Mia nonna era morta da poco. Mio nonno, rimasto solo, aveva chiesto alla figlia di trasferirsi con il marito e me, appena nato, in quella casa dove lui era rimasto l’unico ad abitare e la cosa era sembrata ai miei estremamente conveniente.
L’affitto era irrisorio, la zona ben collegata, e mio nonno,
all’occorrenza, mi avrebbe potuto fare da baby sitter. I contro erano la loro
limitata privacy, che per una coppia appena sposata è sempre piuttosto
frustrante, e il fatto che avendo solo 3 camere, tolta quella da pranzo e
quella in cui dormiva mio nonno, non restava che condividere la loro stanza da
letto con me. Dio solo sa se non sono
stato testimone, ancora abbastanza piccolo da esserne inconsapevole, del sesso
che i miei comunque immagino facessero, in silenzio (e senza particolari
acrobazie) per non svegliarmi e procurarmi chissà che traumi edipici o peggio,
per non svegliare mio nonno che dormiva poco distante e che avrebbe subito, più
o meno, lo stesso tipo di trauma vagamente incestuoso.
La mia “camera” nella camera era rappresentata da un box di legno,
robusto come la gabbia di un gorilla allo zoo. Il più delle volte però finivo
per dormire con i miei, pratica che avrebbe fatto inorridire qualsiasi pediatra
e, molti anni dopo, la mia psicologa che provò a imputare anche a quello una
mia cerca confusione dei generi sessuali.
Mia madre, tra i due, era quella più nottambula e se mio padre andava a
letto piuttosto presto, lei continuava fino a tardi a guardare la televisione e
a rassettare la casa. Per questo non appena mio padre si sdraiava a letto, come
il protagonista di Papillon, scavalcavo l’alto muro di cinta del mio box e mi
piazzavo accanto a lui. Papà è stato un genitore tutto fuorché severo con i
figli. Pretendeva molto, è vero, ma un “no” alle nostre richieste (che fosse
definitivo e perentorio) non l’ha mai pronunciato. Figuriamoci quindi se al
primo genito che a 4 anni gli si rannicchiava accanto nel letto avrebbe mai
avuto il coraggio di dire “tornatene nel tuo”.
Le mie gambe si intrecciavano immediatamente alle sue, quasi a volerle
fondere insieme e mentre con un braccio mi cingeva, con l’altro faceva roteare
nel buoi l’ultima sigaretta della giornata, disegnando una scia luminosa che
danzava al ritmo del tema de “Il Padrino” e che mi fischiava nell’orecchio come
fosse una ninnananna.
L’erotismo è un istinto che si sviluppa ben dopo quell’età, mi è
chiaro, ma il piacere fisico di avvinghiarmi al corpo di mio padre, sentire il
tepore della sua pelle, il respiro vigile che mi dava la certezza che fosse
ancora sveglio e pronto a difendermi dai mostri che il buio genera nella mente
di un ragazzino, sono sensazioni che ho cercato e ritrovato, tanti anni dopo,
le prime volte che mi trovavo a dormire con degli uomini. Sensazioni diverse
eppure così assimilabili a quelle più ingenue di allora.
Forse è vero che l’uomo che si ama di più nella vita è il proprio padre
e che passiamo tutta la nostra esistenza ricercandolo in altri, odiandoli a
volte perché troppo simili o restandone altrettanto spesso delusi, esattamente
per lo stesso motivo.
3 commenti:
Bel post, belle riflessioni.. specialmente nelle ultime righe.
Vorrei tanto poter provare lo stesso per il mio di papà.
Davvero un ottimo lavoro, per certi versi mi sono rivisto nel mio di passato.
è bello leggere la tua tenerezza
Che dire.. i tuoi racconti ironici mi fanno scompisciare, ma è con questi che raggiungi davvero il tuo massimo. Bravo, sono commossa.
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