lunedì 31 marzo 2008

ATTENTI, GIRA UNA BRUTTA MALATTIA!


Come unica giustificazione c’è il fatto che io non sono uno che segue molto il gossip.
In ufficio sono sempre l’ultimo a sapere chi se la fa con chi (anche perché, visti i miei colleghi, immaginarmeli anche che trescano tra di loro susciterebbe immagini tanto terrificanti che, a paro, l’Inferno dipinto dal Signorelli nel Duomo di Orvieto sembrerebbe una pagina di Topolino) quindi figuriamoci quanto sono interessato se il pettegolezzo riguarda un vip come Demi Mur, però oggi leggendo le prime battute di una sua intervista (sempre solo dopo aver letto gli editoriali di tutti i maggiori quotidiani europei sulla crisi petrolifera e la violazione dei diritti d’indipendenza del Tibet) scopro che la signora Mur deve aver avuto un incidente mortale, di cui non avevo sentito parlare, che l’ha invalidata e dal quale, dopo tanto sforzo, è riuscita a riabilitarsi.
“Non è perfetta come nella pubblicità di Elena Rubinstain ma ha lo stesso sciarm dei tempi di Gost, anzi, forse meglio di allora”. Uno quindi si immagina che, poverina, dopo il succitato film in cui, per giustificare una relazione lesbo con la Golberg, finge che lo spirito del marito alberghi nella negromante (di colore e di fatto) si sia andata schiantare con la macchina addosso a un palo e che, uscita di testa dal parabrezza, sia rimasta invalida e tremendamente sfigurata. Poi, andando avanti si scopre che la malattia dalla quale sta cercando di venire fuori si chiama 45 (ma pare che da abbia anche altri nomi e che tutte le sue varianti si riconoscano per un suffisso numerico che va dal 4 in su).
Insomma questa descritta come una santa che cos’ha di eroico? Aver combattuto, e pare sconfitto, la malattia della vecchiaia accoltellandola a colpi di bisturi.
E io chissà che mi credevo!
insomma ultimamente leggo un sacco di interviste ad attrici ormai abbondantemente sopra i 40 in cui i toni sono sempre quelli da adolescenti in overdose da ormoni che vogliono farti credere che la vecchiaia non esiste, che dentro si sentono delle ventenni e che stanno pensando anche di avere un figlio (e certo tanto si sa, dai 45 in su quello che esce dalla zinna è latte a lunga conservazione, quindi aspettiamo pure un altro po’).
La Mur si spinge oltre e dice che i 60 di oggi sono i 40 di una volta (mi sembra la patetica parafrasi, ma ben più allarmante, della battuta de Il diavolo veste Prada in cui si afferma che la vecchia 42 è la nuova 38).
Io ho 34 anni e se parlo a qualcuno di quando avevo 24 anni non dico “quando ero più giovane” ma “quando ero giovane”.
Nei miei profili in chat non scrivo “sono un ragazzo…”, è una definizione che troverei ridicola anche avessi 27 anni.
Io capisco che a 50 anni una non debba mettersi con lo scialle di lana accanto alla stufa a macinare caffè ma neppure che pretenda di andare in giro vestita come una del cast di Ai Scul Miusic, con l’occhio sgranato a imitazione di quello stupito della 12enne che vede il mondo per la prima volta e con sottobraccio un marito al quale ancora non sono scesi i testicoli.

venerdì 28 marzo 2008

CON UN PIEDE NELLA FOSSA


Quando leggerete questo post, probabilmente la mia anima sarà già andata a ricongiungersi con il grande spirito cosmico dal momento che sono 3 giorni che ho la febbre a 38,5, che non intende scendere, che la tachipirina pare fargli il solletico e che stamattina mi sono svegliato anche con contratture alla schiena come se stanotte avessi spostato i mobili di casa invece che dormire (e vi dico in questi casi quanto sia pratico e comodo dormire sul letto palafitta di Ichea).
Io che ho fatto del pensiero illuminista una scelta di vita sono convinto che si tratta di malocchio.
Certo che se è così, viste le nefandezze commesse, non rivedrò la luce almeno fino a Ferragosto.
Di leggere non mi passa manco per l’anticamera del cervello, la scusa è che mi bruciano gli occhi.
I miei coinquilini non sono mai in casa, sono entrambi fidanzati ed hanno quindi anche una loro vita e quindi, i fiori di plastica che ho sul tavolo, immersi in un vaso d’acqua che da quel tocco di verità, per niente chic, stanno per diventare i miei unici interlocutori.
Nonostante i 900 canali offerti da Scai, ieri pomeriggio non ho potuto fare a meno di vedere La vita in diretta su Rai1. Si chiama gusto dell’orrido ed è lo stesso che mi porta a non resistere dal guardare scene forti o truculente come ad esempio gli incidenti stradali o due lesbiche che si baciano.
Ormai ne sono convinto: i frati di Padre Pio di Pietralcina devo essere dei lobbisti Rai perché non è possibile che quelle quattro volte all’anno che mi capita di finire su quel programma ci sia un servizio si qualche miracolato del santo stimmatizzato.
La sfiga nella sfiga consiste poi nel fatto che, l’inappetenza che di solito accompagna gli stati febbrili e che ti assicura sempre quei due chiletti in meno a fine influenza, in me è del tutto assente. Quindi, sempre complice la noia, sto mangiando a quattro ganasce tutte le uova di pasqua avanzate che mi capitano a tiro e non è del tutto impossibile che mi faccia venire anche un’indigestione da cioccolata che, sappiamo tutti a cosa porta. Così giusto per confondere il medico legale quando dovrà dichiarare la reale causa di morte.

martedì 25 marzo 2008

PASQUETTA PATERNALE.


