giovedì 17 novembre 2011

QUALCOSA DI MENO, TANTO DI PIU'.


Paola Severino Di Benedetto, la neo ministro di grazia e Giustizia non ha un braccio. Nessun giornale ne ha parlato forse per pudore. Al contrario invece credo sarebbe una cosa da sottolineare. Nonostante donna e handicappata è riuscita ad arrivare a costruirsi una carriera di successo e a ottenere la stima necessaria per gestire un dicastero importantissimo. E questo è un merito che le va riconosciuto a prescindere dalla condivisione della sua linea politica.
Sarebbe stato bello se i giornali avessero fatto un elogio alla menomazione fisica in contrapposizione alle maggiorazioni mammellari di tante politiche incompetenti e da palcoscenico piazzate a casaccio dalla vecchia amministrazione su poltrone ministeriali, parlamentari e consiliari. Sarebbe stato davvero un ottimo messaggio da condividere facendo notare come, anche con un arto in meno, quando si ha un buon cervello si può arrivare a obiettivi notevoli, anche nella politica fallocratica del nostro paese.

martedì 8 novembre 2011

LUCA IL (QUASI) GAY DEL GRANDE FRATELLO 12.
















Premessa, i problemi attuali dell’Italia al momento sono ben altri e sebbene sia grande la preoccupazione per le sorti economiche dell’Italia è pur vero che l’affare Berlusconi mi sta disgustando a dismisura.
Detto questo quindi mi concedo un colpo d’ala sulle vicende del “gay si, gay no, gay boh” del Grande Fratello, programma che certamente non ha il valore sociale e politico di Reporter ma quello che è accaduto ieri dà il polso della concezione diffusa dell’omosessualità e del vissuto che molti condividono in Italia.
Luca è un sedicente biologo di 35 anni laureando in una seconda disciplina ma fa anche il modello a tempo perso. Un corsus vitae piuttosto confuso nel quale la sola certezza acclarata è che sia un concorrente del Grande fratello 12.
Ieri sera, posto di fronte alle foto omoerotiche scattate per un servizio di moda piange e si dispera "l'ho fatto solo per soldi, perché mi pagavano", manco fosse un immigrato disperato disposto a tutto per un tozzo di pane.
Poi chiede di poter parlare alla madre per rassicurarla di non essere gay e di andare solo a donne. Io appelli così accorati non li ho visti neppure nelle aule di tribunale quando l’imputato di strage si dispera per perorare la sua innocenza.
Signorini non è certo uno che sceglierei per una vacanza su un’isola deserta. È il ritratto del gay che piace alle nonne, ricchio-cattolico e a tratti stucchevole ma almeno ieri ero d’accordo con lui: “Non ti stiamo accusando di essere un criminale! Non ti stiamo accusando di niente! Non abbiamo detto che hai ucciso qualcuno! Ma ti rendi conto?!”
Salvo il fatto che se entri nella casa sta sicuro che anche avessi rubato la mela a un compagno di classe in seconda elementare, la cosa verrà fuori quindi, meglio che tu sia il più sincero possibile ma vedere da parte di Luca tanto sdegno per esser stato tacciato d’essere omosessuale (e non il mostro di Firenze) mi ha davvero atterrito.
Lui ovviamente rispetta i gay, è contro l’omofobia ma se uno insinua il fatto che possa avere il culo chiacchierato suda freddo, scatta, minaccia e si incazza.
Ora, ribadisco, non che la cosa stupisca o preoccupi ma di gente così, finocchio o meno che sia, ne è pieno il nostro paese. Se posso io la evito come la merda di cane sul marciapiede ma è innegabile che quando te la ritrovi comunque davanti ti rendi conto di quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo paese per raggiungere un livello accettabile di civiltà.

mercoledì 2 novembre 2011

DISEGNI DIVINI.

