venerdì 24 febbraio 2012

And The Oscar Goes To...Boh


Domenica 26, verranno consegnati gli Oscar.
Pomeriggio lì, da noi sarà già notte fonda. L’idea di passare una oscar night stravaccato sul divano e circondato da junk food è il mio sogno di sempre come i pigiama party con le amiche ma davvero, io a una certa ora crollo e anche stesse andando in fiamme il palazzo preferisco morire carbonizzato che svegliarmi.
L’indomani in genere mandano sempre in onda la versione light della premiazione che solitamente dura quanto un anno di carestia ma non è la stessa cosa, manca del tutto l’emozione della diretta ed è come per un etero vedere una partita registrata. Così alla fine mi limito a leggere la lista dei premiati e buona notte ai suonatori.
Mai come quest’anno comunque arriverei impreparato all’evento. La rosa dei candidati si è spampanata passando da 5 a 9 film (già da qualche anno in effetti) e vederli tutti, per quanto mi riguarda, significa non avere una vita.
L’allargamento mi sembra tra l’altro una mossa per spingere più gente ad andare al cinema in un periodo di crisi che travolge anche il cinema. Una candidatura infatti da a una pellicola quell’unzione sacrale, quel marchio DOP che spinge più volentieri il pubblico ad assiepare le sale dicendo: “è candidato all’Oscar! Sarà di sicuro un bel film”.
Cosa vera in parte anche se solitamente i membri dell’academy dubito si mettano a casa a vedere 3000 dvd con tutti i film distribuiti negli Stati uniti durante l’anno e più comodamente si concentrano invece su quelli che i publicist delle major decretano essere la short list. Questa per essere credibile e per mitigare l’immagine dittatoriale delle grandi case di produzione deve sempre avere un outsider proponendo così quel cliché da “David che sconfigge Golia” tanto cara alla poetica filmica hollywoodiana.
Quello di quest’anno a farlo è The Artist, un film francese sugli albori della storia del cinema girato in bianco e nero e muto. Detto così potrebbe sembrare una tortura da Guantamo ma si tratta di un vero capolavoro, a detta di molti, dato che ancora non l’ho visto ma rientra nella mia lista dei “lo vedrò”.
Altri candidati sono The Deschendants tradotto in italiano con un incomprensibile “Paradiso amaro” (un altro “lo vedrò”).
Hugo Cabret, che non gli avrei dato una lira perché visto i trailer sembrava un film di quelli dove nel titolo c’è un armadio, un orologio, un leone e un cavaliere e dove la trama è solitamente un pasticcione epico tra Pollicino e il Parsifal. Anche questo film invece sembra un vero capolavoro. Tutti quelli che lo vedono ne restano stregati per cui o all’ingresso con gli occhialini distribuiscono anche dell’LSD o forse io non c’azzecco più con i giudizi ex ante.
Midnight in Paris per me è il solito Allen, sempre efficace ma francamente mi sembra più un riempitivo per raggiungere la lista dei candidati che una meraviglia su celluloide.
Molto forte, incredibilmente vicino. Di questo ho letto il libro. La storia è intensa e straziante, di più non saprei dire.
L’arte di vincere: never covered.
War Horse, finalmente Spielberg gira un film visto che negli ultimi tempi pareva essersi lanciato solo nella produzione di telefilm come Terranova (orribile e fatto con gli scarti di Jurassic Park e le scenografie di Fiabilandia) e il fantastico Smash (roba di musical a Broadway che magari a molti fa cagare visto che ogni 5 minuti partono con una canzone ma che io adoro incondizionatamente proprio per questo).
The Tree of life, girato da Malick, uno dei registi più pallosi della storia. L’interprete principale è Bred Pitt che non prestandosi per un nudo integrale frontale lungo un piano sequenza di 90 minuti rende la pellicola avvincente come l’intervallo della Rai degli anni ’70.
The Help è il solo che ho visto. Con mia madre, di pomeriggio in una sala dove il più giovane alle medie studiava il sanscrito come seconda lingua dando così vita a un clima da A spasso con Daisy: quando si dice lo spettacolo nello spettacolo.
Chiudo scrivendo giusto qualche altro piccolo appunto.
Scorrendo le altre categorie scopro un grande assente ingiustificato: Michael Fassbender. Non come attore protagonista per Shame quanto come miglior effetto speciale. Per buona parte dell’inizio del film infatti se ne va in giro nudo ciondolando un pene che buca lo schermo anche senza 3D e quindi meriterebbe senza dubbio l’oscar in questaq categoria tecnica.
Altra nota merita poi la candidatura di Albert Nobbs come miglior make up. In pratica è la storia di una donna che si finge uomo che poi sarebbe lo stesso plot di Yentl di Barbra Streisand, solo meno noioso.
L’oscar però non va per il trucco sul film ma per quello nella vita reale. Glen Close infatti è naturale quando interpreta il suo personaggio. E’ quando poi va a ritirare premi a le serate che tocca dargli giù di maschere in silicone e trucco vinilico.
Personalmente poi da sempre attribuisco l’oscar delle categorie inutili a: montaggio sonoro e sonoro (che a questo punto sfido chiunque a distinguere tra loro, io al massimo so dirti se si sente o se il volume è basso). Diciamocelo: a chi vuoi che gliene importi di queste categorie? Sospetto semmai che queste sono sostenute dalla lobby dei narcos per creare un break e permettere al pubblico nel teatro di fare un pausa durante la serata fiume e andare in bagno a pippare etti di cocaina.