A questo punto meglio che mi riempia il bicchiere di vino rosso sperando che l’etanolo mi mandi in corto circuito il cervello e mi renda il più sedato possibile.
In genere quando mio padre è in vena di considerazioni sulla vita mi astraggo del tutto e inizio a pensare ai mali che affliggono il mondo: lo sfruttamento del lavoro minorile, la fame, il traffico degli organi e l’immigrazione clandestina in Italia dei ricchioni maneschi provenienti da Salvador de Baia.
Ma stavolta non basta. Il monologo del giorno ha come titolo: le donne sono così, gli uomini sono cosà.
“No, adesso dimmi tu (il tu è un io ormai rassegnato a ricevere l’ennesima illuminazione calato dal suo saggio padre) se non è vero che le donne fanno sempre come gli pare”.
“?”, rispondo io.
“Andando per balere si vedono più donne che uomini”.
IO: “??”, più un altro sorso di vino che sostituirei più volentieri con un 50 gocce di EN.
“Questo vuol dire che se la moglie dice al marito di andare a ballare e il marito non ci va lei ci va lo stesso mentre se un marito dice alla moglie di andare a ballare lei ci va con il marito ma comunque va a ballare ugualmente”. No, inutile che rileggiate il periodo. E’ così. Punto e basta.
Io guardo il Miomiglioramico dall’altro capo del tavolo che, essendo il mio miglior amico, conosce mio padre almeno da quanto lo conosco io ed ha lo sguardo che, tradotto in parole, si può così sintetizzare: “E’ Pasquetta, siamo in tre in un ristorante che conterrebbe 500 clienti e siamo soli perché tuo padre ha prenotato in un posto orripilante invece di andare in un bell’agriturismo. Alla radio stanno suonando ritmi abruzzesi in dialetto. Io mi sto rompendo il cazzo. Tu ti stai rompendo il cazzo in più,lo so, vorresti dirgli “ma che minchia dici?!” ma io ti prego, non fare nulla del genere, annuisci e cerchiamo di andarcene il prima possibile”.
Ma io ho un vissuto di 34 anni con mio padre e sono arrivato al punto che mi urta anche si mi chiede l’ora. Quindi rispondo con un pacificante: “ma che mischia dici!! Ma dove le ricavi ‘ste informazioni? Possibile che cerchi sempre di piegare quello che ti succede a quello che in realtà sono solo tue fissazioni?”
Mio padre tenta di argomentare ma visto l’ennesimo sguardo di terrore del Miomiglioreamico mutuato da quello dei cani vecchi quando vedono la siringa del veterinario avvicinarsi alla collottola dopo avergli sentito dire ai padroni “mi creda, è meglio così”, mi zittisco. Cerco di cambiare argomento ed è li che mi accorgo di non averne, almeno in comune con lui. Quindi riprendo la forchetta e torno a tagliare la scamorza fusa che langue nel piatto.
Se io sono al 3 bicchiere di vino, mio padre è alla terza caraffa più 2 grappe e un uischi. A lui piace bere, a me invece piace dire che è un alcolizzato e se da sobrio è irritante, da ubriaco e insopportabile. Continua quindi a parlare a raffica senza dare a nessun’altro la possibilità di esprimere un giudizio.
La guerra in Irac, i concorsi statali, l’equitazione: “Voglio prender lezioni di trotto. Che ne pensi? Sono stato con una donna (le chiama così quelle con cui esce, non hanno nome ma solo genere). Lei sembrava un mulo seduto su un cavallo io invece sono entrato in sintonia con l’animale. Da subito. Benché credo che le femmine (ovvero tutte le altre donne con le quali però non è uscito) abbiano un filing maggiore con gli animali. Notate mai con che premura portano a spasso i cani rispetto ai padroni maschi?” (si capisce solo così perchè a me il tanto magnificato flusso di coscienza di Giois è sempre sembrato poco più che la stesura di una barzelletta).
Quando si placa sono già le tre.
Lungo la strada da Roma in Abruzzo abbiamo incontrato la neve e il timore di ritrovarla a ritorno è la sola cosa che permetta di congedarci senza che lui si rammarichi e non assuma quell’espressione da coltellata in petto che assume ogni volta che gli dico: “Vabbè, meglio che riparta”.
Sulla strada del ritorno ne io ne il mio migliore amico proferiamo parola, siamo esausti e ci godiamo solo gli scorci di paesaggi innevati e il silenzio: beato, desiderato, necessario. Silenzio.

