martedì 31 marzo 2009

ELDORADO E IL TEMPO DELL'INFANZIA.


Nonostante chi vi sta scrivendo ancora non abbia quell’età per cui prima di coricarsi la notte immerge la dentiera in un bicchiere pieno d’acqua e non indossi i pannoloni della Tena al posto delle mutande, qualche giorno fa, mangiando un Magnum Algida dalle calorie pari ad una cena di nozze di quelle che si fanno in Sicilia, mi stavo chiedendo: ma che fine hanno fatto i gelati della Eldorado? Un po’ come Prust con quei biscottacci alle mandorle quindi la mente ha iniziato a vagare a ritroso mentre lo stomaco cercava di fronteggiare la cascata al caramello e cioccolato che affluivano copiosi dalla bocca.
Così oggi sono andato a cercare sulla rete quei gelati che hanno accompagnato la mia infanzia ai tempi in cui il sapiens prese il sopravvento sull’australopiteco e rivedendoli, su quel bel cartellone di lamina colorato con il sole sorridente e quella grafica un po’ fluo in stile Disco Ring ho avuto un tuffo al cuore e un gorgoglio nella pancia.
In assoluto ho sempre preferito il classico cornetto algida , ma essendo quello il gelato delle grandi occasioni che i miei mi compravano le sere d’estate quando ci mettevamo in terrazzino per cercare un po’di refrigerio. Per tutte le altre occasioni c’era appunto la scuderia eldorado.
Io li ho provati tutti, non me ne sono lasciato sfuggire nessuno ed è forse per quello che da piccolo venivo descritto come un ragazzino robusto, dall’appetito vivace, pietoso eufemismo escogitato da mia madre per giustificare a 10 anni la mia taglia 46.
Con un po’ di nostalgia faccio quindi un escursus storico gastronomico alla gambero obeso attraverso questi paladini della mia infanzia.
In primis i ghiaccioli: il fior di fragola in realtà era un ibrido a metà strada tra il ghiacciolo ed il gelato vero e proprio e poi, con quel nome delicato, faceva pensare ad uno sfizio leggero e dietetico mentre in realtà occorreva nuotare da ostia ad olbia, andata e ritorno, per smaltirne uno soltanto.
Il lemonissimo aveva un gusto un po’ aspro che non mi faceva impazzire e poi se non lo finivi in tre morsi, ti si scioglieva addosso ed essendo fatto, credo, a base di bostic, ti rendeva la mano appiccicosa per ore dandoti la possibilità di arrampicarti sui muri come neppure l’uomo ragno poteva fare.
L’Arcobaleno aveva 4 gusti diversi racchiusi in uno ma nessuno di questi era riconoscibile. Non assomigliavano a nessuna sostanza nota sulla terra. Sospetto che, al pari delle piramidi ed ET, fosse una pietanza dimenticata sulla terra durante le visite degli alieni sul nostro pianeta.
Il Baschet, aveva un nome di uno sport, quindi mi faceva fatica anche solo mangiarlo.
Il piedone in effetti è un caso singolare: come ti viene in mente di creare un gelato, farlo a forma di pende e non immaginare che l’inventore della eldorado non fosse un sudicio feticista? Per fortuna all’epoca il Moige ancora non scassava la minchia altrimenti lo avrebbe fatto ritirare nel giro di una settimana.
Evidentemente alla eldorado doveva girare ogni sorta di pervertito dato che si deve a loro uno dei gelati più controversi: il calippo. Una specie di vibratore ghiacciato che ha insegnato a generazioni di ragazzine ( e anche ragazzini un po’ “speciali”) i segreti della fellazio.
Il gommolo prometteva una gomma nel cono e, siccome da piccolo prendevo ogni indicazione alla lettera (oltre al fatto evidente di non essere stato un’aquila) credevo che fosse il cono gommoso e quindi, finita la crema, masticavo per ore il biscotto autosuggestionandomi che fosse fatto di gomma.
Lo zaccaria era la versione ard discaut del cornetto algida ma con una crema al sapore di tabacco. L’ideale per quanti cercavano di uscire gradualmente dal tabagismo.
Il camillino era un biscotto gelato davvero insulso, una vera presa per il culo dato che aveva le dimensioni di un francobollo e soprattutto visto che, con appena 100 lire in più, potevi assaporare la versione delucs: il cucciolone. Grande il doppio e in più fregiato di divertentissime vignette che se lette prima di addentarlo ti facevano passare la voglia di mangiare per sempre.
La granita era un altro gelato che sì, mangiavo, ma mi dava un particolare urto di nervi visto che la foto ti presentava una morbida granita salvo poi accorgerti, tolto il coperchio, che per mangiarlo avevi bisogno di una lancia termica.
Un giorno poi, quei gelati così infantili nei colori e nei sapori sparirono dai muri dei bar di tutta italia. Così, improvvisamente. Come altrettanto repentinamente smisi di giocare con le biglie sul bagnasciuga e di guardare i cartono animati dell’ape Maia: tutti sintomi che, inequivocabile, ormai ero cresciuto.

lunedì 30 marzo 2009

PESSIMO INIZIO DI SETTIMANA.

