lunedì 24 settembre 2012

RITARDI, RICORDI.

Ieri sono passato per caso a San Lorenzo. Dovevo vedere un amico e per non farlo perdere nell’intrico del quartiere gli ho dato appuntamento sotto la mia vecchia casa. Ho vissuto in quell’appartamento per quasi 10 anni. Lì ho imparato a caricare una lavatrice, a pagare le bollette, a coabitare con persone che non erano della mia famiglia e nel frattempo la storia d’amore che credevo mi avrebbe accompagnato alla vecchiaia è finita. In quella casa c’ho aperto il mio blog, scritto un libro, perso un lavoro e alla fine è arrivato anche lo sfratto. Ero lì sotto mentre il mio amico tardava e con curiosità nostalgica fissavo le finestre del primo piano che corrispondevano alla mia camera. Le imposte erano aperte e intravedevo una bandiera americana appesa al muro, altro non riuscivo a vedere. Mentre allungavo il collo mi immaginavo come i nuovi inquilini avessero arredato la casa, che cambiamenti avessero fatto, se si fossero chiesti che ci a abitava prima, esattamente come me lo chiedevo io di loro adesso. Poi vedo una ragazza affacciarsi dalla cucina. Giovane, carina, aveva lo sguardo assonnato della domenica mattina e una canottierina perfetta per il suo corpo esile. Non so se si è accorta che la stavo guardando, forse sì. Si sarà chiesta chi fossi? Avrà creduto che stessi ammirando lei o incredibilmente avrà intuito che ero “quello” prima di lei? Non credo. Mentre il mio amico continuava ad accumulare ritardo, io me ne restavo lì sotto, impalato, con lo sguardo fisso alle finestre come un amante rifiutato e ho iniziato a ricordare la cassiera depressa della GS, Celestino e il suo bar sotto casa, la trans triste, la cieca che passava tutti i pomeriggi anticipata dal rumore del bastone battuto sui muri dei palazzi, i cani delle “zecche” legati con la corda, gli amori che invece erano calessi, le bevute che ti storcono la mente, i pranzi con gli amici “tutti in piedi perché non ho sedie, eh!” e gli studenti calabresi ubriachi alle 4 del mattino che cercano di farsi qualche collega sempre troppo poco bevuta per dirgli di si e io, insonne, che sento nel silenzio della via le loro conversazioni biascicate osservandoli dalle persiane socchiuse. Grazie amico per il tuo ritardo.

sabato 22 settembre 2012

IKEAL POLITK

il nuovo spot di Ikea sta avendo un successo incredibile, soprattutto tra i gay. Per la prima volta in Italia viene rappresentata una coppia omosessuale che, lungi dall'essere Renato&Alben, incarna il desiderio di moti di essere coppia senza fingersi altro. E quel “E’ arrivato il momento di dire basta” da slogan commerciale diventa quasi un incitamento politico. Lo speker prosegue spronandoci ad abbattere le convenzioni con quel filo di retorica che potrebbe sembrarci eccessivo se pensiamo che lo sta dicendo con l’intento di farci comprare il divano Granculla, ma noi, forse davvero stanchi delle porcate che ci circondano, vogliamo leggerci anche dell’altro, e ci piace così. L’obiettivo di un’azienda, si sa, è vendere e il suo successo è tanto più certo quanto maggiore e la soddisfazione di un cliente. Se ci penso, è un po’ come dovrebbe essere la politica e i nostri partiti e a prescindere dagli assunti ideologici, quello che ci aspetteremmo da uno schieramento dovrebbe essere la soddisfazione dell’elettorato ma: “chete lo dico a fare...”. Alla fine della fiera, a prescindere dagli obiettivi commerciali, mi dico che Ikea ha avuto il coraggio di schierarsi più di quanto facciano i partiti della sinistra. E’ vero, se i gay smettessero di compare da Ikea questa finirebbe a vendere canestri di vimini intrecciata nei mercatini paesani ma intanto hanno preso una posizione, senza dover “riflettere”, come affermano i nostri politici, su questioni “delicate” che sono tali solo per le loro pavide manovre di potere. Ora non che pretenda che il quadro dirigenziale del mobilificio svedese prenda d’un colpo il posto di Bersani, Alfano e Di Pietro ma fossi in questi ultimi ragionerei sul fatto semplice, evidente, lampante che la gente è ben più avanti di loro e che anche il marketing (che per suo mandato naturale segue i gusti del pubblico) si volta indietro e gli fa “ciao, ciao” con la manina. Sospettare con scetticismo che lo facciano perché ora i gay sono di moda (?!), per quanto assurdo è comunque lecito ma è pur vero che schierarsi a favore delle “diversità”, compiace tanto pubblico quanto altrettanto ne dispiace (e questo significa boicottaggio e perdita di clienti). Io, troppo spesso purtroppo, sono l’esempio vivente dell’effetto seduttivo della pubblicità (comprerei anche assorbenti interni se facessero uno spot che mi piace) ma, sarò scemo, se un’azienda mi gratifica sostenendo quelli che sono i miei principi politici (oltre che i miei gusti nell’arredamento), anche se ormai non ho più mobili da comprare ne spazio dove eventualmente metterli, sono comunque disposto a farmi 40 minuti di macchina, 30 di ricerca del parcheggio e 20 di fila alle casse (tanto di meglio d fare il sabato sera non ne ho quasi mai…) anche solo per comprare 3 tazze, 2 candele profumate e 12 pacchi di biscotti al zenzero.