PRIMI APPUNTAMENTI II


Seconda parte (vedi: Primi Appuntamenti: I)
Che comunque sia un cordiale alla Pergola dei Cavalieri Hilton o un piatto di capriolo e polenta in una baita di montagna, ricordiamoci sempre che non siamo li per perdere tempo.
La prima cosa da valutare è, al di la dei suoi sforzi per nasconderlo, se abbiamo davanti una femmina di un ghei perché se c’è una cosa che rende un gay ad un altro ghei meno appetibile di una donna è essere, appunto, una donna.
Non è sempre facile accorgersene subito perché, la dissimulazione è la caratteristica principale del ghei, quindi, bisogna prenderlo per stanchezza, farlo bere molto e osserva bene il linguaggio del corpo.
Gambe incrociate come i due serpenti aggrovigliati intorno alle croci delle farmacie? Donna.
Schiena contorta come fosse una S maiuscola?
Donna.
Evita le noccioline (nel caso di un aperitivo) o ordina un’insalata ( nel caso di una cena)?
E’ donnissima.
Infatti io non credo alla cazzata dell’intolleranza o dell’indisposizione di stomaco. Il “maschio” di ghei mangia a 4 ganasce a costo di farsi venire la diarrea per una settimana.
Anche l’intonazione della voce dice molto, ma quello è un segno abbastanza riconoscibile.
Attenzione alle mani. Se le rotea come fossero pale di un ventilatore è l’ideale per i luoghi chiusi e fumosi ma è irrimediabilmente donna.
Ma c’è una sottospecie del ghei che è ben più pericoloso della femmina di ghei ed è il cazzaro.
In genere i cazzari non fanno molta strada perché non sono difficilissimi da smascherare a meno che non si sia l’ultima anima pura rimasta sulla terra. I cazzari infatti non sono quasi mai la versione glitterata dell’astuto Cardinale Richelieu e poco dopo uno se ne accorge.
Il cazzaro lo riconosci per lo più perché parla solo ed esclusivamente di se. Anche se gli stai dicendo di essere un sopravvissuto dell’11 settembre, lui non smetterà di parlare di se e ovviamente, in confronto alla sua, la vita di Endi Uorrol non sembrerà che la biografia di un contadino bulgaro dell’ ‘800.
Il cazzaro è sempre quello che, entrasse anche in un ferramenta, con il commesso etero di quelli che i finocchi li ha visti solo nell’insalata (e ovviamente bono visto che lui attira solo simil-modelli brasiliani), sarebbe convinto che, prima o poi ci proverà con lui.
E così appena gli chiede: “In cosa posso esserle utile”, nella mente del cazzaro, questo diventa un chiaro segno di rimorchio.
“Le occorre una tenaglia? Vediamo un po’...”. Sì, si, è evidente, sta flirtando con lui.
E poi il colpo finale che decreta la conferma del rimorchio: “Paga con carta o bancomat?”. Beh, più esplicito di così!

Quindi, se anche vagamente hai il sospetto che il tuo cavaliere sia uno di questi, fa il suo stesso gioco, inventa una cazzata (dopo le sue, anche dicessi che sei diventato improvvisamente etero suonerebbe comunque più attendibile) è dileguati, per sempre.

mercoledì 19 marzo 2008

GRILLINI, SINDACO DEI FROCIANI.


E’ già brutto essere trombati dalla scena politica nazionale venendo declassati a candidato sindaco per Roma, ma essere trombati pure da Grillino (metaforico o meno è comunque una scena splatter alla sola idea) potrebbe essere davvero troppo.
Ipotesi quanto mai possibile visto che Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcighei (per chi non lo sapesse, “arci” non sta ad indicare l’essere iper-ghei ma è il nome dei circoli che fanno capo alla sinistra, ma non chiedetemi quale), si candida a sindaco di Roma in diretta concorrenza con Francesco Rutelli.
Ma ve lo immaginate che spasso sarebbe?
Roma cambierebbe definitivamente il suo volto e, con esso, anche molte altre cose.
A Monte Caprino, che tra l’altro si distende proprio alle pendici del Campidoglio, verrebbero tolte le cancellate puntute (acquistate per un niente dallo smantellamento del carcere di massima sicurezza di Alcatraz) che il comune di Roma mise qualche anno fa ufficialmente per proteggere dai furti 4 frammenti di colonne romane rotte e abbandonate, ma che in realtà servivano per evitare ai ghei capitolini di andare di notte a giocare a nascondino dietro le fratte. La giunta comunale approverebbe immediatamente la proposta di disseminare qua e la comode lettighe in stile impero (romano) per rendere più comodi gli incontri, approntando dei ciringhiti per sorseggiare un aperitivo al tramonto.
Verrebbero aboliti gli epiteti offensivi contro i ghei e così le grattachecche (NdR: le granite dette alla romana) vendute lungo il Tevere sarebbero ribattezzate Grattaomosessuali.
Se Grillini vincesse, finalmente il ghei più brutto di Roma troverebbe qualcuno a cui cedere questo primato infame.
Tre quarti dei sacerdoti della santa sede potrebbero chiedere asilo politico come i monaci buddisti in fuga da Tibet e
il cinghiale selvatico verrebbe riportato a prolificare a villa Borghese come ai tempi del cesaro-papato per far divertire le lesbiche senza mandarle fino alla riserva naturale di Paliano.
Metterebbero delle aree di sosta (note presso la popolazione omorechia come luoghi d’aggregazione e scambio culturale al pari degli oratori salesiani per i fanciulli) non solo sul raccordo anulare ma anche a piazza Farnese e largo Goldoni (ci sarebbe anche piazza San Pietro ma pare che Benny abbia detto che l’area circondata dal colonnato del Bernini, è già più che sufficiente).
Il 28 giugno, ricorrenza del ghei praid, sarebbe festivo come il 25 aprile e nessuno lavorerebbe tranne centri estetici e marchettari.
Forse non occorrerebbe neppure più fare il praid così molti finocchi smetterebbero di dare addosso alla manifestazione, molti etero la pianterebbero di usare il termine “carnevalata” tornando giustamente ad adoperare il termine per descrivere propriamente lo stato della nostra politica e io finalmente potrei smettere di morirmi dal caldo durante il tragitto.