mi sono svegliato da poco e mentre mi preparo la colazione, passo la lingua sulle labbra per umidirle un po'. sento però che la superficie non è liscia e compatta come dovrebbe essere. c'è qualcosa sul labbro superiore e vengo colto da un brivido di terrore. ormai gli erpes li riconosco al volo e mi basta tastarli con la punta della lingua per capire quanto grossi verranno e per quanto tempo dovrò andare in giro con le labbra d'una pleimeit di Pleiboi sotto lo sguardo a volte disgustato di chi ho davanti. questo significa non poter baciare nessuno, anzi, a dirla tutta, neppure posso provare uno sparuto tentativo di rimorchio dato che al suo apice sembra una piaga da lebbra.
soffro di erpes da quando sono nato. è di origine psicosomatica quindi quando sono stressato o stanco ecco che ne spunta uno, due, anche 4 volendo: più ho avuto un periodo difficile, più crescono. solitamente si presentano anche durante viaggi particolarmente lunghi e quindi, stancanti. il che significa che tutte le foto delle mie vacanze sono spesso di gruppo anche quando sono il solo protagonista dello scatto.
potrei scrivere un trattato sull'erpes dal titolo: "ERPES: Rimedi e cure di una rottura di cazzo in debellabile", e negli anni ho affinato decine di tecniche per contrastarli. rimedi a metà strada tra i consigli dello stregone del paese ("il dentifricio!! funziona!". certo a lasciarti le cicatrici! ne ho ancora una sul labbro dai tempi delle elementari) e gli ultimi ritrovati della ricerca scientifica più avanzata come i pasticconi di zoviracs che sì, ti fanno sparire le piaghe ma ti riducono il fegato come una prugna secca.
io prediligo il ghiaccio (a temperature basse debella il virus quindi adesso vi scrivo tenendo un petto di pollo surgelato fisso sulla bocca) e la crema di zoviracs. ne metto una goccia sulla ferita e, a parte andare in giro con un liquido biancastro sulla bocca, sentendosi fare battute che sembrano scritte da Pingitore per gli elegantissimi schec del Bagaglino, è la cura ideale. la crema purtroppo l'ho scoperta solo verso i 18 anni, quindi quando ormai mi ero rovinato l'adolescenza a causa di decine di erpes che, da piccolo, erano veramente abnormi e molto estesi. questo perchè quando chiedevo a mia madre se ci fosse un rimedio, lei rispondeva secca: no! mia madre ha fatto le magistrali ma la sua sicumera era la stessa di una ricercatrice dello Spallanzani. "Ma perchè non chiediamo in farmacia?", le provavo a chiedere disperato avendo parte della bocca simile una cartina fisica delle alpi (ma di quelle in rilievo che andavano di moda negli anni ottanta presso tutte le scuole elementari). "Deve fare il suo corso", rispondeva sempre la perfida genitrice. Certo tanto mica ti prendono per il culo a te i compagni di classe guardandoti schifati.

anche quest'estate a Niu Iorc, il maledetto morbo si è fatto vivo proprio quando avevo appena conosciuto questo bocciolo di ragazzo incontrato durante una lezione di danza (vedi post dell'epoca, non so fare i linc quindi se proprio ci tenete a sapere cosa successe, cercatevelo tra i post di maggio, grazie). insomma riesco alla fine a fissarci un appuntamento a cena e 2 giorni prima arriva la truppa al gran completo dell'armata degli erpes: ben 3!! corro in farmacia e sono talmente evidenti che non occorre saper dire in inglese "come cazzo faccio a far sparire queste merde in 48 ore?!! la prego mi aiuti!!". mostro semplicemente le labbra, vedo l'espressione disgustata che fa persino la farmacista che, immagino dovrebbe essere abituata anche a peggio (questo per dire come stavo messo) e mi da dell'echinacea. echinacea?! mi prendi per il culo!? quello è un rimedio della nonna!! non ci faccio una ceppa! sarebbe come voler radere al suolo un buncer antiatomico con un raudo! le prendo lo stesso visto che senza ricetta non mi darà altro. ne assumo una dose doppia rispetto a quella consigliata, prego e spero. per tutto il tempo della cena cerco di coprirmi il labro sedendomi con il lato "buono" della bocca rivolta verso di lui. ma siccome quello non è cieco e in america sono fobici per cui una sbucciatura sul ginocchio fatta cadendo dai pattini per loro è un sarcoma di caposi causato da uno stato avanzato del virus dell'hiv, a fine cena ci facciamo una passeggiata e, nonostante i miei tentativi patetici di ottenere un invito a salire da lui, mi dice: "arrivederci e grazie". tornato a roma mi scriverà confermando i miei sospetti: avendo visto quella piaga scandalosa temeva fosse chissà che cosa e quindi si era tirato indietro salvo poi aggiungere "però sono libero il mese prossimo, potrei venirti a trovare a roma!". Col cazzo!!! mi fai andare in bianco per un semplice erpes (che ribadisco, non è ebola quindi non è contagioso per quanti non ne sono predisposti) e ora pretendi ti faccia fare Vacanze Romane?
detto questo, il petto di polo ormai è scongelato e torno in cucina a staccare un aisberg dal frizer per provare ad arginare l'inesorabile avanzata degli erpes sperando che ne sia solo uno e che non facciano le merde come spesso accade, che spuntano di nascosto, all'improvviso, magari mentre dormo ed ho quindi la guardia abbassata.

domenica 29 marzo 2009

http://www.youtube.com/user/InsyNonDeveMorire

qui c'è la presentazione a mucca e le 2 cose dette da costanzo. grazie carlo!!!

sabato 28 marzo 2009

stasera sono dar sor costanzo

Se siete insonni o non pensate di andare a sgambettare per balere e volete vedere se sono più' bona io o la caldonazzo, guardatevi il Costanzo scio' di stasera. Io, ancora orfano del mio mec, scrivo usando l'ai pod tac: una vera tortura medioevale. Ps: grazie a quanti intervenuti ieri alle 2 presentazioni del libro. Mi sono divertito tantissimo.

