martedì 18 gennaio 2011
LO SCHIACCIANOCI E IL ROMPIPALLE.
il 30 dicembre mi sono regalato un biglietto per assistere allo Schiaccianoci eseguito da New York City Ballet. Era una cosa che sognavo di vedere da tempo e il clima natalizio non aveva fatto altro che accrescere il mio desiderio di vedere questo grande classico. Avendo fatto danza da ragazzino ho sempre provato un’incredibile fascinazione per quest’arte. Mi piace tutto della danza, a partire dai riti della fertilità delle popolazioni aborigene della Papuasia. Certo io ho fatto prevalentemente moderna che sta al Bolshoi più o meno come una canzone di Shakira alla messa di requie di Verdi ma in qualche modo mi sono sempre sentito vicino a questo mondo, anche se come cugino di 12° grado.
Insomma il 30 tutto felice e ballonzolante me ne vado al Metropolitan di New York. Compro anche la maglietta del NYCB e la tazza, fondamentale. Mi sento pervaso dallo spirito della fata dentina e mi riempio gli occhi della meraviglia di quel teatro. La sola cosa che però mi inizia a preoccupare è la massiccia presenza di bambini accompagnati dai genitori che temo abbiano scambiato il teatro per un circo.
Salgo le 4 rampe di scale e nonostante più su del mio posto ci sia solo l’osservatorio del Rockfeller Center la vista è fantastica. E senza bisogno delle lenti del telescopio della Hubble!
Accanto a me si siede una deliziosa vecchia che temo abbia iniziato la scalata dei piani almeno il 12 novembre vista la lentezza con cui guadagna gli ultimi scalini. Alla mia sinistra tre ventenni, evidentemente delle ballerine visti i loro corpi e il collo teso come la traiettoria di una freccia.
Dietro di me una coppia con un bambino dall’apparente età di 5 anni.
Si leva il sipario e quello sembra il segnale convenuto perché questo inizi a commentare ogni singolo movimento del balletto. Una specie di radio che sputa parole senza sosta. I genitori sono di quella orribile razza che crede che i figli vadano assecondati sempre e comunque e non tramortiti con un colpo alla nuca per farli tacere (metodo con il quale io sono stato allevato e bene). Rispondevano ad ogni suo appunto pur cercando timidamente di fargli capire di abbassare la voce.
Da quanto riuscivo a capire il pargolo aveva già visto il balletto alla tv e criticava ogni discrepanza da questo quindi o si trattava di un bambino prodigio o era il critico del New York Times affetto da nanismi armonico.
A poco sono serviti i miei sbuffi e le occhiatacce delle tre silfidi (la vecchia nel frattempo si era assopita, ma almeno non russava): lui ha continuato imperterrito. E fosse stato il solo! A poca distanza un altro aveva iniziato a piangere mentre si sentivano fringnii diffusi per tutto il teatro.
Insomma tornado a casa ancora inebriato dalla meraviglia (più vista che ascoltata) stavo considerando come la colpa non fosse dei ragazzini indolenti quanto di genitori troppo esigenti. Solo perché lo Schiaccianoci è una favola non significa che sia per un pubblico di bambini! Anche l’Anello dei Nibelunghi non è certo una storia vera eppure non puoi sottoporre dei ragazzini al supplizio di 14 ore di opera in tedesco solo perché sei convinto che questo sia formativo per il loro sviluppo culturale. A 5 anni ma che vuoi che si ricordi?
A quell’età portali a Central Park a giocare a baseball o fagli costruire un aquilone.
Il problema dei bambini è che crescono succubi delle aspettative dei genitori. Oggi come ai miei tempi. Ma adesso sembra che gli si richieda ancora di più.
Quello che sfugge ai genitori è che essere bambini è diverso rispetto all’idea che un adulto si fa di quello che un bambino vuole davvero fare.
Eppure bambini lo sono stati anche loro. Ma non se ne ricordano.
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1 commento:
ma cara, giustappunto si chiama schiaccianoci, no?
La Nonna (love&peace)
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