mercoledì 19 settembre 2012

SPOSERO' FLAVIO BRIATORE.



Ho sempre pensato che Flavio Briatore fosse un uomo borioso e arrogante, indeciso se disprezzarlo di più per non aver voluto riconoscere il figlio fatto con Heidi Klum o per aver sposato Elisabetta Gregoraci. Dopo aver visto la prima puntata di The Apprentice però, non ho cambiato di una virgola la mia opinione ma nonostante questo vorrei anche io un figlio da lui, anche se mi costringesse a chiamarlo Allodola Pancrazio.
In 2 parole il format: ci sono 14 aspiranti qualcosa-tipo-manager che ogni settimana devono superare una prova gestione di un business divisi in due team, che perde elimina un membro.
Il premio: lavorare con un contratto annuale (anche qui ormai sono a tempo determinato) con Flavio, il che, visto il tritacarne umano che è, mi sembra più come una punizione.
Ora uno si aspetta che siano state scelte 14 menti eccelse nel campo, dei giovani Zuckerberg, Brenson o Cook invece sembrano usciti da una classe di sostegno di un istituto Montessori. Ovviamente l’originale americano non ha nulla a che vedere con questo. Qui abbiamo Briatore che è proprietario di quell’area di servizio per troioni che è il Billionaire, Trump ha 4 grattaceli a New York City che con una buona dose di autostima ha chiamato: Trump Towers, o Trump Plaza, o Trump “It’s all mine!!”. The Apprentice USA ha come prova ad esempio la creazione di una stazione radiofonica nazionale, la realizzazione della campagna di lancio, la ricerca di sponsor e la quotazione in borsa. Qui li mandano alle 3 del mattino al mercato generale per comprare del pesce e rivenderlo alle vecchie che alle 8 del mattina sono già di ronda con le loro borse a rotelle. E la cosa più avvilente è che i candidati non sono neppure capaci di fare questo! Insomma come è immaginabile sono una ciurma di wannabe, cresciuto con il mito di “Wall Street” (quello di Olivewr Stone) ma le capacità organizzative dei criceti di Alvin Superstar. Insomma ho visto delle Coccinelle e dei Lupetti pianificare meglio un pic nic in montagna di quanto cerchino di fare loro tirando fuori le teorie keinesiane per vendere il branzino al mercato rionale. Le ragazze ovviamente credono di essere una miscela esplosiva di bonaggine da Costa Smeralda e una mente da nobel e il massimo della strategia è andare dai venditori e chiedere sconti perché “dai siamo delle belle ragazze!” (e vaffanculo 30 anni di femminismo), mentre ai ragazzi non gli chiederei neppure di fare il conto delle bollette in casa e dividerle tra noi coinquilini.
Il tutto è ambientato nei nuovi grattaceli di Milano: una down town Manhattan desertica e algida come Stoccarda ma sicuramente molto d’effetto. Il programma in se non è il massimo del brio e a tratti se la batte con le ricette di Benedetta Parodi se non fosse per le apparizioni appunto di Briatore che tratta, giustamente, i concorrenti come meritano: a pezze in faccia. Non cerca neppure di mascherare l’espressione di profondo disgusto quando il team dei ragazzi gli comunica che il nome da loro scelto è Il Gruppo che ha lo stesso guizzo creativo del chiamare un’acqua minerale “L’Acqua”. “Fa veramente cagare”, ha esordito Flavio appena gli hanno detto il nome e dopo le motivazioni strategiche, analitiche, sociologiche raccontate dal creatore del nome ha ribadito: “bella cagata”. Tante volte il concetto fosse stato precedentemente perso.
Insomma il suo sentirsi 100 metri sopra a loro (gli piace vincere facile…) ci regala uno spettacolo da antologia, degno di Blob dove ti da del “deficiente” se ti dice bene e dove lo sguardo vitreo da attacco di diarrea fulminate dei concorrenti durante i cazziatoni merita di sopportare 45 minuti di noia in attesa di questi 15 dove “the boss” prende la loro dignità e ci si pulisce i mocassini-pantofola scamosciati TOD’S.