mercoledì 22 febbraio 2012

PETTI DI POLLO, CONTROLLO E RICORDI CHE RIAFFIORANO.


Nel mio armadio ho tre colonne di pantaloni. Una è composta da quelli che indosso tutti i giorni, accanto ci sono quelli che infilo solo a volte e poi ci sono quelli che dovrei buttare ma che se ripenso a quanto ho speso per comprarli preferisco tenerli come monito perpetuo alla mia idiozia da shopping compulsivo.
Stamattina dalla pila di centro ne tiro fuori un paio. Sono gli ultimi in basso (a testimonianza del tempo passato dall’ultima volta che li ho messi) e come un fossile del Pleistocene, sono così pressati che li estraggo già stirati.
Mentre me li sistemo addosso, frugo nelle tasche. Ho il pessimo vizio di non svuotarle mai e quindi di solito trovo sempre fazzoletti smocciolati, biglietti del bus e, se sono molto fortunato, anche qualche euro.
Stamattina invece scopro uno scontrino. È del gennaio dello scorso anno. L’inchiostro è quasi del tutto sbiadito ma si legge ancora bene che si tratta di quello di un ristorante di New York. Più che delle ricevute, i ristoranti di quella città, ti rilasciano un annale che sembra scritto da Tacito: erano le 3 del pomeriggio, il 5 gennaio, ho pagato con la carta, a servirmi è stata una certa Thais Pereira. Io ero seduto al tavolo 5 e solo perché non si legge bene altrimenti sono certo che riporterebbe anche come ero vestito e quante volte sono andato al bagno. Vengo preso da un po’ di nostalgia. È formidabile come cose così insignificanti possano a volte avere il grande potere di far riaffiorare ricordi lontani di periodi così importanti per noi.
Con gli occhi vado avanti e scorro l’ordinazione:
petto di pollo, verdure miste e una coca diet.
Ieri sera torno dal lavoro, vado in palestra e al mio ritorno mi preparo la cena composta da:
petto di pollo, verdure miste e una coca, light (solo perché in Italia la diet si chiama così).
Che fantasia, vero?
Insomma, a distanza di più di un anno faccio la considerazione che mangio sempre e solo le stesse cose, con una serialità da ottuagenario.
Mi piacerebbe avere un carattere più sorprendente e imprevedibile, almeno nella scelta dei menù, ma invece non ce l’ho affatto.
Se sono a dieta, questo è il mio pasto tipico. Se sgarro, anche in quello, non lascio tanto spazio alla fantasia: pizza e fritti (nella trasgressione o si punta al massimo o meglio allora un’insalata di germogli di soia).
Da poco è venuto a vivere con me un nuovo coinquilino. Ogni sera mi vede preparare le stesse cose e qualche giorno fa me lo ha fatto notare. Mi sono sentito talmente mortificato dall’essere stato “sgamato” che la sera successiva ho preparato una frittata con le zucchine ma quella ancora dopo, a corto di altre strambe idee culinarie, ho preferito mangiare tardi per non fagli vedere i petti di pollo in padella e l’insalata verde nella scodella.
Il fatto è che credo, e sono quasi certo di non sbagliare, che la reiterazione di un comportamento sia il risultato di una nevrosi dovuta a una carenza di sicurezze. Insomma, a marzo mi scade il contratto di lavoro e dio solo sa cosa succederà, la salute di mia madre è in netto miglioramento ma certo non le permetterà mai di fare free climbing su delle pareti rocciose e siccome, come dice sempre il mio amico Scrappy, la vita è “un’affacciata de finestra” e potrei essere trafitto da un tubo innocenti che cade da un ponteggio, ecco allora il desiderio di controllo su una delle pochissime cose che posso davvero decidere siano come dico io. La dieta del resto, lo dicono i migliori psichiatri, dà l’illusione di controllare la propria vita ed è più facile mettersi a regime che scardinare i gangli e forzare i chiavistelli che ci impediscono di raggiungere realmente i nostri obiettivi. Questo mi è molto chiaro e ne sono assolutamente consapevole ma che volete vi dica, oggi decido di mangiare esattamente quello che voglio, sul piegamento del destino alla mia volontà, con lentezza ma ci sto lavorando.

