
Mancano ancora 75 giorni alla partenza per Niu Iorc, qui a Roma ci sono ancora 23°, la sera le cicale gracchiano ancora e continuo a dormire nudo coperto solo da un lenzuolo e due gocce di Aqua Vella. Qualche giorno fa stavo ciattando con un mio amico di quelle parti laggiù e mentre parlavamo di Giast Chids, la biografia di di Patti Smit, mi è venuto da chiedergli come fosse l’inverno niuiorchese (inutile alambiccarsi, non ci sono connessioni tra le due cose, mi è venuto così). “E’ molto freddo qui, la temperatura può scendere tranquillamente anche a 26°, anche di giorno”. Devo dire che rimango un po’ perplesso perché a meno che uno non arrivi da Urano, 26 gradi non sono male, è pur vero che NI è alla stessa latitudine di Napoli ma anche lì non è certo così caldo. Poi mi viene in mente un intreccio di pollici, piedi e miglia e, punto da vaghezza, gli chiedo: “ovviamente parli di gradi Farenait…”. “Sì, certo”, e che ti pare che questi pensano possano esistere altri mondi al di fuori del loro!
Senza fare un fiato gugolizzo la cifra e mi appare un convertitore di misure e scopro che l’equivalente in gradi centigradi è -3°! Mi informo meglio e vengo anche a sapere che la città è soggetta a tormente di neve che possono arrivare a paralizzarla per giorni, senza contare l’umidità dell’oceano, dell’Azzon e delle fogne a cielo aperto. Insomma scene da film di Emeric. Eppure quelle 4 squinzie di Secs and the Siti mi avevano fatto credere con i loro vestitini di seta che Niu Iorc fosse la capitale della Giamaica. Ad ogni modo, diciamo che in generale io no sono un tipo freddoloso, ricordo ancora con orgoglio il mio viaggio a Stoccolma (sempre in dicembre perché sia mai che possa godermi una città in primavera) dove andavo in giro solo con una polo e un giubbotto e con un po’ meno d’entusiasmo ricordo pure la pleurite che mi sono portato poi al ritorno. Quindi ieri ho dato uno sguardo nell’armadio e siccome Roma -3° non li fa almeno da un paio di ere geologiche non ho trovato che giubottini primaverili che lì non andrebbero bene neppure indossati in una doccia solare. Siccome la previdenza è compagna del successo è partito il casting alla ricerca del giubbotto adatto. Detta così uno penserebbe: “Fatti un Moncler e non ci pensare più”. Seee, fosse così semplice. Io con un piumino addosso sembro l’offerta di un televendita di Mastrota dove ti danno materasso, 4 cuscini, 3 piumoni, 2 coperte e un microonde. Tutto insieme, tutto addosso.
Chi senti, senti, tutti mi consigliano un giubbotto tecnico e tra tutti i produttori di giubbotti tecnici pare che il migliore sia Nort Feis.
Quindi ieri, a pausa pranzo, vado in negozio. Un posto dove se non fossi costretto non entrerei neppure morto. Piuttosto troverei più interessante un ferramenta o un ricambio auto ma lì, proprio no. Sono circondato da capi d’abbigliamento dove gli aggettivi “comodo e pratico” hanno sostituito “elegante e alla moda” ma se voglio arrivare a capodanno senza mandare in necrosi il mio corpo per assideramento è meglio che mi adatti.
Io non colgo molto le differenze tra i modelli, sono tutti scuri e qui pochi che hanno 2 colori sembrano esser stati disegnati da Leopardi in un momento di depressione.
Chiedo quindi a una commessa che, visto il negozio, sprizza energia dalle guance rubizze e ossigenate.
“Allora a me serve un giubbotto per andare a Niu Iorc in dicembre. Non voglio piumini, non voglio tre quarti che mi sbassano, se è possibile, un po’ corto e avvitato, non troppo voluminoso né ingombrante”, in pratica un modello disegnato da Mugler. “Ce l’avete?”.
Le i mi guarda con sospetto, abituata a una clientela di rocciatori dai volti rugosi sferzati dai gelidi venti del nord, non capisce (anche lei) io che cosa ci stia facendo lì dentro.
E poi parte.
“beh, dipende. Abbiamo giubbotti in pail, in gortex, climasciel e polartec. Poi ci sono quelli con un interno removibile o sostituibile a seconda del freddo, e dell’umidità. Ogni modello ha diverse varianti, ogni variante, diverse specifiche, ogni specifica diverse caratteristiche…” e continua senza sosta per altri 5 minuti.
Poi passa alle domande, tutte a raffica, di cui registra mentalmente le risposte per tracciare un profilo del mio giubbotto.
“sei freddoloso?”
“no”
“farai moto?”
“si tra un negozio e l’altro”. Ma lei non ride.
“nevicherà?”.
“mah, non lo so…”.
“pioggia?”
Aridaje! MA CHE NE SO!
Alla fine la pizia sentenzia: PLASMA.
Un giubbotto carino, un po’ troppe scritte per miei gusto ma al limite ci passo sopra con un pennarello nero ed è scampato l’effetto tuta da formula 1.
Lo provo, mi piace e mi sta bene.
Non che lo voglia comprare subito ma chiedo il prezzo.
“400 euro”.
Avvampo. Ecco qual è il segreto della Nort Feis, ha i prezzi che bruciano.
Con la classica formula: “grazie, ci penso in caso ripasso”, esco dal negozio.
400 euro è più di quanto ho pagato il biglietto. Piuttosto me ne compre un altro per i Carabi.
Per fortuna ho ancora tempo per provinare altri giubbotti. Alla peggio mi vestirò a strati, mi cospargerò di grasso di foca, mi farà litri di uischi e poi mica devo per forza stare per strada durante la tormenta ma io 400 euro per un giubbotto che metti caso entri in un locale e lo appoggi sulla sedia e te lo fottono non ce li spendono.
Avanti il prossimo!