mercoledì 25 marzo 2009

VENERDì PRESENTO IL MIO LIBRO MA NON COME AVREI VOLUTO (alle 18 da Feltrinelli di Piazza Colonna e la sera, verso mezzanotte, a Muccassassina)





















ho passato tre giorni per cercare le musiche giuste e le immagini più calzanti da sincronizzare con la lettura di alcuni passaggi del mio libro per la presentazione di venerdì pomeriggio a Feltrinelli di Piazza Colonna a Roma e poche ore fa cosa succede? il mio compiuter cade da un'altezza di 13 millimetri e si rompe. ho sentito di alzatine in vetro di murano molto più resistenti. inutile tentare di praticare la respirazione bocca a usb. sono corso ad un eppol stor con quella creatura in mano avvolto un un asciugamano.
l'ho implorato di fare qualcosa visto che ho tutto li dentro (come tutti ormai). gli ho detto che venerdì ho una presentazione importante ma mi sembrava più preso dalle tette della cliente accanto a me che dalle mie preghiere.
speriamo quindi che possa ripararlo per dopodomani, altrimenti, faremo la presentazione come gli antichi ma, la cosa peggiore, sarebbe dover comprare un mec nuovo.
io intanto scuoto cornetti e sgozzo polli litaniando antichi riti anti malocchio.

PS: tutto questo per dirvi che venerdì alle 18 a feltrinellei di Piazza colonna ci sono io con il mio libro e, la sera, al piano terra di Muccassassina (via di Portonaccio)verso mezzanotte. site tutti invitati.

lunedì 23 marzo 2009

ABLANDO CON EIO: un episodio dal mio viaggio a Madrid.























La porta è chiusa ma le pareti sono così sottili che si sente anche il rumore di un battito di ciglia.
Sono nel letto e sto dormendo di un sonno innaturale prodotto da una pasticca di sonnifero acquistato in una farmacia di Madrid: “è poco più forte della valeriana”, dice la farmacista ma evidentemente la valeriana spagnola la usano come anestetico per le operazioni a cuore aperto dal momento che ne prendo una ed entro in coma. Mi inizio a riprendere nel tardo pomeriggio di sabato. Alle 22 ho appuntamento con gli altri amici per andare a cena. Inizia un tormentato dormiveglia. La mente impone al corpo di lanciarsi in doccia per sciacquare via con una sferzata d’acqua fredda i rimasugli del sonno, ma non ce la fa. Sono lì, disteso supino che fisso il buio quando sento aprirsi la porta del nostro ostal.
“Ciao”.
“Ciao”, risponde uno dei ragazzi che lavora lì rispondendo a quello che presumibilmente è un altro ospite della nostra pensione.
Per il nostro viaggio a Madrid, siccome non bastava aver deciso di dormire a Cueca, che è il quartiere finocchio della capitale, abbiamo anche scelto questa che è una pensione ghei, quindi non stupisce la conversazione che sento fare tra i due.
“hai fatto un giro?”, chiede il tipo della pensione.
“Sì, adesso mi preparo poi andrò a cena”, fa l’ospite.
“avete tante stanze prenotate”, continua.
“Sì, 16!”, risponde soddisfatto il gestore.
Parlano proprio davanti la porta della mia camera, posso quindi facilmente distinguere i pensieri dell’ospite: “accidenti! 16 camere occupate! Almeno 30 finocchi! Se mi dice sfiga in disco, torno e mi metto a bussare a tutti, qualcuno che ci sta vuoi non lo trovi!?”.
Io, sempre sdraiato, mi metto i palmi delle mani dietro la testa per ascoltare lo sceneggiato radiofonico più comodamente.
“Di dove sono i clienti?”. E’ sempre più interessato l’ospite che dall’accento mi sembra essere americano.
“Spagna, Inghilterra, Francia, Italia…”, risponde il tipo della resepscion in un buon inglese.
“Italiani?”, lo blocca l’americano con l’entusiasmo di chi grida automaticamente “tombola!” non appena sente chiamare il numero vincente.
“sì, in queste due camere”. E immagino indichi la mia, che condivido con un amico, e quella accanto dove ce ne sono altri tre.
“E come sono?”, con tono impaziente.
“Quelli in questa sono molto carini. In quest’altra…”. E non termina la frase. Immagino quindi abbia fatto un gesto che purtroppo, nonostante le intercapedini spesse come ali di farfalla, non percepisco ma che immagino essere una specie di smorfia fatta arcuando un lato della bocca e socchiudendo un occhio. Il tutto accompagnato da una mano che sfarfalla.
“Beh, allora dovrò conoscerli”, dice ridendo l’americano. Dopo di che si salutano e sento una porta chiudersi.
Silenzio.
Il mio primo istinto è quello di saltare fuori dal letto spalancando la porta e imponendo allo spagnolo di confessare chi delle due camere sono i carini e chi i “…” ma ancora una volta il corpo non ha forza e resta inerme tra le coperte sprofondandomi nel dubbio che quel “chiut” fosse riferito alla camera 315, quella dei miei amici, e non alla mia.
Dopo altri 30 minuti di sonno e veglia, finalmente trovo la forza di prepararmi per la serata ma, nonostante il divertimento delle ore successive, il tarlo del dubbio su chi fossero i “carini” ha continuato a rimbalzarmi da una parte all’altra del cervello anche quando, verso le 4, era omai un pan di spagna imbevuto d’alcol fino all’inverosimile.

giovedì 19 marzo 2009

IL SANTO PADRE E IL POLITICHESE.





