lunedì 20 febbraio 2012

FOX E LE PROFEZIE ASTROTELEMATICHE.


A 15 anni fui soggiogato dalla passione per l’esoterismo. Certo non immaginatemi come uno dei bambini di Satana che se ne andava in giro con pentacoli al collo sgozzando polli nei boschi dei castelli romani durante il plenilunio, però ero convinto che l’astrologia, i tarocchi e la lettura della mano (trascendendo fino alla piromanzia e la lettura dei fondi di caffé) avessero sull’interpretazione della realtà e nelle previsioni del futuro la stessa attendibilità di un teorema matematico.
Come dicevo quindi per diversi anni andai avanti con questa mia passione corroborata da uno studio attento e, per quanto lo potesse essere, scientifico degli astri e una pratica metodica e quotidiana delle profezie astrologiche. Ci prendevo? Sempre, almeno così sembrava.
Nostradamus ovviamente era un profeta attendibile e all’epoca riuscivo tanto a intravedere nelle sue centuri chiare visioni del futuro quanto oggi i suoi scritti mi sembrano farneticazioni di uno che fosse nato ai nostri tempi probabilmente si sarebbe fatto una quindicina di anni in un CIM della ASL.
Grazie al cielo verso i 18 anni, prima che iniziassi a cambiarmi il nome con quello di qualche divinità dell’antico Egitto e mi rivolgessi a me stesso al plurale, persi completamente l’interesse. Così, dal giorno alla notte, abiurai le efemeridi, i transiti, la torre e la papessa un po’ perché si sviluppò in me un cinismo ateo e scettico che grazie al cielo ancora oggi mi permette di mantenere il titolo di “gran scassa cazzi” e che rifugge ogni ipotesi di predestinazione un po’ perché mi ero rotto le palle di dover sentire la gente che appena veniva a sapere che leggevo le carte e facevo oroscopi mi incastravano in sedute di ore (gratuite, tra l’altro) chiedendomi di leggere nel loro futuro, di capire il loro passato e di scoprire dove fosse finito l’amore con la stessa invadenza con la quale si chiedono consigli di salute a uno sconosciuto commensale incontrato a cena di amici non appena si scopre che di professione fa il medico.
In un attimo mi era sembrato chiaro che il potere della vaticinazione non risiedeva nell’esattezza della predizione quanto nella disperata suggestione di chi si affida a oroscopi e pozioni magiche e che sarebbe disposto a sdraiarsi su un incrocio stradale al buio per di giustificare la lettura del suo oroscopo quotidiano che per il suo segno prevedeva “un cambiamento funesto che travolgerà la vostra vita”.
Tutto questo fino a quando la scorsa settimana un’amica mi ha fatto scaricare l’applicazione per i phone di Paolo Fox. Con scetticismo me la sono messa sul cellulare e se il primo giorno sembrava strano fosse stato tanto puntuale su alcune cose che erano realmente accadute, dopo 3 giorni consecutivi di previsioni esatte mi sono guardato intorno convinto che in realtà mi stesse seguendo perché non era possibile fosse tanto puntuale.
Risultato: sono diventato un Fox dipendente. Appena mi alzo la mattina adesso la prima cosa che faccio non è vedere se mi hanno scritto su grindr ma leggere il mio oroscopo. Va bene, ammettiamolo, è un periodo difficile, io sono molto stressato, mi sento insicuro e a volte il dubbio mi paralizza ma questo c’azzecca. Certo non credo che sia davvero Paolo che la mattina si sveglia alle 5 per redigere 12 oroscopi né credo che tutti i sagittari versino nella mia condizione ma, cavolo, ci prende! (come aveva esclamato la mia amica suggerendomi l’affiliazione alla setta telematica di Fox). Quindi siccome al momento non ho soldi per un psicoanalista che in maniera più efficace potrebbe darmi una mano, mi abbandono alle profezie di Fox che, per inciso, sono anche gratuite.