martedì 18 marzo 2008

PRIMI APPUNTAMENTI: parte I


Se mi avessero dato un euro per ogni volta che ho detto: “Questa volta è quello giusto”, a quest’ora un fidanzato me lo sarei potuto comprare.
Quindi rassegnamoci a una ricerca in confronto alla quale quella degli archeologi dedicata all’arca dell’alleanza sembra una caccia al tesoro per bambini dell’asilo nido.
In effetti trovare qualcuno non è poi così difficile perché tra ciat, saune, cessi delle stazioni, discoteche e sale d’attesa degli studi psichiatrici si trova sempre qualcuno. Il punto fondamentale semmai e trovare quello giusto per te. E’ questo il dramma. Una volta che hai tolto infatti i cazzari (30% secondo i dati ISTAT), i fidanzati (35%), quelli che per età rischi la galera o i fine settimana nelle case di riposo (15%), quelli per cui la camicia che gli dona meglio è quella di forza (19,5%), beh, non servirà essere un gran matematico per rendersi conto che resta davvero poco da scegliere. Per questo bisogna essere estremamente scaltri e ogni mossa non deve avere alle spalle una ponderata strategia.
Tutto sommato trovarsi un fidanzato è come fare una partita a sette e mezzo, bisogna osare, essere spregiudicati ma senza lasciare troppo campo all’incoscienza e, se ti dice culo, il piatto è tuo.
Per esperienza personale, quasi tutti i miei fidanzati (termine che mi piace applicare indistintamente sia a quelli con cui sono stato per anni, come alle struggenti passioni di una notte, o meno) li ho conosciuti nei locali e siccome solitamente le mie condizioni in quei contesti tutto sono fuorché da conversazione gradevole a base di tè, pasticcini e simpatia, ho sempre rimandato il giudizio sul mio futuro ex fidanzato (perché spessissimo di quello si tratta) ad un secondo appuntamento. Ora, molti nahho avuto in passato esperienze con delle ragazze e, si sa in questi casi, l’iter del primo appuntamento segue un percorso per certi versi più semplice e prestabilito. Dimentichiamo tutto questo, con i maschi è completamente diverso.
Se si chiede in giro, si può scoprire che ognuno ha la sua tecnica e i suoi parametri di selezione. In questo non ci discostiamo di molto da un colloquio di lavoro, del resto quello che cerchiamo sono le stesse caratteristiche che cerca di un responsabile delle risorse umane: affidabilità, professionalità e, soprattutto competenza.
La scelta del luogo innanzitutto.
Per un primo incontro suggerirei sempre un aperitivo. E’ in un orario tale per cui, se ne vale la pena, la cosa può sempre evolvere in una cena, altrimenti fai sempre in tempo ad andare in palestra o in sauna.
Il cinema anche non è male. Dalla scelta di un film si capiscono molte cose. E’ vero che può capitarti quello che ha la fissa per film pesanti e intellletualoidi ma ho una buona notizia, gli autori più impegnativi sono tutti morti e Olmi ha promesso che non girerà più un film quindi ce la puoi fare.
Poi il silenzio della sala, quel senso di intimità e, soprattutto, il buio sono la cosa più vicina ad una camera da letto senza la seccatura di dover poi cambiare le lenzuola.
Che comunque sia un cordiale alla Pergola dei Cavalieri Hilton o un piatto di capriolo e polenta in una baita di montagna, ricordati sempre che non stai li per perdere tempo.

Continua, presto, credo, spero...

venerdì 14 marzo 2008

LA PAROLA NUOVA DI OGGI E': VERSATILITA'.