Il Santo Padre è approdato in Africa. Una terra che sembra essere stata messa sulla terra a posta per catalizzare tutte le sventure della terra: ditene una e lei ce l’ha. Malattie? Quante ne vuoi, anche quelle in fase di sperimentazione. Fame, siccità, tirannie sanguinarie e guerre. Una terra ed un popolo flagellati dall’AIDS, morbo che lì non si cronicizza ma ti porta direttamente alla morte, senza neppure la possibilità di ricevere un minimo sollievo farmacologico dato che in molti stati africani è più semplice trovare un calasnicov che un’aspirina.
Quindi il Santo Padre atterra e lancia questo messaggio: l'epidemia di Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi che, anzi aumentano i problemi. L’unica strada efficace è quella di un rinnovo spirituale e umano nella sessualità.
Io è da ieri che cerco di capire il significato di una frase del genere. Sono Andato a riprendere i libri di grammatica delle medie e ho cercato di scorporarla, sezionarla, analizzarla per trovarne il senso e alla fine sono giunto ad una conclusione: non significa una beneamata ceppa ma, semmai mi ricorda i comizi politici, gli interventi parlamentari e i comunicati di partito della prima repubblica che avevano in comune con quest’ultimo del Santo Padre un lessico contorto ed incomprensibile. Termini, perversamente giustapposti volti non alla comprensione del messaggio ma funzionali per ottenere la massima deferenza da parte dell’interlocutore.
Il mondo politico internazionale, quello serio, civile, responsabile e conscio dell’impatto mediatico che ottengono certe dichiarazioni (quindi tutti i governi escluso il nostro, quello con sede a Cologno Monzese), si è detto indignato di fronte ad un’affermazione che, a mio avviso, non è un messaggio di speranza ma un’istigazione allo sterminio. Sembrerà forse un termine forte ma di questo parliamo. Sì, perché seguendo un percorso logico neppure particolarmente complicato, se io affermo che il preservativo non va usato sapendo che, a tutt’oggi, è il solo mezzo certo per arrestare il diffondersi di un virus letale, non faccio che favorire la pandemia.
Il Santo Padre e la sua ciurma di grassi prelati ovviamente una soluzione ce l’hanno: l’astinenza o la fedeltà nel matrimonio a seguito di una vita passata in castità.
Una soluzione che nella sua rigida follia avrebbe un senso, e per la chiesa ce l’ha dato che, mi sembra chiaro da millenni, si tratta di un’istituzione che non vive nella realtà del mondo nonostante però di questo mondo ne apprezzi le ricchezze e gli agi.
Non manifesterò quindi la mia difficoltà nel cercare di trovare il nesso tra la distribuzione dei preservativi (previa corretta informazione ed educazione sessuale senza le quali, davvero, i profilattici rischierebbero di essere usati come palloncini per le feste dei piccoli del villaggio) e l’aumento dei misconosciuti “problemi” (quali? Che problemi? Santo Padre, metta qualche oggetto nelle sue costruzioni sintattiche, la prego, ci faccia capire), né cadrò nella banalità e nell’ovvietà di sottolineare la discrepanza evidente anche ad un marziano che c’è tra il Vangelo (per quel che mi riguarda, unico testo “sacro” rispetto a quel libraccio di favole che è il vecchio testamento) e la conduzione di vita della nomenclatura vaticana ne mi lancerò in maledizioni invocando l’ira di qualche leonessa affamata che voglia pasteggiare a base di zibellino e babucce di Prada. Il mio, purtroppo, è solo un patetico sfogo senza soluzione che ha molto in comune con quello di una portinaia che borbotta inutilmente quando un condomino passa per l’androne ancora bagnato, lasciando le impronte sul pavimento.

lunedì 16 marzo 2009

DIVERSO DA CHI? recensione ex ante di un film di fantasia.






