giovedì 16 febbraio 2012

DOPO LA BOMBA DI MARADONA IL PACCO BOMBA DI BECKHAM.


La scorsa settimana sulla Capitale si è abbattuta la glaciazione del secolo scatenando scene da “Natale alla Amatriciana”. Le strade erano piene di persone che avevano riesumato piumini della Dolomite messi in soffitta nell’ ’89 e tute troppo vecchie anche per essere vintage, vestigia di settimane bianche a Roccaraso quando andavano molto di moda anche nella classe media romana.
Per evitare quindi che con il mio scooter scivolassi su qualche lastra di ghiaccio andandomi a conficcare come un’accettata contro qualche troco d’albero, ho preferito per giorni spostarmi in metropolitana che, incredibilmente, funzionava quasi meglio che durante il resto dell’anno. Tanto criticata, solo 2 linee in croce, anonima come la bellezza di una modella da catalogo, comunque mi ha permesso di uscire di casa e di non farmi fare la fine di un disperso in Himalaya.
Mentre arranco sulle scale mobili più lunghe d'Europa (quelle della mia fermata di Ponte Lungo o Long Bridge, come preferisco chiamarla) vedo spuntare sulla sommità il manifesto rotante con David Beckham che ha indosso solo un paio di mutande di sua creazione e distribuite da H&M, filosofa dello stile democratico esattamente come la cugina Ikea lo è per l’arredamento.
Manco stessero distribuendo bicchieri di vino broulé in una baita funestata dalla tormenta, mi scapicollo allora per arrivare prima che la sua immagine venga roteata via ma non faccio in tempo e al suo posto appare un annuncio su delle caramelle balsamiche. Rallento allora un po’ il passo perché quello che cerco di fare è di muovermi in maniera tale da sincronizzarmi con il suo riapparire senza dare nell’occhio fermandomi e piazzandomici davanti.
Sebbene nessun passante mi conosca ho ancora un briciolo di dignità personale per evitare di mostrare un quarantenne, a braccia conserte, fisso davanti alla foto di un maschio in mutande in una stazione della metro spazzata da spifferi gelati di vento che fanno volare copie stracciate di tabloid da free press. Come calcolato, arrivo davanti al cartellone proprio mentre la sua foto riappare ed eccolo qui David: sguardo di sfida, corpo tatuato e un paio di mutande gonfie come il portafogli di Donald Trump.
Far disegnare qualcosa a Beckham credo che sia una richiesta tanto improba quanto chiedere alla moglie di comporre una sinfonia per la filarmonica di Berlino.
Ad ogni modo non sto certo lì per valutare le finiture delle cuciture quanto per dare uno sguardo più da vicino a un pacco che francamente mi sembra un po’ fuori taglia.
E’ evidente che abbia subito delle modifiche o in pre produzione (con un paio di calzini arrotolati) o in post (con una 20 d'ore di lavoro con photoshop). In sostanza non ci sarebbe neppure nulla di male perché anche la mutanda vende un sogno e tutti vorrebbero avere un coniglio nei boxer e la stessa critica alla mistificazione potrebbe valere anche per i reggiseni che nelle pubblicità di Intimissimi sembrano rendere procace anche donne dal seno piatto quanto la schiena.
Il fatto semmai è che se cominciamo pure per gli uomini a mostrare nelle pubblicità rigonfiamenti inguinali sproporzionati anche per un attore porno della Colt la già tanta minata fiducia dell'uomo finisce per essere definitivamente polverizzata. Io non so se davvero Beckham abbia un cuscino anti spifferi tra le gambe sebbene Victoria se lo tenga saldato accanto ma l'illusione sa essere più persuasiva della realtà e mostrando certi modelli di riferimento, pretendendo di trasformare l’eccezionalità nella norma, ecco che si innesca una crisi culturale, un invidia del pene, un desiderio di XL che ti costringe a cercare un metro da sarta nella cesta del rammendo di mamma per correre in bagno a misurartelo e portandoti a mentire persino con te stesso contando i centimetri a partire dal coccige. E se neppure così raggiungi le perfette misure beckamesche di 25x25 (in pratica una mattonella da bagno) corri su internet a cercare la prima clinica clandestina dell'est europeo per sottoporti a fantascientifiche operazioni di allungamento del pene che inevitabilmente ti deformeranno rendendoti a quel punto buono solo come ospite da talk show dove racconterai la tua disavventura mentre un sottopancia in sovrimpressione scriverà “Voleva un pene gigante ma è finito nel circo dei freak”.