Qualche giorno fa ho visto una puntata di una serie televisive di quelle ambientate nel mondo degli avvocati. La disputa riguardava delle vignette su Maometto. Satira o blasfemia? Uno degli avvocati, sostenitore della libertà di espressione, porta allora come esempio un opera di Andres Serrano intitolata Piss Christ. Per farvela breve è la foto di un crocefisso immerso in un barattolo trasparente d’urina.
Vederla mi ha fatto venire in mente un episodio della mia infanzia.
All’epoca ero uno di quei bambini che potevano essere descritti come “dal temperamento artistico”. Cantavo, ballavo, recitavo, e disegnavo molto bene. Insomma quanto bastava per farmi dare del frocio dai miei compagni di classe. La mia lezione preferita (oltre a quella di musica) era quindi ovvio fosse educazione artistica. L’insegnante era l’unica donna di un istituto maschile era quindi ovvio che 5 minuti dopo la prima lezione fossi diventato il suo cocco affascinata dalla mia inclinazione artistica quanto infastidita dalla totale assenza di sensibilità di una classe che durante la sua ora giocava a calcio in aula usando una palla fatta con i fogli di carta che dovevano invece servire per i disegni.
Io invece non sapevo pallone a calcio il che in quella scuola equivaleva ad essere portatore del virus dell’ebola ma per quelle due ore a settimana dedicate alle arti pittoriche, lì, ero qualcuno. Gli altri a malapena ritraevano le persone tirando 4 righe per gli arti e un cerchio per la testa mentre io a 12 anni già facevo studi sulla prospettiva dei paesaggi.
Non perdevo occasione quindi di sfoggiare i miei lavori e passavo gran parte del tempo a disegnare, dipingere, colorare a scapito di tutti gli altri compiti. Tornavo a casa, prendevo una risma di fogli che mio padre trafugava dal suo ufficio e passavo tutto il pomeriggio a ritrarre praticamente qualsiasi soggetto mi venisse in mente.
Ogni tanto la professoressa Sabatini ci dava dei compiti da fare a casa che lei chiamava “temi visivi”. Come quelli di italiano lei dava una traccia e noi dovevamo esprimere il nostro pensiero con le immagini.
Essendo un istituto di salesiani, molto spesso erano tematiche legate alla religione.
Ora non ricordo neppure esattamente quale fosse la traccia di quella settimana ma ricordo solo che il mio lavoro consisteva in un ritratto di Cristo morto in croce sanguinate con la corona di spine (il mio senso del drammatico allora era già molto spiccato).
Lo avevo eseguito con una tecnica mista di acquerelli e tempera su un foglio di 70 centimetri per 40, in pratica era una pala d’altare.
Artistica era alla prima ora e io quella mattina non solo ero in ritardo ma già in tram sentivo il bisogno di correre in bagno.
Appena sceso dal mezzo mi precipitai nell’edificio attraversando il cortile con quella velocità che solo il rischio di far esplodere la vescica ti può far raggiungere.
La lezione era iniziata da 10 minuti. Dopo 15 scattava il richiamo dei genitori, dopo 20 la messa ai ceppi nelle segrete dell’istituto dopo 30 un ora in più a settimana di religione co Don De Vito, crudele preside nonché uno di quei sacerdoti insopportabili che avrebbero fatto convertire alla religione islamica persino san Francesco.
Nonostante la pletora di conseguenze possibili causate dal mio ritardo io dovevo per forza andare in bagno. Per evitare che si rovinasse avevo portato il dipinto a mano ma una volta entrato nel bagno lo bloccai tra il mento e il petto mentre frugavo con le mani per aprirmi la patta con la disperazione di uno che per un caso si ritrova un tizzone di carbone ardente nelle mutande.
Iniziai a pisciare sentendo un piacevole sollievo. Troppo forse.
Il collo si rilassa per un secondo lasciando la presa e facendo cadere il dipinto nella tazza del cesso nella quale continuo a urinare incapace di bloccare l’impeto.
Atterrito, ritiro su il foglio: il volto del salvatore adesso era completamente bagnato della mia pipì. Insomma dopo questo gesto di blasfemia ci sono solo i Sabba dedicati a Belzebù nei boschi della provincia romana. Ad ogni modo non posso permettermi di ritardare ulteriormente e corro lungo le scale con questo foglio bagnato. Mentre salgo, con il poco fiato rimasto cerco di asciugarlo e poi ci passo sopra anche la manica del maglione. Riguardo il disegno prima di aprire la porta e lì avviene il miracolo: la pipì a contatto con l’acquerello aveva fatto colare il colore rosso del sangue dando al ritratto un tono ancora più drammatico e realista che nell’insieme era davvero bello.
Lo consegno comunque alla mia insegnante e non solo il mio lavoro risulta il migliore della classe (e ci mancava pure che non lo fosse con quei trogloditi come concorrenti) ma la vera prova dell’imperscrutabilità della benevolenza divina fu che venne presentato a un concorso di disegni tra tutti gli istituti salesiani di Roma.
Arrivai terzo.