Mi rendo conto che prima di esprimere un giudizio è cosa buona e giusta conoscere l’oggetto in questione ma è pur vero che non devo aspettare di partire per una vacanza su un’isola deserta insieme alla Carfagna per rendermi conto che, avendo poco spazio in valigia, dovendo scegliere tra un bichini in più e il cervello preferirebbe portare il secondo, dato che è la cosa più striminzita che possiede. Quindi pur non avendo ancora visto il film di prossima uscita “Diverso da chi?” mi permetto di esprimere un giudizio su questa pellicola dato che la trama è talmente articolata da entrare comodamente in un cartiglio dei baci Perugina: un ricchione, in coppia con un par suo da secoli, conosce una tipa, sbrocca, se ne innamora, la mette in cinta, poi torna dal compagno e formano una famiglia con tre genitori (a voli la scelta di capire se sono 2 padri e una madre, tre madri, tre padri, insomma un macello in stile JT liroi).
In questo periodo ho poche questioni che tormentano la mia mente e subito dopo la decisione se dare alla mia frangetta il verso a sinistra o a destra, il dilemma che mi ruba ore di sonno è decidere se andare a vedere o meno questo film. A dirla tutta, l’idea di vedere Argentero spogliato mi alletta ma è pur vero che mi basta recuperare in cantina il calendario di Max del 2002 e mi risparmio l’attacco di bile che mi verrebbe nel seguire un film che, non ho ben capito per quale motivo (leggo su una prestigiosa guida cinematografica) giace nel genere commedia romantica quando meriterebbe invece il genere fantascienza dato che un ghei che si converte e finisce a letto con una donna e ci fa quello che ci farebbe con un uomo (una volta capito però che le serrature da centrare sono altre) non può che essere un film più simile a La guerra dei mondi che a Lov stori.
Insomma dopo la canzone Luca era ghei, arriva un film che ha sottesa la stessa prospettiva esistenziale: se becchi quella giusta, non c’è Apollo del belvedere che tenga (non che Nigro lo sia ma, personalmente io me lo farei), capitoli e ci scappa se non la conversione definitiva, almeno un turbamento dei sensi.
Adesso io ho deciso di fare una cosa: telefono alla rivista “Concorsi per tutti” e voglio bandirne uno: si offre ricompensa di 100mila euro a chi porta un’esperienza di un ghei che, dopo aver accettato la sua omoricchionaggine, ha conosciuto una donna biologica e se ne è innamorato.
Anche qui, mi permetto di fare una previsione dicendo che potrei aspettare fino al giorno in cui sarò pronto per un monolocale in legno di noce che tanto nessuno verrà a reclamare il premio (per questo mi sono sbilanciato con la cifra).
Capisco che il cinema è il posto dove si celebrano le fantasie più sfrenate e vorremmo tutti vivere nella terra di mezzo di Padron Frodo o su un materasso 3metri per 3 circondato dagli attori della Cazan Prodacsion ma qui la sceneggiatura ha effettivamente esagerato tanto più se penso che se devo proprio perdere la testa per qualcuna lo farei per la Bellucci, non certo per la Gerini.
In tutto questo, la cosa che davvero mi sfugge, è il motivo per il quale contro Povia, che a San Remo più o meno ha portato una storia simile, gli esponenti dell’Arci si sono stracciati le vesti minacciando di gettarsi in piazza dandosi fuoco come i monaci buddisti a Lhasa e per “Diverso da chi?” hanno dato la loro benedizione. L’unica cosa che mi viene in mente è che la Cateleia abbia disposto che Mancuso (ndr: presidente della suddetta associazione dalle chiappe chiacchierate) venisse colpito da una pallottola d’Argentero pur di comprare il suo benestare.
Quindi, alla fine di queste considerazioni, credo proprio che per vederlo aspetterò l’uscita del cofanetto che sicuramente verrà realizzato allegando al film il cd di Povia e sarà distribuito in edicola con la promozione: “Eterosessualità? Sì, grazie. Corso rapido audio-video per convertire il ricchione che è in te (no! Il ricchione in questione sei tu!! Che hai capito brutto depravato!!??)”. in più, con la prima uscita un cilicio da viaggio e il libro degli esercizi spirituali di Mons. Ersilio Tonini.

giovedì 12 marzo 2009

CALCI, PUGNI E INDIFFERENZA.

Un uomo di 30 anni, omosessuale, seguito dai servizi sociali del Comune per una lieve disabilità psichica e mentale, è stato aggredito, a calci e pugni, a Pordenone, da tre persone che sono poi fuggite.
L'episodio è avvenuto nel centro di Pordenone. Al momento dell'aggressione, intorno alle 21,30, nella piazza c'erano molte persone ma nessuno è intervenuto a difendere l'uomo o fermare l'aggressione. Durante il pestaggio, hanno anche ripetutamente apostrofato la vittima con frasi ingiuriose.
I tre hanno agito organizzando con precisione l'aggressione. Già qualche ora prima, infatti, uno dei tre denunciati aveva proposto agli altri di "andare a dare una lezione ai froci del Bronx", il quartiere dove di notte s'incontrano alcuni omosessuali. Durante l'aggressione, i tre avrebbero insultato il gay disabile, minacciandolo.
L'uomo interrogato dalla polizia ha risposto, terrorizzato, di non voler denunciare gli aggressori e di non sapere perché lo avessero aggredito.
Nei riguardi dei tre denunciati - S. C., 21 anni, di Porcia (Pordenone); T. N., 22 anni; e O. S., 43 anni, entrambi di Pordenone - è stato ipotizzato il reato di concorso in violenza privata, aggravata dal fatto che la vittima è un portatore di handicap.

Per scrivere questo commento c’ho messo più del solito. Non tanto perché non avessi chiaro cosa dire ma semplicemente perché ho dovuto battere sulla tastiera usando la punta del naso, giacché le braccia mi sono cadute per terra.
Non prenderò spunto da questo episodio per un’apologia a favore degli omosessuali. Quello che è capitato è un fatto avvilente a prescindere dalle inclinazioni sessuali della vittima. Quello che mi scoraggia è pensare di vivere in una società convita della propria civiltà ma sulla quale ho i miei dubbi perché tale non può essere se i suoi componenti restano indifferenti o, come in questo caso, addirittura compiacenti davanti ad atti di violenza come questa. Me li vedo quei cari borghesi, avvolti nelle loro pellicce che sanno di naftalina e il petto ancora arrossato dal mea culpa recitato la domenica a messa, restare lì, ad assistere, mentre tre esseri picchiavano un uomo solo. Sono gli stessi che giammai si sognerebbero di gettare della plastica nel raccoglitore dell’umido e che portano il sacchetto di plastica per raccogliere la merda dei loro cani affinché non insozzi le aiuole del bel parco comunale ma che di fronte ad un povero cristo, insultato e preso a calci e pugni, non muovono un dito.
La polizia ha fatto il suo dovere. I tre sono stati fermati ma sono deluso da una cosa: perché non fermare e mettere sotto accusa per favoreggiamento tutti quelli che in piazza non hanno fatto nulla per fermare gli aggressori? Perchè sarà un reato picchiare a sangue qualcuno ma ci sarà pure una cavolo di sanzione per chi, invece di intervenire, preferisce restare a sorseggiare lo spumante dell’aperitivo.
E soprattutto perché se solo uno viene vagamente tacciato di aver commesso un reato, i giornali ti stampano nome, cognome e curriculum professionale mentre questi tre infami possono godere dell’anonimato quasi fossero loro le vittime?
Nessuno pretende un mondo perfetto e al riparo da errori ma ci sono cose che davvero continuano a lasciarmi sgomento. E adesso, scusate, non so come farò, ma devo trovare un sistema per riattaccarmi gli arti al busto.