Se stiamo parlando di una siti car che da 4 può arrivare fino a 8 posti allora l’aggettivo versatile è giustificato. Un coltellino svizzero con 75 funzioni tra le quali ti tira fuori pure un forno a micro onde e una montan baic con cambio Shimano a 14 rapporti è versatile.
Possiamo dirlo anche dei tassi variabili del mutuo di una banca (dopo però aver detto che è una ladra e che ti auguri che i dipendenti che hanno omesso di dirti cosa significasse “variabile” al momento del contratto restino misteriosamente schiacciati dalla porta di acciaio rinforzato del cavò).
Ma quando sento un richionazzo definirsi versatile, l’arco del sopracciglio destro mi si impenna oltrepassando la fronte, i capelli, scendendo giù per la nuca e arrivando fino alla schiena. Per me i versatili sono solo dei passivi timidi. Se chi ha inventatati questo termine avesse registrato il nome all’ufficio brevetti (perché di un’invenzione bella e buona parliamo) oggi sarebbe più ricco del sultano del Brunei.
Io sono un fautore del pensiero semplice: o sei attivo o sei passivo, in mezzo c’è solo ipocrisia. Anche perché, fare l’attivo 2 volte l’anno (ovvero a capodanno, quando nelle vene ti scorrono bicchieri di Negroni al posto dei globuli rossi o il giorno del tuo compleanno, ammesso poi che le due date non coincidano pure) non è sufficiente per dire che lo prendi e lo dai.
Il passivo timido (detto per l’appunto “versatile”) lo riconosci perché, al momento del dunque, quando siete nudi nel letto e si è al momento della verità, assume la posizione della raccolta della monetina ad una velocità tale da spostare le tende con lo spostamento d’aria e se l’allusione non fosse già sufficientemente comprensibile, aggiunge: “sai io sono attivo, non l’ho mai preso, ma stavolta…”. A me i puntini di sospensione mi mettono sempre un’ansia. “Ma stavolta…vuoi una tazza di latte?”. “Ma stavolta…il muro di Berlino è caduto nel 1989, forse?”. Come finisce sta cazzo di frase?! Mica prenderlo è una forma di chiropratica per cui “stavolta” mi fa male il coccige e quindi ho bisogno di un intervento invasivo. E poi, scusa, fammi capire, mi conosci da 5 minuti, rimorchiato in un bar con video porno a rotazione e noccioline sul bancone del bar che nascondono in realtà colture del vibrione del colera e te che fai? Questo fiore prezioso, questo bocciolo di rosa custodito nel retro del tuo giardino lo voi dare proprio a me?!
Che poi io dare le spalle, soprattutto la prima volta, l’ho sempre trovato un gesto così volgare e maleducato.

mercoledì 12 marzo 2008

VENERDI' DI FESTA



Dopo l'invito a cena dalle lesbiche eccomene arrivare un altro. Questa volta però ad organizzare la festa sono due omorichiosex DOC: Redrum e Manid'oro (poi so che c'è anche una loro amica ma essendo donna, non la calcolo).
Siccome giustamente gli organizzatori vorrebbero evitare che diventi come il rifugio anti alluvione dell'inondazione di Niu Orlins del 2006 (benche non credo che questo invito possa raccogleire oltre i soliti 12, 13 disperati...) vi lascio la loro mail per ricevere, sotto loro indiscutibile placet, l'indirizzo del posto.
Anche io dovrei andare ammesso e non concesso che il mio cavaliere acconsenta o che di qui a venerdì non rinsavisca mollandomi alla stazione dei treni.

riccoboni6@hotmail.com

martedì 11 marzo 2008

MARA MAIONCHI: L'ICONA GHEI CHE VIENE DAL FREDDO.


Una teoria fantareligiosa, ammesso che ci possa essere qualcosa di più “fanta” della religione stessa, dice che nostro Signore Gesù Cristo non morì a 33 anni ma che in realtà continuò a predicare fino alla vecchiaia spostandosi verso l’estremo oriente.
E’ anche vero che c’è chi è convinto che Elvis the Pelvis non sia schiattatato per un overdose di colesterolo farcito alla maionese ma che sia ancora vivo e obeso.
Insomma mi sono sempre sembrate delle storie buone per Voiager o per gli speciali sul mistero della Foschini. Almeno fino a ieri sera quando ho visto X Facrtor, il talent sciò della Ventura. Tra i giurati infatti ho riconosciuto subito e con stupore, l’uomo d’acciaio, il terrore della Russia, il creatore dei gulag, lo sterminatore dei dissidenti: Josif Vissarionovič Džugašvili, in arte Stalin. Allora è vero che anche lui non è morto nel 1953 ma che, come diceva gia una leggenda metropolitana che circolava su internet da anni, si sia sottoposto ad una cura al laser per eliminare quella fastidiosa peluria subnasale e che si sia poi trasferito in Romagna (non a caso regione comunistissima) prendendo il nome di Mara Maionchi! A tradirlo però ieri sera sono stati la sua acconciatura, che sembra il parafanghi d’un trattore russo della Kirovez, e il modo di porsi nei confronti di concorrenti e colleghi gentile come non se ne vedeva dai tempi dei negrieri dell’America del ‘700. Quando poi le ho sentito dire in diretta ad una concorrente “mortacci tua”, in tono scherzoso ovviamente, (ma la tipa non so se l’abbia colto come tale visto che dalla gonna è iniziato a sgorgare un liquido giallastro) ho riconosciuto subito in lei il seme dell’icona ghei: autoritaria, tosta, cattiva e soprattutto bella come una multa di 300 euro sul parabrezza dell'auto.
Insomma mi pare una di quelle con cui avresti voglia di prendere la macchina e andare in giro per la città a scoattare (ndr: termine che indicca chi fa il pirata della strada o va in giro telefonando con i’aifon per far vedere che lui ce l’ha mentre tu sta ancora con il Nokia 8600) sperando che qualcuno ti dica qualcosa per potergliea aizzare alla giugulare.
Insomma Mara Stalin Maiocchi, mi sono informato, dopo aver abbandonato il Cremlino si è fatta assumere nella fabrica di Giovanni Rana, riprendendone stazza e cadenza dialettale e si è successivamente riciclata come discografica scoprendo la Nannini, Tozzi, Finardi, Ferro (al quale pare abbia detto a inizio carriera, quando pesava un milione di chili: “sei grasso! Devi dimagrire così almeno ti prendano per il culo solo per i testi delle tue canzoni!) il punto di fusione del nikel, il faggiano reale di comacchio e il ripieno ai carciofi poi adoperato nelle sfoglie, appunto, di Giovanni Rana.

lunedì 10 marzo 2008

ATTENZIONE ALLA BABBUINA DI BAIA.