martedì 14 febbraio 2012

SAN REMO, SAN VALENTINO E SANT'ADRIANO.



















14 febbraio 2012, data che potremmo intitolare: “Oltre il danno la beffa”: non solo non ho nessuno che mi inviti a cena fuori per San Valentino ma sono anche costretto a casa a vedere Sanremo (questo è il sottotitolo, lungo ma specifico).
Ma inutile intristirsi da soli rimuginando sulla propria miseria sentimentale quando ti può deprimere di più la visione del 62mo Festiva della canzone italiana.

Moranti sembra Merigliani ma in versione invecchiata e ci tiene a far sapere che la valletta che sostituisce la Ecclestone (sulla quale a questo punto aleggia il sospetto di essere una fattucchiera) è in albergo malata quindi quest’anno nessuna bella fica. Capiremo così se quello che fa alzare l’auditel sono le belle canzoni o le grandi tope.


Capisco che il festival è un carrozzone roboante dove concetti troppo sofisticati finirebbero per essere fuori luogo ma gli autori che scrivono per Morandi hanno il piglio incisivo e originale dei degli annunci all'altoparlante fatti alla Todis per pubblicizzare le banane in offerta a 0,99 euro al chilo.

Canta Dolcenera.
Vorrei dire di più ma anche una virgola sarebbe di troppo.


Bersani è originale nelle melodie come il suo omonimo politico nelle critiche a Berlusconi.


Arriva in aiuto Rocco Papaleo, che bello non è quindi uno immagina che sia almeno simpatico e invece diciamo che una ganascia alla ruota della macchina mentre ti precipiti ad accompagnare in ospedale tua moglie alla quale si sono rotte le acque, è più divertente.

Noemi: da quando Adele ha vinto 6 Grammy devono averle detto che il trend è la cantante in sovrappeso. Ma non basta questo per vendere milioni di copie.

Irene Fornaciari sta alla musica come il Trota alla politica, io 2 così sponsorizzati dai genitori come loro non li ho mai visti.

Poi Celentano: è un grande artista, per carità, ma quando fa il profeta del qualunquismo e del banale avvilisce il suo talento. Non basta scagliarsi contro i preti per fare rottura. Non deve dircelo lui che sono dei gargarozzoni, lo vede benissimo anche un chierichetto di 8 anni. Una valanga di anatemi contro lo spread, l’economia, i preti che non fanno il loro lavoro, i treni che dovrebbero viaggiare lenti per far vedere il "bel paese" quanto è bello, ci manca solo che dica pure che la frutta fuori stagione costa troppo.
Personalmente non trovo nulla di più borghese della contestazione fatta nei salotti buoni e Sanremo, di fatto lo è.
Adriano farfuglia scordando pezzi di monologo e quello che dice è stato detto molto meglio da Germi 30 anni fa, quindi, a che serve?
Il fatto è che Sanremo è Sanremo, io lo detesto ma non pretendo che sià più che un festival di canzoni. Di pulpiti televisivi ce ne sono già tanti e fatti molto meglio (Santoro in primis).
A questo punto io me ne vado a letto chiedendomi se sia poi così sbagliato disertare l'obbligo del pagamento del canone se questo deve finanziare 50 minuti di proseliti e sermoni da cristiano dell'anno mille e non più mille, su un canale che dovrebbe essere servizio pubblico di tutti, non credenti compresi (pure l'anelito al ritorno di Cristo ci ha infilato...povero Messia!).