mercoledì 11 marzo 2009

a chi interessasse la mia intervista di ieri su radio2 a "gli spostati", può andare qui: http://www.radio.rai.it/podcast/A0039113.mp3

Scusate l'eccesso di autoreferenzialità (è circa a 3/4 del file).
Sempre vostro.
INSY

PS: sennò se avete problemi andate qui e poi scaricate la puntata del 10/3 (ieri)
http://www.radio.rai.it/radio2/podcast/lista.cfm?id=1330

martedì 10 marzo 2009

MI EGEINST THE MODA















La moda è una gran cazzata.
L’ultima volta che espressi un giudizio del genere avevo 16 anni e questa affermazione mi costò una settimana di sospensione alla Scuola di froceria “Leopoldo Mastelloni” di Secondigliano dove ero andato per un corso estivo di perfezionamento. Oltre ai vari corsi di Teoria e Tecnica dei Rimorchi di Massa, Storia del travestimento e Simulazione di eterosessualità, una delle materie più seguite era quella di MODA (scritta appositamente tutta maiuscola, tanto per dare un’idea dell’importanza attribuita all’argomento).
In una scala da uno a 100 io credo di essere ghei 12mila ma se c’è una cosa che proprio non mi dice nulla è la moda o meglio, il sistema moda. Perché infatti se arrivo ad apprezzare lo studio e la ricerca che sono alla base di essa, non sopporto la serietà con cui viene presa dagli operatori dell’ambiente. Io sentir parlare di “approccio filosofico” per descrivere una collezione di abiti composti da 4 camicette trasparenti che fanno vedere le zinne, indossate da modelle che pesano come un pacchetto di Camel, scusate, ma lo trovo un po’ sovrastimato.
Quando mi capita di intercettare qualche intervista televisiva fatta a uno stilista a caso, se non sapessi che quel tipo sempre vestito di nero (ma una volta uno interno alle cose della moda mi ha retarguito correggendomi: “ma no!! È un blu notte!”, con lo stesso sdegno che se mi avesse sentito confondere la bandiera italiana per quella della contrada dell’istrice) non è un noto desainer che disegna capi sempre uguali a se stessi più o meno dai tempi di Vittorio Emanuele I, lo potrei scambiare tranquillamente per un ricercatore del CNR visto che in comune con questo usa termini come “innovazione”, “tecnologia” e “visione del futuro”.
Il mio potrebbe sembrare un discorso sminuente e qualunquista ma quando, come oggi, mi capita di leggere un articolo sulla nuova linea di meic ap di Dolce e Gabbana su una nota rivista vanitosa che grida “marchetta” più di un trans brasiliano sulla Cristoforo Colombo alle 3 di notte vestito solo di un paio di tacchi da 23 centimetri, non posso che confermare la mia posizione critica.
Lo so che una dichiarazione del genere mi costerà un futuro sotto scorta come Saviano, vivendo nel terrore di possibili ritorsioni da parte dei cartelli dei finocchi fescion victim, ma la mia è un’accusa coraggiosa che so mi varrà anche molti attestati di stima e solidarietà.
Non nego che uno per vendere a volte indulge in dichiarazioni anche eccessivamente entusiastiche (io del mio libro sono arrivato a dire che è sicuramente uno dei più belli del 2009-cazzata che ha causato l’incagliamento di una petroliera nell’antartico, l’estinzione di 12 specie di animali e l’innalzamento della temperatura terrestre di un altro grado) ma sentir dire che la produzione un nuovo rossetto ha suscitato in loro la stessa emozione di avere “un nuovo bambino” mi lascia quantomeno turbato (soprattutto per il fatto che lascia sott’intendere ne abbiano già uno nascosto da qualche parte).
A quanto pare infatti D&G ti hanno tirato fuori una nuova linea di trucco di cui si sentiva effettivamente il bisogno e per lanciarla si sono chiusi per mesi in un eremo sulle pendici delle cime del Lavaredo chiedendo alle divinità montane un’ispirazione originale per comunicare questa nuova linea. Si dice che per settimane non si siano cibati che di radici di piante mediche e che si siano inflitti dolore fisico con dei cilici in gabarden, indossando sai di liuta della collezione Pronto Moda Cina acquistati in via Sarpi a Milano (ndr: il quartiere cinese meneghino zeppo di negozi tutti uguali l’uno all’altro dove vendono abiti di merda, che tutti sanno essere solo coperture per loschi traffici dagli occhi a mandorla ma sui quali le autorità pare non abbiano interesse ad indagare). Alla fine però, l’ispirazione è arrivata: usare Scarlet Gianson come testimonial! Accidenti che scelta ardita e originale, prima di loro infatti solo DKNY e Calvin Clain avevano avuto la stessa identica idea (e pensare cha ha solo 23 anni, all’età di 40 avrà dato il volto anche alle offerte settimanali della LIDL)! Chi avrebbe mai pensato di ingaggiare l’attrice che è al momento soltanto la più famosa della terra!? E siccome loro sono una coppia e le idee geniali gli vengono sempre a colpi di due, perchè non sconvolgere il mondo della comunicazione facendo uno sciuting fotografico per il lancio dei loro truccosetti inciuciandola come una diva del cinema anni ’50? E perché non adoperare una diva di nicchia come ad esempio la Monro’? Era dai tempi di Paolo Lmiti, Flora Dora e Giastin Mattera che non si sentiva più parlare di Merilin. Cazzo, il mascara della loro linea costerà pure quanto il pieno di carburante delle Sciattol Endevor ma idee tanto originali vanno anche ricompensate.
Andando avanti nella lettura di un’intervista che se la si leggesse con vero spirito critico il primo istinto che susciterebbe sarebbe quello di ristabilire una repubblica teocratica stile Savonarola dove ti mettono sul rogo tacciandoti di vanità anche solo perché ti sei lavato la faccia, scopro che la meic ap artis (leggi “truccatrice”) della campagna di lancio di questa linea ha concordato con Ste’ e Do’ una serie di colori che fossero adatti alla Gioanson e dopo un’altra settimana sempre nello stesso eremo hanno deciso per “un rosso rubino sulle labbra e un fucsia dalia (!?) micsati che hanno dato un effetto unico e sorprendente attraverso i quali interpretare l’ispirazione degli stilisti che parte dalla loro passione per l’Italia” (triplo sbadiglio della morte carpiato). E poi il colpo di grazia: “abbiamo racchiuso negli ombretti e negli smalti i colori di Stromboli”, dichiara ancora.
Io non sono mai stato in Sicilia, tanto meno a Stromboli, quindi per quanto ne so, potrei anche immaginare una superficie marziana fatta di terra rossa ma qualcuno sa dirmi come cavolo dovrebbero essere mai i colori su quest’isola sicula?
L’intervista si conclude con la domanda: “qual è il suo prodotto preferito?”, lei risponde: “ultra scain lipglos nuans Pescion classic crim lipstic dalia”. Sconvolto dalla criticità della risposta, ho fatto leggere quest’ultima parte ad un amico che ha la passione per i codici militari il quale mi ha rivelato essere un messaggio che tradotto dice più o meno così: “a Ste’, a Dome’, anche stavolta l’avemo prese per il culo e vedrai quante sceme ce cascheranno!!”.