MOLTE VOLTE POSSO PASSARE L'IDEA DI UN TIPO CHIUSO, ANTIPATICO E CHE SI LA TIRA, PERò, VOI BELLI DI ROMA SAPETE COME SOFFRIAMO QUANDO SIAMO NEI LOCALI, IL QUANTO SONO INVADENTI LE KEKE E BRUTTI...E QUINDI...DOBBIAMO DIFENDERCI...NON SONO NULLA DI QUELLO CHE SEMBRO...CORAGGIO...CONOSCIAMOCI!

Ecco quello che leggete non è il primo esperimento di scrittura di un primate anche se lo stile e il contenuto potrebbero ricordarlo. Si tratta dell’auto descrizione che fa di se su una ciat ghei un finocchio brasiliano, di baia, rasato residente a Roma.
Ne parlo perché sabato sera il mio labbro ha avuto un incontro ravvicinato con il suo pugno e, da oggi, sono entrato di conseguenza nel gota della tumide al pari della Parietti e della Gioli’.
In 2 righe i fatti: sabato sera in discoteca la babbuina si dimenava al ritmo della musica, come era solita fare a Baia (perché sto gioiello è pure d’importazione).
Cercando di passare gli ho chiesto “scusa” appoggiando una mano sulla schiena. Siccome in quella testa troppo cervello non c’entra e siccome, probabilmente certe sostanze acuiscono degli evidenti deficit psichici, mi si è rigirato gridando che “non dovevo toccargli il culo, che gli facevo schifo” (del resto i belli come lui devono pur difendersi), ripetendo la cosa più volte visto che ha la ricchezza di vocabolario di un gasteropode, chiosando con un pugno sul labbro.
Papà mi ha sempre detto: “i matti lasciali stare, se ti provocano non assecondarli”. Quindi mi sono solamente limitato a farlo presente alla sicurezza del locale ma, conoscendo l’agilità dei babbuini, il tipo s’era già dato. Non è la prima vota che fa cose del genere e non solo a me, tant’è che poi parlandone con altri conoscenti, ognuno aveva avuto screzi con la babbuina baiana.
Ora, al di la di tutto, chi mi conosce lo sa: ma vi pare che io potendo vado a toccare il culo ad un ragazzo? Se mai tocco altro, no? E poi, dimmi tutto, ma non brutto, io poi insicuro come sono ci resto male.
Quindi, chiunque avesse la sventura di stargli vicino in discoteca durante uno sei suoi riti vodù in cui dimena l’anca tutto da solo (come sempre del resto), con gli occhi rigirati, sudato come un minatore sardo, datemi retta, fate un giro bello largo o rischiate anche voi di essere la prossima maggiorata labiale e almeno questo primato, per qualche giorno, vorrei tenermelo.
PS: per il momento io non lo denuncio ma ho tempo per farlo e testimoni per provarlo. Ma che si desse una calmata.
A buon intenditor poche parole.

venerdì 7 marzo 2008

LESBICHE PER CENA


Namioren recchion, namioren recchion, non mi distraete che sennò perdo la concentrazione…Namioren recchion, come cosa sto facendo? Recitro il sutra del Recchione, no!?
Namioren recchion…bastardi tentatori, levatemi da davanti gli occhi la nuova campagna di Dolce&Gabbana anderuer, namioren recchion…e non distraetemi neppure parlandomi della stupida crisi politico-istituzionale del nostro paese. Qui sto cercando di prepararmi a qualcosa di molto più grave e devastante: stasera mi aspetta una cena con delle lesbiche.
Si quelle strane figure mitologiche descritte nell’Apocalisse di San Giovanni per metà meccanico, metà cattivo gusto e metà peli pubici femminili sulla lingua.
E’ vero, mi lamento sempre che nessuno mi invita a cena ma questo non significa che chiunque invece possa farlo.
Secondo le previsioni loro saranno 5 e io e ilmiomiglioramico solo due! Namioren recchion, namioren recchion…più o meno le stesse proporzioni della guerra greco persiana con la sola differenza che le lesbiche non fanno prigionieri!
Namioren recchion… Namioren recchion…
Ho comunque già studiato un piano di difesa: se si imbizzarriscono lancio un tupè di peli pubici femminili. Dovrebbe tenerle a bada per un po’. Namioren recchion, namioren recchion…mi auguro solo che non facciano la solita gara a chi riesce a smontare il motore di un Tubolev Russo ad occhi chiusi ricomponendolo in un calasnicof semiautomatico.
Namioren recchion…namioren recchion…perché allora accettare un invito a cena se la portata principale rischi di essere tu se solo osi dire che trovi incomprensibile come si possa scopare senza un cazzo (prendete l’espressione nel senso che volete)? Namioren recchion… namioren recchion…Per lo stesso motivo per cui c’è gente che si lancia da una piattaforma di 50 metri legata alle caviglie con delle liane elastiche rischiando di mandare lo sfintere a fare salotto con il cervelletto: l’ebbrezza del pericolo.
Namioren recchion… namioren recchion…alcuni ghei miei amici hanno fatto questa esperienza (della cena con lesbiche intendo) e da allora non sono più gli stessi. Hanno detto di aver acquisito una lucidità mentale maggiore, di essere saliti ad un livello maggiore di consapevolezza e da allora danno importanza ad altri valori nella vita come la ricchezza interiore, la coerenza nei valori e altre considerazioni che solitamente fanno solo gli sfigati.
La sola cosa che mi spaventa…namioren recchion… namioren recchion…è che quest’anno non ho fatto ancora i richiami dei vaccini. E se dovessi trovare un pelo di fica nell’insalata? Siccome un amico veterinario mi ha detto che per cose del genere la cura non c’è, namioren recchion… namioren recchion…la soluzione te la può dar una cosa sola…namioren recchion: la FEDE. Namioren recchion….