Flavio Briatore
"Il boss ha sempre ragione, anche quando ha torto".

martedì 18 settembre 2012

RUPERT NON PARLA CERTO PER TUTTI I GAY DELLA TERRA...


Insomma la polemica da parrucchiera del momento è la dichiarazione di Rupert Everett riguardo l'omogenitorialità che, secondo lui, è quanto di più deleterio per un bambino. Ora, il punto secondo me sta tutto il quel "secondo lui". Il fatto che sia gay non lo obbliga innanzitutto a difendere sempre e comunque le cause del "movimento" né tantomeno si è arrogato il diritto di parlare per mandato divino a nome di tutti i gay della terra. Everet ha espresso un giudizio che va considerato per quello che è: una semplice opinione la quale (personalmente dico: per fortuna) non sposta di una virgola il percorso politico teso alla parità dei diritti, anche nella genitorialità. Insomma per me fa meno scalpore sentire un attore, certo gay, che dichiara di non essere d'accordo nel far allevare un bambino da 2 papà, piuttosto che la reticenza, quando non avversione manifesta, dei politici (anche di sinistra) che senza dati o senza fondamenti scientifici ma solo sulla base di un loro millantato "buon senso" (e quello di gente come Borghezio o della Binetti stento a riconoscerlo) si ostinano a fronteggiare ogni forma di dibattito, divisi come sono tra la ricerca di consenso e un'ottusità politica e umana.

venerdì 14 settembre 2012

LIGHT ILLUSION



Giorno XX di dieta e a ogni boccone di petto di pollo alla piastra, a ogni foglia di insalata ingurgitata mi pento per le teglie di pizza e quelle cascate di patatine fritte mangiate quest’estate solo per gola, mica per fame, ovvio.
Ma non solo: gli alcolici sono assolutamente banditi. Ora, io non sono uno che ha la cultura del bicchiere di vino durante i pasti né ho il palato sopraffino di Michele per apprezzare un whisky di malto sapientemente invecchiato e tra un Tavernello del 2012 e un Brunello di Montalcino trovo poche differenze ma la birra è la mia passione. Mi disseta, mi piace il sapore leggermente aspro e la sua sportiva informalità da “ci vediamo per una birretta?”. Ma, purtroppo anche questa è alcolica, e quando ho scoperto che una media chiara è l’equivalente di un piatto di pasta, con mio rammarico, ho dovuto dire addio anche a questo ultimo piacere.
Qualche giorno fa vado a fare la spesa: la solita routine di prodotti che il peso te lo fanno perdere non tanto perché dietetici ma perché dopo un po’ il tonno al naturale e i pomodori, la fame te la fanno proprio passare. Quando a un certo punto vedo loro: le birre a 0 gradi (e quindi quasi a 0 calorie). Sono sempre stato un po’ scettico delle versioni light dei cibi: voglio dire se devi farti una parmigiana con le melanzane alla griglia e non fritte, con il caprino invece della mozzarella, con la passata senza soffritto, a questo punto chiamamela pure “rododendro” ma non offendere l’originale dandole lo stesso nome e sopratutto, se devo mangiare un surrogato tanto insipido preferisco digiunare. Ad ogni modo la compro come un tabagista si accontenta di una sigaretta elettrica. Beh, sarà l’effetto placebo eppure non solo il sapore è lo stesso ma a un certo punto mi è sembrato addirittura desse la stessa euforia di quella alcolica. Quando si dice il potere della suggestione (o spasimi di disperazione...)