giovedì 5 marzo 2009

ADDIO PRODE SCUDIERO.






















Allora: mi licenziano e invece di disperarmi e maledire il mondo (cosa che mi sono limitato a fare solo per quei 2 buffoni degli amministratori delegati che se solo gliene arriva una di quelle mandate da me e dalle decine di miei colleghi presto si ritroveranno due prugne secche della california al posto dei coglioni, ammesso ne abbiano mai avuti) ho cercato di leggere tra le righe della malasorte un’opportunità per sperimentare strade nuove abbracciando la concezione orientale che bisogna adattarsi alle situazioni evitando di riversare troppe aspettative sulle cose della vita. E pensavo quindi che, indossato il saio da Aricrisna andando in giro con un tamburello, lanciando fiori ai passanti e inneggiando all’amore, nulla mi potesse più toccare ma stamattina ho scoperto invece di essere ancora troppo viscerale per aspirare a diventare il prossimo Siddarta. Come ho spesso raccontato, ho un motorino con un cavalletto nella fossa e non è una figura retorica: uno dei due piedini che tengono su il mezzo si è rotto mesi fa per cui adesso per parcheggiarlo devo farlo sempre a favore di pendenza per far sì che il peso poggi sull’altro superstite, insomma roba da far impallidire gli ingeneri del canale di Suez e della diga delle tre gole in cina.
Come non bastasse la molla che teneva su il cavalletto si è allentata quindi il cavalletto nelle curve tocca l’asfalto producendo scintille e un rombo tale per cui chi mi guida accanto guarda il cielo credendo stia arrivando un temporale.
Lo specchietto di destra: andato. Mesi fa mentre ero fermo ad un semaforo quando, giuro su Vaniti Fer di questa settimana, cade dal nulla un tubo innocenti che divelle lo specchietto sfiorandomi il braccio e, rimbalzando, si conficca nel cofano della macchia dietro. Io, avendo scampato l,a morte, per poco non mi faccio la cacca sotto dalla paura e per un momento mi sono sentito catapultato in un episodio a caso di Fainal Destinescion.
Insomma ormai è un vero catorcio (o, visto i precedenti, un catalizzatore di sfighe) ma, nonostante da tempo misteriose frasi sull’asfalto scritte con sgommate di pneumatico mi implorassero:“ti prego, questa non è vita: poni fine alla mia agonia”, avevo deciso di tenermelo ancora per un po’ in attesa di un futuro più prospero quando lo avrei rottamato in cambio di un nuovo fiammante motorino.
Stamattina mi sveglio. Devo andare a pagare l’affitto e già questo è fonte di stress temendo sempre che il padrone di casa mi aumenti l’affitto (per scongiurare la qual cosa, è stato il primo a cui abbia parlato del mio licenziamento mettendo così in atto una trappola morale che moverebbe a compassione persino Valdemort). Scendo. Mi metto a cavalcioni del catorcio. Giro la chiave. Vado per tirare il freno/frizione quando mi sembra manchi qualcosa: il freno/frizione. Temo di avere le traveccole. Controllo. No, no, che traveccole, il freno non c’è più. Spezzato di netto! Il calendario non basta con i suoi miseri 365 santi quindi passo alle divinità scintoiste e agli dei dell’olimpo.
Evidentemente qualche coglione avventore del bar sotto casa, ieri sera non trovando posto nel locale, ha sicuramente preferito sedersi sul mio catorcio che, sempre causa cavalletto che si regge solo grazie a qualche misterioso principio della fisica, ha ceduto cadendo e rompendo il freno.
Dopo aver travasato bile e maledizioni, sono tornato su casa. Ho raccontato la triste storia al padrone di casa per rimandare l’appuntamento che dopo questo sono certo addirittura mi abbasserà l’affitto per aver totalizzato il massimo in termini di zella (ndr: modo romano di dire: sfortuna. Altrimenti usato per indicare lo sporco, ad es: “vatte a lava’ che c’hai la zella addosso!!”) e adesso sto invocando lo spirito degli antichi affinché facciano esplodere il cervello del bastardo che si è seduto sul mio motorino il quale, ovviamente, non si è preso neppure la briga di appoggiare il freno rotto sul motorino in modo che potessi eventualmente saldarlo, incollarlo, legarlo con lo spago e due cerotti, non so….qualsiasi cosa che mi permettesse quantomeno di accenderlo e portarlo da un meccanico.
Questo significa che ormai il rottame diventa ufficialmente inservibile e che dovrò farmi l’abbonamento alla tranbus (intera rete) o tirare fuori foto compromettenti di amici ubriachi intenti a fare trenini con sconosciuti per ricattarli e così costringerli di volta in volta a venirmi a prendere e riportare a casa durante le nostre uscite.