Da anni gira la voce piuttosto disgustosa della coprofagia di Morandi ma ieri sera mi è sembrato invece che la merda l'abbiano voluta far mangiare a noi.



PS: poi so che ci sono stati la Berté e D'Alessio ma voglio troppo bene a lei per vederla barcollare accanto a uno che sembra un parcheggiatore abusivo.

lunedì 13 febbraio 2012

Per Quelli Che A San Valentino...


























A tutti i cinici di professione che detestano San Valentino perché è una festa inventata dal "grande fratello del business" per spillarci soldi e che quindi non comprano un tubo di Baci ma comunque pagano l'ira di dio per cazzate del tutto inutili come una cinta di Gucci; a tutti quelli che "tanto per dimostrare il mio amore non devo farlo un giorno prestabilito" e poi al compagno/a comunque non gli dicono "ti amo" neppure sul letto di morte; a quelli che "a cena fuori per San Valentino? E che devo aspettare il 14 febbraio per farlo?" ma che l'ultima volta che li/le hanno portati/e al ristorante circolava ancora la lira, ecco a loro vorrei far sapere che c'è chi pagherebbe per ricevere un peluche della Trudi anche se è allergico alla polvere, vorrei puntualizzare che sì, va bene, glielo direte anche tutto il resto dell'anno ma farlo anche a San Valentino non costa nulla, vorrei chiarire che le ricorrenze pacchiana vanno benissimo e che i riti di massa non sono il male del mondo e che "ti amo" è meglio sentirselo dichiarare un giorno di più che uno di meno, anche se è San Valentino.

BAGNI O BIBLIOTECHE?


Tra la lavatrice e la finestra, nel mio bagno, c’è un’ampia cesta di vimini rettangolare piena di riviste. Non sono stato io a comprarla. C’era già nell’appartamento precedente, apparsa un giorno imprecisato, sempre in bagno, e portata vatti a ricordare da quale dei 20 coinquilini con cui ho condiviso a turno la mia coabitazione a San Lorenzo. I cambi di casa dovrebbero sempre essere un’ottima occasione per eliminare inutili cianfrusaglie: piatti sbeccati, pentole graffiate o soprammobili comprati in una di quelle fasi sbagliate della vita in cui sei convinto che l’artigianato africano da bancarella possa avere una sua riqualificazione artistica. Ad ogni modo questo recipiente di canne intrecciate si è guadagnato la sopravvivenza e ha trovato la sua ricollocazione sempre in bagno e sempre custode di decine di periodici.
Non so esattamente perché stiano lì, in bagno voglio dire. Forse per una forma inconscia di omologazione per cui ogni bagno deve avere un suo portariviste, ho sempre pensato però che i giornali letti meritassero qualche settimana in più di intervita in un limbo sospeso tra il comodino della camera da letto e il cassonetto della riciclata e che questo lo potessero trascorrere appunto in bagno, più per un servizio di intrattenimento offerto ai miei ospiti che per appagare il mio desiderio di sollazzarmi con letture da cesso momento che faccio parte di quell’altra parte di popolazione mondiale che non vede in una seduta sulla tazza l’occasione ideale per terminare l’Ulisse di Joyce. Forse ho una visone calvinista della defecazione ma per quanto mi riguarda il tempo da passare in bagno non deve mai superare quello strettamente necessario a espellere le proprie scorie fisiologiche (proporzionalmente controbilanciato da un attitudine ultra edonistica che mi porta a passare ore intere davanti allo specchio applicando creme al viso e cera sui capelli, ma quello è un altro discorso).
Io sono di quelli che rispondono automaticamente agli stimoli: ho fame, mangio, ho sete, bevo, ho voglia di fare sesso, penso alle stragi di cuccioli di foca e me la faccio passare, devo fare la cacca, vado in bagno. Chi invece ci va con il quotidiano sotto l’ascella mi da l’idea di uno che lo fa non per reazione a uno stimolo ma in attesa che questo arrivi e che come un paziente seduto nella sala d’attesa di un dentista in ritardo si rassegna ammazzando il tempo con la lettura.
Una volta mi scrisse un ragazzo che aveva letto il mio libro il quale, forse galvanizzato dal contenuto ironico del mio racconto, oltre a farmi i complimenti ci tenne a rendermi noto il fatto che lo aveva letto tutto tra una seduta e l’altra sulla tazza di casa sua.
Insomma leggere penso dovrebbe essere un momento di intimo piacere: un bel divano comodo, una luce calda, della musica avvolgente e il profumo di un té aromatizzato nell’aria, tutt’altra cosa rospetto a quella ridicola posizione accovacciata, con i pantaloni calati sulle caviglie e le chiappe appoggiate su una ciambella di ceramica fredda. Oltre a tutto questo poi ho sempre pensato che ci sia un tempo e un modo per ogni cosa e che farne più di una insieme non dia mai il risultato migliore quindi, per come la vedo io, o leggi o caghi, le due cose insieme, scusatemi, ma mi fa troppa impressione e poi, sarò morboso, ma mi chiedo: se lo stimolo sopraggiunge ad un punto cruciale di un racconto o sull’ultimo capoverso di un articolo di Eco, che fai? Inibisci lo stimolo contraendo i glutei rischiando l’embolo o ti liberi continuando la lettura per qualche minuto ancora tra i tutt’altro che primaverili effluvi sprigionati dalle tue viscere?