mercoledì 5 marzo 2008

FINALMENTE UN INVITO!!


Solitamente l’entusiasmo con il quale vengo invitato alle feste è di poco inferiore a quello usato dai genitori della Bella Addormentata nell’invitare la Strega Cattiva, questa occasione quindi non voglio farmela sfuggire. Sarà il riscatto che dimostrerà che non è vero che sono quella persona insulsa ed odiosa che molti credono.
Per questo colgo l’invito del caro REDRUM e del carissimo MANIDORO per partecipare alla loro festa venerdì 14 a Milano.
Visto che l’invito è stato elargito anche agli altri avventori del blog, visto che ho il culo di piombo, come mio padre sin da piccolo amava ricordarmi (meglio se durante i pranzi di famiglia, cerimonie varie o gare sportive di nuoto e giudo: “dai, muovi quel culo di piombo!”, gridato dagli spalti della piscina o dal bordo del tatami), visto che non guido e visto che da solo non mi va di viaggiare, potremmo organizzare una specie di carovana del uest per quelli che, da Roma in giù, hanno voglia di fare 4 zompi a ‘sta festa milanese che mi dicono avere anche un tema che non sono però riuscito a capire.
Si raccolgono quindi le adesioni. Si potrebbe partire da Termini e muoverci in macchina, o camper o, per chi ne possieda uno, un pulmino. In compenso offro compagnia, preparo ottimi panini e conosco tutti gli autogrill del tragitto, ideali per smaltire la frittata di zucchine e cipolle con cui farcisco le rosette.
Allora, si va?