mercoledì 4 marzo 2009

chi è su CHI.









Dopo mesi di trattative che vedevano in lizza tra le atre riviste come De Niuiorcher, Interviu e Le Caié de la letteratiur ho finalmente deciso a quale concedere il mio memoriale in cui rivelo segreti inconfessabili e novità imperdibili sulla mia vita.
Oggi esce quindi una mia intervista molto carina su CHI. Se volete andare diretti al punto saltando gli amori della Satta e le confessioni di Povia (ironia della sorte, siamo sullo stesso numero), andate subito a pagina 128.

lunedì 2 marzo 2009

PIUME D'ANATRA.

Durante un’intervista, una volta chiesero a Rita Levi Montalcini cosa pensasse dell’amore e lei, composta, austera, stretta in uno di quei suoi rigorosi abiti dal collo inamidato con il calcestruzzo, rispose che era impermeabile all’amore come lo sono all’acqua le piume delle anatre. Gelo. L’intervistatrice rimase pietrifica. Vedere ammettere una donna di non crede all’amore crea più imbarazzo che sentir dire alla Marini che è pronta per recitare “Anna Carenina” a teatro.
Lapidaria. Perfetta nella sua semplicità. Assoluta nella chiarezza.
Sentirle dire quella frase fu per me un’illuminazione e da allora, pur non avendole pagato un soldo di diritti d’autore, è così che descrivo anche il mio di atteggiamento nei confronti dell’Amore.
Premetto subito che non ho avuto esperienze sentimentali traumatiche nella mia vita più di quante non ne abbiano avute anche quelli che credono che l’amore sia una cosa meravigliosa e che mettono i cuori al posto dei puntini sulle “i” e non ho avuto neppure cocenti rifiuti di quelli che ti fanno gridare “non amerò mai più!” (oltretutto, da quel che mi è dato vedere, chi si aggrappa alle tende consumandosi in un dolore degno di un film muto della Duse è lo stesso che, passati tre giorni, è già pronto a reinnamorarsi di qualcun’altro).
La mia refrattarietà all’amore la dichiaro con serenità. Questo non significa che non creda che per altri invece questo sentimento esista, anzi, per loro provo rispetto ed anche un po’ d’invidia ma dico semplicemente che non sono stato benedetto dal dono dell’amore.
E non sono neppure di quelli che hanno inviso questo sentimento “che sposta le montagne e cambia i corsi dei fiumi” al punto tale da denigrarlo facendosi beffa di esso. Del resto ho avuta una relazione durata tanti anni, in cui ho creduto molto per gran parte della sua durata, ma poi forse qualcosa è cambiato, qualche interruttore ha fatto corto e lo stato attuale del mio cuore è lo stesso di quello impiumato della Signora Montalcini.
Così, dopo aver ammesso che i musei mi annoiano (rischiando di esser tacciato per zotico e ignorante), ormai da qualche tempo mi sono anche serenamente rassegnato alla consapevolezza di non avere nella mia tavolozza emotiva certi colori.
Molti pensano che una vita senza amore non si una vita ma se di questo aspetto dell’esistenza (che per me è una possibilità e non una condizione ineluttabile) non ne sente la mancanza, cosa posso farci? Per carità, Lov Stori è uno dei miei film preferiti e rischio la disidratazione per le lacrime ogni volta che rivedo “Come eravamo” ma dopo i titoli di coda non mi viene affatto da pensare a quanto misera sia la mia esistenza senza una persona accanto.
Non confondiate tutto questo per cinismo da tolc sciò. Se vedeste il sorriso sereno che ho sul volto mentre scrivo queste considerazioni, vi persuadereste che non è così.
Tutt’altro, mi piacerebbe che il mio cuore sbattesse all’impazzata contro la gabbia toracica alla vista dell’amato ma, parafrasando un contemporaneo della Montalcini, Don Abbondio, che diceva: “uno il coraggio non se lo può certo dare da solo”, adatto la citazione e con rassegnazione dico: “uno l’amore mica se lo può imporre da se”.