PS: solo ora che ho fatto la foto mi sono accorto che sul bicchiere che mi hanno regalato durante un party, c'è impresso il claim: "what women drink". Per favore, niente battute pleonastiche...

giovedì 6 settembre 2012

BAT-MAN E L'ILLUSIONE DELL'EROE.


Ho visto “Il Cavaliere Oscuro” e nonostante il finale minacciosamente aperto su una non certificata morte di Bruce Waine temo non sarò l’ultimo capitolo.
Come per Harry Potter, potete anche minacciarmi con una pentola di olio bollente: io non saprei dirvi cosa è accaduto nei capitoli precedenti ma sono comunque lieto che le mie cellule cerebrali non abbiano sacrificato il ricordo della prima gita al liceo o il mio numero di telefono per conservare memoria della sceneggiatura di questi film (stessa sorte toccherà anche a questo in un massimo di 48 ore).
Tra tutti i supereroi Batman è sempre stato quello che mi ha convinto meno. Certo ha più accessori delle tre sorelle Kardashan messe insieme, ma non ha super poteri (non è stato morso da un ragno radioattivo, non viene da Kripton…) e poi a me lo stile sadomaso mi spaventa un po’.
Ma la cosa che sopporto meno di BM è che un giustiziere della note, un paladino della giustizia, un flagello della mala (e qui non parliamo di ladri di polli ma di spietati assassini che vogliono distruggere il mondo e che uccidono con la stessa facilità con la quale io metto i ”like” su facebook) non può decide di affrontare il nemico armato fino ai denti senza sparare un colpo, pretendendo di annientarli con 2 sberle e un calcio in culo.
L’ultimo dei super nemici oltretutto è un cristo di 2 metri che ha muscoli anche sulle unghie, ha una specie di respiratore artificiale che gli procura una voce tanto cupa e terrificante che anche solo se ti chiede l’ora ti si fratturano 4 vertebre. Come non bastasse, ha delle armi che si vedono solo nei film di fantascienza, ma di quelli ambientati almeno nel 3776.
A fronte di tutto questo Barman che fa? Gli va sotto con 2 mossette sorpassate già ai tempi di Ku-Fu con Franco e Ciccio (tant’è che ci scaglia e il super cattivo gli spezza la schiena mentre sull’altra mano c’è una thailandese che gli sta facendo la manicure.
Ora io capisco che dopo aver vietato agli americani di fumare anche nel mezzo del deserto del Mojave il prossimo target (giustissimo per altro) dell’amministrazione Obama è la vendita incondizionata delle armi, capisco pure che Nolan sia a favore di questa politica e quindi abbia requisito dalla bat-caverna anche la cerbottana fatta con una Bic) ma il messaggio “pacifista” di Batman non solo è irreale ma totalmente ipocrita anche perché, non sparerà un colpo, ma ci sono più scontri in quel film che in una stagione del Gay Village.
Il fatto è che quanto meno i film degli X Man (ma anche Superman, l’Uomo Ragno e tutti i super dotati che non siano attori della Bel Ami) si pongono ad un livello fantastico, iperumano, favolistico che nella loro evidente irrealtà creano un distacco dalle nostre vite diventando divertimento e non esempio (a meno che voi non spariate raggi infrarossi dagli occhi o non abbiate il potere di trasformarvi in roccia). L’idea invece dell’eroe mortale, che fa 4 flessione, si mette una guaina in testa e esce a fare stragi invece è qualcosa che per quanto folle ci fa dire “beh, I can do that!”. E così è un attimo che ti ritrovi con un occhio nero per aver fronteggiato lo stronzo del condominio che ti parcheggia sempre davanti all’uscita del tuo box invece di fare una semplice telefonata ai vigili urbani (camuffando la voce e chiamando ovviamente da una cabina telefonica a 10 km da casa tua).