mercoledì 8 febbraio 2012

I DON'T LUV YOU, MADONNA!

























Dopo la pubblicazione di questo appunto una macchina scura scortata da agenti in borghese mi porterà via verso una destinazione ignota dove verrò messo al sicuro dalle ritorsioni della velvet maphia gay, facendomi entrare in un programma di protezione testimoni. Mi cambieranno i connotati (un bene), dovrò abbandonare la mia vecchia vita (tanto meglio) e mi schiafferanno in qualche paese di provincia a mungere vacche (del resto la Fornero ci vuole flessibili, no?).
E tutto questo perché sto per criticare l’uscita del tariffario per i concerti italiani di Madonna.
Ora lo so che tutte le suffragette uterine della Ciccone si sperticheranno giustificando la profusione di costumi, scenografie e porno-ballerini super sexy che verranno messi in campo ma è anche vero che se Veronica avesse la voce che ci si aspetta abbia una cantante le basterebbero una chitarra acustica, uno sgabello e 2 amplificatori e non tutto questo carrozzone altrimenti necessario a distrarre il pubblico dai suoi sussurri che non superano mai le ottave di un baritono della Scala (per non considerare che il 90% dello spettacolo sarà una specie di lip sinc degno dell’esibizione una drag queen di Miami).
"Beh, ma fallo te quello che fa lei a 50 anni?" Come se saltare la pizzica in età da pensione fosse un consiglio del suo geriatra.
Ma torniamo ai biglietti. E' vero che il meno caro è di soli popolarissimi 45 euro ma c’è da dire che ti piazzano tanto lontano che hai bisogno di passare tutto il tempo al telefono per farti raccontare il concerto in diretta dai più abbienti amici appollaiati in tribuna. All’opposto il più costoso mi pare sia intorno ai 115 euro il che, in uno stato prossimo al defalult, porterebbe più avveduti cittadini a tenerseli da parte per pagare le bollette della luce.
Madonna però sa che farà il tutto esaurito comunque perché, si sa, un gay e solo loro (avete mai visto un etero a un suo concerto?) è sempre un bel pollo da spennare e di soldi ne ha parecchi anche perché a mangiare non mangia che è sempre a dieta, a vestirsi bastano 2 canotte di H&M e se deve morire povero, preferisce farlo ballando WE LUV YOU, MADONNA!!!