
Dopodomani parto per un fine settimana a Parigi. Non c’è un motivo particolare (questa volta) è semplicemente il fatto che quando vedo un biglietto che costa meno della corriera Marozzi per andare a Pescara, è più forte di me, devo approfittarne, fosse anche per andare a Tirsumuru in Romania.
Ovviamente si parla di Ryanair che ha in genere orari comodi (il mio volo parte aslle 7 quindi sveglia alle 4,30) e ti fa atterrare a 20 chilometri da Roma ma tanto io non ho fretta.
Come al solito, per lasciare che l’offerta possa continuare a chiamarsi tale, con Ryan è tutta una lotta col coltello fra i denti. Prima di pagare, sul loro sito devi passare attraverso 16 quadri più ostici di quelli di Resident Evil e combattere contro proposte di assicurazioni, sovra tasse per accessi prioritari e costi d’imbarco bagaglio per cui alla fine, se le accettassi tutte, ti verrebbe quanto un volo in Concorde in prima classe.
La cosa più complicata, per chi non è abituato ai campi militari dei navy seals, è partire con un solo bagaglio a mano. Come appena detto, se non vuoi imbarcare (roba di 20 euro, ma a quel punto cadrebbe il vantaggio di acquistare un biglietto che te ne costa 35) devi fare un opera di compressione del bagaglio selezionando spietatamente cosa portare e così alla fine ti ritrovi a partire con il porta pasticche della nonna. La soddisfazione però di far attaccare al tram i cerberi feroci della Ryan che ti controllano con la speranza di bloccare qualcuno con un esubero farcendogli pagare l’errore con una sovrattassa e 12 scudisciate è uno dei godimenti maggiori che si possa provare.
Insomma io non vado dove mi porta il cuore ma dove tirano le offerte. Un mese fa, quella più bassa era appunto Parigi. E’ la terza volta quest’anno che vado. Io sono così, quando mi prende una fissa, la perpetro fino alla nausea come quando ebbi quella per il polpo stufato: alla fine ne mangiai così tanto dal ritrovarmi le ventose al posto dei polpastrelli.
A Parigi mi piace andarci perché nella maggior parte dei casi il loro inglese è peggio del mio e quindi mi sento una specie di madrelingua.
I ristoranti sono come piacciono a me: alla scarsa sostanza compensano con la forma e lo stile e non sembrano tutte delle trattorie da dopoguerra in periferia.
Perché c’è tanta cultura dell’arte. Poi magari non vai in un museo neppure se fosse l’unico rifugio a un terremoto devastante ma il solo fatto di essere in città di fa guadagnare 10 punti-cultura spendibili durante qualsiasi chiacchiera da aperitivo.
Le ragazze non le guardo ma almeno sono graziose, non si ostinano a indossare top elasticizzati se hanno gobbe da cammello sulle anche e non consumano una matita intera ogni volta che devono truccarsi per uscire.
I ragazzi sono mediamente tutti carini o si acchittano bene il che è un vantaggio. Non sono coatti furibondi come gli spagnoli, non sono provinciali come i newyorchesi né sciatti come i romani. Magari un tantinello più troie ma per me questa caratteristica è sempre stata più una qualità che un deterrente.
E poi la cosa che adoro di Parigi è che sono tutti scoglionati con quell’aria che pare gli abbia infilato un dito nell’occhio e quindi il mio consueto umore di merda lassù mi fa apparire al contrario come il fratellino più piccolo di “Tutti insieme appassionatamente”, con la piacevole conseguenza che nessuno si sogna di chiedermi: “ma che c’hai? Sei sempre incazzato!”