lunedì 3 settembre 2012

TAGLIA 00


Quest’estate ho avuto un piccolo problema con la gestione dei flussi calorici nel mio organismo. Preso il via in America dove non ho lesinato sui pasti e confortato dall’illusione che “tanto cammino tutto il giorno quindi brucio”, sono tornato a Roma continuando con quest’andazzo con l’aggravante che alzarsi dalla tavola per raggiungere la poltrona non è esattamente quel genere di attività fisica consigliata su Men’s Health nel servizio intitolato “10 segreti per tornare in forma dopo le vacanze”.
Nel mio armadio per fortuna ho pantaloni di tutte le taglie, testimoni della mia pluriennale instabilità alimentare. A giugno ho iniziato la scalata e finché dalla 42 passavo alla 44 andava ancora tutto abbastanza bene. Poi ho iniziato a non mettere più la cinta e alla soglia della 46 ero nel panico totale.
La mia amica Egizia è da sempre meglio nota come “La Donna Piena D’Amore” per il suo approccio compassionevole nei confronti del mondo, una visione olistica e monteverdina della filosofia hippy degli anni ’60. In questo periodo sta lavorando come ufficio stampa per R2R, una nuova marca di abbigliamento talmente fica che puoi acquistarne i capi solo comprando on-line. Ora, io lo so che se ho bisogno di un paio di jeans (che mi entrino) potrei anche comprarmeli da solo ma l’idea di scroccarne uno da lei, donna generosa, era troppo forte per cui la chiama e, subdolamente, le inizio a fare complimenti sulla linea vista sul sito come neppure fosse lei la stilista.
O sono un pessimo adulatore o lei mi conosce troppo bene perché dopo 30 secondi mi blocca e mi chiede: “che te serve?”.
“Un paio di jeans, ti prego, non entro più nei miei e mi scoccia comprarne uno della mia taglia (attuale). Tanto domani inizio la dieta Ramadan e sono sicuro che tempo una settimana torno alla mia solita. Tanto che ci metto a perdere 5 chili?”, le dico tutto d’un fiato con il sollievo di chi messo sotto pressione dagli inquirenti confessa un delitto per liberarsi la coscienza.
Egy, come ho detto è dispensatrice di amore cosmico, di generosità sconfinata e altruismo rarissimo (e poi leggerà questo post) e mi dice che mi farà spedire un paio di pantaloni.
L’altro giorno arriva un pacco che corro a ritirare più o meno con la foga di un alluvionato all’arrivo della camionetta dei viveri della guardia nazionale.
Squarcio la confezione. I jeans sono davvero molto belli ma c’è qualcosa che non mi torna. Frugo sulla vita quando leggo: tag. 44!
Deve essere stata una svista perché mi pare di essere stato chiaro con lei sul fatto di essere (un po’) ingrassato.
La chiamo comunque per ringraziarla e dopo i necessari salamelecchi introduco la questione.
“Egy, scusa cara, ci deve essere stato un piccolo errore”, le faccio con un tono deferente.
“Quale?”, risponde.
“Ti ricordi che ti avevo detto che avevo un piccolo problema, per altro passeggero, di peso e che quindi mi serviva una taglia un po’ grande?”.
Evidentemente da quando lavora nella moda ha la mentre deformata perché mi risponde: “beh, ti ho mandato una 44, il modello portava la 42!”, come se fossi io quello che vive su un altro mondo. “Ma perché te quanto porti adesso?”, insiste.
“Quarantot…sei!”, rispondo pateticamente.
“A si?! Beh almeno adesso ha un incentivo per buttare giù la pancia”. Sì, è sempre lei, la donna piena d’amore, comprensiva, affabile, etc, etc…

PS: la prossima volta le chiederò una sciarpa, una borsa o qualsiasi altra cosa che non si produca in taglie.