
Quando qualche anno fa iniziarono a manifestarsi i primi esemplari di metrosexua (uomini dall’attitudine omosessuale ma sessualmente attratti dalle donne) non trovai il fenomeno particolarmente sorprendente essendo stato generato probabilmente dal prototipo di questa nuova razza urbana. Vanitoso come una vedette del Lidò di Parigi, mio padre aveva il conto aperto da Bertozzini (una delle profumerie più rinomate e care della capitale) dove ogni mese passava ore intere sedotto dalla capacità affabulatoria del proprietario di proporgli nuovi profumi, creme e pennelli di visone per montare a dovere schiume da barba che promettevano rasature di raso.
Mia madre al contrario aveva forse due rossetti, dei quali uno squagliato, qualche ombretto intonso e dai coloro improponibili persino per un daltonico che oltre ad essere la frustrazione della curiosità cosmetica di un gay in erba (io) era deprimente anche per un pioniere della cosmesi maschile (mio padre) in anticipo su quanti solo molti anni dopo sarebbero approdati sulle terre di Gaultier. “Ma chi vuoi se ne accorga?”, si giustificava ad una moglie contrariata che lo guardava mentre si arricciava le ciglia con un rimmel trasparente picchettandosi il contorno occhi con un correttore esattamente della sua tonalità di pelle.
Iniziando a frequentare le case dei mie compagni di casa iniziai quindi a scoprire che non era normale che i papà passassero in bagno più tempo delle mamme, che non era così comune che i loro pantaloni fossero attillati come dei leggins e che dedicare 3 ore di palestra al giorno a fini puramente estetici invece che stare stravaccati sul divano a guardare la TV non era affatto così comune.
Con il mio sviluppo fisico e la conseguente sostituzione dei calzini fatti di merletto con abiti un po’ più alla moda (che per un neofinocchio sono sempre piuttosto eccentrici) mio padre cominciò a depredare il mio guardaroba e finché si trattava di jeans un po’ troppo alla moda per un 45enne, potevamo anche soprassedere, ma quando iniziò a venirmi a prendere a scuola con un maglioncino d’agora arancione ANAS che avevo comprato in un mercatino dell’usato che già su di me gridava Querrelle de Brest iniziai a provare un vago senso di disagio.
“beh, perché mi sta male?”. Il punto non era se gli stessero o meno a pennello, ci mancava anche altro con tutto lo sport che faceva, la questione era che sembrava piuttosto innaturale che uscendo con la moglie fischiassero a lui piuttosto che a lei.
Nei primi anni ‘90 le meduse stampate sulle camice traslucide sbottonate fino all’ombelico di Versace furono il colpo di grazia alla nostra reputazione. Uno stile che, ovviamente, interpretava a pieno l’idea di “eleganza” di mio padre il quale, unico sui lidi dell’Adriatico, aveva avuto l’audacia di indossare un costume viola bordello legato da una fibbia dorata con impressa una “V” visibile fin sulle coste della Croazia. Siccome però la sua idea di mare consisteva nell’attirare gli sguardi anche dei pesci, aveva l’egocentrica abitudine di cospargersi di un olio solare che solo dopo anni i chimici delle case cosmetiche avrebbero ammesso essere cancerogeni come un gavettone di plutonio. Poi, si piazzava su una sdraio sul bagnasciuga rendendo il suo corpo scultoreo abbagliante come la statua crisoelefantina dello Zeus per la gioia di centinaia di femmine abituate a vedere i corpi, lo ammetto, piuttosto flaccidi dei rispettivi compagni. Per l’imbarazzo però, noi eravamo quindi l’unica famiglia nella quale il marito e la moglie si trovavano a 12 stabilimenti di distanza e neppure la minaccia di sgozzare i propri figli avrebbe costretto mia madre ad ammettere che quel piacione fosse suo marito.
Ora io non lo so se l’omosessualità sia genetica o indotta e francamente neppure mi interessa, ne posso dire se la mia attrazione per la forma fisica sia dovuta a qualche complesso di Edipo, Giocasta i di Sarchiapone ma di certo mio padre una bella spinta verso la frociaggine me l’ha data di sicuro.