martedì 4 marzo 2008

LA VITA IN UN CATALOGO


C’è una splendida canzone del miusicol Rent che dice: come misuri la tua vita? In ore, in giorni, in tazze di caffè o in sorrisi? Io in punti del supermercato: 10770.
Questa è la misura dei miei ultimi 5 anni.
In più, se ad ogni euro corrisponde un punto, non occorre avere una laurea alla Normale dei Pisa per capire quanto mi sia costata questa vita, soprattutto in termini culinari.
Ovviamente questa somma non include i pasti consumati fuori, le cene scroccate o quelle saltate per infilarmi dei pantaloni particolarmente attillati.
Possibile che abbia speso così tanto? E meno male che sono sempre a dieta! Beh, in effetti quello che faccio io preferisco chiamarlo “regime alimentare equilibrato” il che significa attingere al ricettario delle cliniche per anziani con la differenza che le cose che preparo, se mente umana può commensurarle, sono ancora più insipide.
Insomma se non avessi mangiato in questi ultimi anni, oltre a guadagnare una comoda 38 e le copertine di Riza Psicosomatica con sotto un bel titolo dal tipo “disturbi alimentari: le cause, gli effetti” mi sarei potuto comprare una macchina, certo non un’Audi TT, ma una Renault Modus con navigatore satellitare e lettore cd, sì. Mi sarei potuto fare almeno 5 vacanze estive (che, per ovvi motivi non ho potuto fare accontentandomi quindi del litorale laziale, quando non ero troppo stanco per affrontare il viaggio con il trenino). Avrei potuto fare una liposuzione e farmi impiantare dei tacchetti sotto i talloni come la Barale rosicando buoni 4 centimetri che sotto i piedi o in mezzo alle gambe fanno sempre comodo.
Avrei potuto comprare un box auto 5x5 e visto che ho uno spiccato talento per l’arredamento e una scarsissima possibilità di comprarmi una casa vera di quelle con cucina, bagno, camera da letto e corridoio, l’avrei potuto trasformare in una graziosa casetta.
Mi sarei potuto conquistare gli onori della cronaca ottenendo l’ambito titolo di cavaliere della Repubblica dando tutto in beneficenza e sperando, chissà, che un domani il mio faccione venisse ricamato su un arazzo da piccole dita operose di suore africane ed esposto in piazza San Pietro, diventando il prossimo inutile Beato della Chiesa Cattolica.
E invece mi ritrovo qui, con 10770 punti e un catalogo allettante quanto quello della pro-loco di Tirsumuru, in Romania.
I premi a cui ambivo maggiormente sono anche quelli fuori dalla mia portata perché la poltrona Giunone di Sciatò d’ax, imbottita e girevole che ricorda più che altro il sedile di Aquila 1 di Spazio 1999 richiederebbe ben 70.000 punti. 70.000 punti? Ma neppure la Clerici in 4 anni di Prova del cuoco potrebbe accumularne tanti!
Ci sarebbe una lavastoviglie ma:
a) anche questa richiede più punti di quelli che ha sparsi per il corpo la Lollobrigida, la Pampanini e Paolo Limiti;
b) non ho spazio per una lavastoviglie;
c) l’ho sempre trovato un aggeggio inutile. Con il fatto che tanto i piatti li devi prelevare che senso ha? Una volta che hai le mani bagnate li lavi te e via.
Andando avanti: un tapi rulan. Inutile la mia palestra ne ha 12 e non salgo neppure su quelli.
Arriviamo ai premi abbordabili: servizi di piatti tanto brutti che se li usi come piattelli il proiettile si rifiuta di colpirli e preferisce beccare un germano che vola poco distante.
Una bella tavola da stiro: non stiro, non so stirare e, anche se lo stile Grang è morto con Curt Cobein io porto ancora avanti la filosofia dello stropicciato.
Pirofile, stampi per torte e crostate: sto a dieta (per chi non se ne fosse accorto).
Tavolinetti matriosca, che se c’è una cosa brutta, inutile e anni ’80, sono proprio questi. Vi dico solo che il più alto misura 40 cm, come se io vivessi nella Terra di Mezzo…
Una serie di giocattoli griffati Tom e Gerri. Era un cartone antico ai miei tempi e ancora girano gagget del genere. Poi si lamentano se gli adolescenti fanno filmini porno con il cellulare e li mettono su Yutub.
Ecco, semmai a 2100 punti (che sono sempre 2100 euro, non dimentichiamolo) c’è il gioco delle Uincs: “Fata, strega o specialista” che, visto come sono vestite ‘ste svergognate cambierei in “Zoccola, sgualdrina o meretrice?”.
Un immancabile Atlante. Bene, semmai questo sì visto che per un breve periodo ho creduto che Torino e Roma risiedessero nella stessa regione.
E poi borse, zaini, marsupi che piuttosto ci fai più bella figura a presentarti al cec in imbarcando i vestiti dentro le buste del Todis chiuse con il nastro adesivo per pacchi.
Una piastra per capelli: ce l’abbiamo già. La domanda potrebbe essere: come mai? La risposta è semplice: in casa siamo 3 ghei e ci piastriamo anche se rasati a zero. Si chiama istinto primordiale, un po’ come le gravidanze isteriche delle gatte sterili.
Ferro da stiro con serbatoio: l’ho appena detto. Abbiamo già una piastra e, all’occorrenza…
Orologi persino più brutti di quelli delle televendite della Noello Gioielli e ciondoli Morellato che farebbero sembrare una coatta del Laurentino ’38 persino Carolina di Monaco.
Il catalogo si conclude così.
Visto quindi che da anni non ricevo più inviti postali per gite andata e ritorno in giornata con il pulman, pranzo incluso, visita al monastero di Padre Pio a Pietralcina con regalo a scelta tra orologio al quarzo o penna in silverpleit a sole 25.000 lire con dimostrazione di utensili da cucina durante il tragitto, opto per una cosa utile: 2 belle pentole in teflon, 28cm in colori moda e manico anti ustione che sono mie per una manciata di punti. Tanto almeno per il momento la cosa certa è che continuerò a spadellare petti di pollo e verdure miste per molti anni ancora e quando finalmente raggiungerò la vetta dei 70.000 punti potrò godermi la vecchiaia spaparanzato sulla mia comodissima poltrona Giunone di Sciatò d’Ax.

lunedì 3 marzo 2008

Leder, chi è costui...


Direttamente tratto dal volume di recente pubblicazione: “I Ghei: tra mito e realtà”.
Edito dalla Castelletti di Torino. AAVV.
Sono andato a sbirciare alcune voci. Questa in particolare ha catturato la mia attenzione.

IL LEATHER:
feticisti della pelle, delle borchie, del sesso violento e dei Chihuahua.
Praticano spesso il sesso sado-maso con utilizzo di vari accessori che ritroviamo spesso anche nelle cassette degli attrezzi degli operai dei cantieri navali e tra i quali ricordiamo la famigerata sling: una specie di macchina infernale fatta di pelle e catenacci dove vieni incaprettato e per liberarsi dalla quale o hai ritrovato il libro dei trucchi di Houdini o è meglio che chiami i pompieri. Abbigliati in completini di simil pelle cancerogena più dell’Eternit, non fanno distinzione tra le stagioni e, a causa di questo, è l’estate per loro la stagione dei funghi (della pelle però).
Solitamente i loro bar sono locali bui ricacciati nelle viscere della terra dove invece l’odore diffuso è quello delle viscere umane. Se ne consiglia l’ingresso solo se assicurati all’uscita con robuste corde da alpinisti.
In questo bel gruppetti ci schiaffiamo anche gli amanti del rubber (la gomma, altra cosa che fa benissimo ai pori della pelle per cui dopo che ti sei tolto uno di questi capi ti ritrovi l’epidermide della mummia dell’uomo di Similaum) e delle uniformi (che ricordano tanto Alberto Sordi ne “Il Viglile” di Luigi Zampa).

Insomma, riassumendo in un concetto: la solita manica di zozzi!