 23, finalmente tocchiamo il tropicale suolo svedese, solo 8 dopo il nostro previsto atterraggio.
L’aeroporto è quello di Svanska, una multiproprietà che la Raianer condivide con gli elfi assistenti di babbo Natale e, visto che non abbiamo ormai più neppure l’energia di svitare il tappo di una bottiglietta d’acqua, chiamiamo un taxi per evitare il letale tragitto in pulman fino a Stoccolma, a più di un ora da lì.
Arriva il tassista che ci carica sul minivan, destinazione Hotel Clarion. Dopo neppure 15 minuti di tragitto nel buio più totale visto che degli studi scientifici hanno appurato che la luce dei lampioni stressa gli alberi di betulla ingiallendone le foglie (questa è gente che si fa incatenare ai fusti d’albero per evitare che diventino delle mensole di Ikea) iniziamo a vedere che l’autista ci sta portando esattamente all’opposto rispetto alle indicazioni per Stoccolma. Nessuno di noi fiata visto che immaginiamo sappia quello che sta facendo anche se io gia mi vedo come un protagonista di “Ostel” mentre vengo seviziato da qualche ricco allevatore di renne in una fabbrica dimessa di slitte.
Alla fine avviene quello che neppure l’autore più sadico di “Scherzi a parte” potrebbe inventare: parcheggia sì davanti al Clarion Otel ma quello di Regenvart (o come cazzo si scrive), un paesino con solo 4 case e un negozio di armi e cappi in corda disperso nel nulla e il cui unico edificio era appunto l’albergo. Ora, dimmi che eravamo troppo tramortiti per cantare YMCA con la coreografia olimpionica durante il tragitto, dimmi che al buio non si vedeva il trucco sul viso de “La coppia da operetta” (due miei amici fidanzati e ultime spiagge sentimentali reciproche) intitolata da loro “Notti scandinave”, dimmi pure che per gli svedesi etero, ghei, bisessuali, cacciatori di renne o pervertiti vari sono tutti uguali, ma mi spieghi cosa ci dovrebbero fare 8 ricchioni italiani in un paese di 45 abitanti e con un tasso di suicidio annuale del 45%?
Risolta quindi l’incomprensione, il tassinaro ci porta finalmente a Stoccolma, davanti il “nostro” Calrion Otel, ma non senza prima essersi perso altri 20 minuti sulla tangenziale sotterranea della città, dal momento che, il navigatore satellitare, in quel momento, stava evidentemente trasmettendo l’episodio finale della quarta serie dei Teletabbis.
Comunque il viaggio è andato bene.