giovedì 24 marzo 2011

LA MERENDA E LA LOTTA DI CLASSE.


















Ho scoperto solo da poco che alle elementari non si indossa più il grembiule. E non avendo il diritto a una genitorialità che non contempli il sequestro di minori o risorse economiche sufficienti per noleggiare un utero era ovvio non ne sapessi nulla. Io ero rimasto ai maxi fiocchi bianche e blu che uniformavano tutti i bambini, ricchi e poveri, mettendoci al riparo da confronti di classe valutati in base alla preziosità dei vestiti indossati. Ai miei tempi, potevi portare sotto la divisa anche lo stesso paio di pantaloni per una settimana che nessuno ti avrebbe potuto giudicato. Ma il fatto che io sia invece cresciuto in un contesto educativo di apparente proletariato non ostacolava però l’infame pratica della discriminazione. Diciamo solo che erano altri gli elementi su cui si basava. Prove, indizi, dettagli che non sfuggivano alla perfidia spudorata che solo i bambini sanno mettere in atto.
La più evidente di tutti era la merendina.
Nella mia aula le classi sociali si potevano dividere in tre gruppi che manifestavano il loro benessere proprio durante la ricreazione.
La prima, la più altra sulla scala sociale, era composta dai compagni i cui genitori compravano le pizzette la mattina stessa nei forni o nei supermercati. Caldi incarti profumati che ti facevano salivare sin dalla prima ora.
La seconda era formata da chi si portava la merendina da casa. Ovviamente comprarne a pacchi era più economica ma garantiva una sufficiente considerazione e accettazione da parte del branco.
Poi c’ero io con pane burro e zucchero avvolto nello scottex che mi rendeva la persona più prossima a un paria.
Non che il sapore del burro e dello zucchero spalmati sul pane fosse sgradevole, ma anche la carbonara è più gustosa del sushi ma fa meno fico e a quell’età, tanto quanto poi da adulti, l’accettazione è fondamentale, pena: anni di analisi da sviscerare sulla inadeguatezza personale e il rancore verso i genitori non appena si inizia a guadagnare il primo stipendio.
Non che fossimo poveri ma diciamo che venivo da una cultura familiare frugale, essenziale, che mal si amalgamava con l’incedere dell’edonismo spendaccione dei primi anni ottanta e Dio solo sa quante volte (in pratica tutte le mattine, per 5 anni) abbia implorato mia madre di comprarmi la pizzetta rossa anche a me passando davanti il minimarket dietro casa che come un pusher ne piazzava un canestro pieno all’ingresso (geni del marketing!).
“No, hai già la tua merenda”.
“Ma non mi piace, almeno una Girella”, provavo a frignare.
“La tua è più sana, molto meglio di quelle porcherie preconfezionate. E poi fanno ingrassare”.
Era evidente che, cuore di mamma, aveva una strana percezione della magrezza, non solo perché a 7 anni pesavo come uno di 15 ma anche perché il burro e lo zucchero insieme non sono certo la dieta base di un’aspirante anoressica.
Così ogni giorno, l’arrivo della campanella che sanciva la mezz’ora di ricreazione era invece per me il momento della gogna pubblica. Tutti scartavano le loro merende invece io svolgevo il mio mesto pasto. E se la frustrazione da sola non fosse bastata, ci si metteva anche l’umiliazione inflitta dagli altri stronzetti che passavano al mio banco chiedendomi: “ti va di scambiare un pezzo del mio waffer al cioccolato con la tua merenda?” (c’era infatti anche questo curioso rito del baratto per cui ricordo sempre Simona, una venditrice nata, che con una pizzetta riusciva poi a stendere sul banco un buffet composto da brandelli di tutte le altre merendine scambiate degno del 4 Seasons di New York).
Io entusiasta rispondevo: “si, volentieri!!”.
Poi mostravo il mio fardello e loro, immancabilmente mi guardavano con la pena e il ribrezzo che si riservano al peggiore degli accattoni e rispondevano: “no, mi fa schifo ‘sta roba”.

10 commenti:

Barone ha detto...

Più o meno anche io mi ritrovavo nella medesima situazione: solo che, mentre nei mesi freddi mia mamma almeno ci dava una fetta di torta fatta in casa da lei (che visto con gli occhi di oggi uno dice: brava tua mamma, ma allora valeva anche per noi il discorso pizzetta / briosche / krapfen del panettiere come vero status sociale), nei mesi più caldi, con la scusa delle "merende sane", ci appioppava carote e finocchi crudi! Ti lascio immaginare!

Enrico* ha detto...

Carote e finocchi? Pane burro e zucchero? Oddio...
Io c'avevo il classico panino con prosciutto/mortadella/salame/e via dicendo!!

Michele ha detto...

Ma povero insy! Ha ragione Enrico eviva il pane e prosciutto portato da casa!

Anonimo ha detto...

Non vedo una grande ironia in questo intervento anzi sembra addirittura che ti brucia essere stato trattato in quel modo, quindi non posso che consigliarti di non prendere in considerazione questi ricordi che non ha senso nè ricordare ne andare a scrivere in un blog. Tanto erano solo dei poveri illusi quegli altri..prendila a ridere come sai fare tu :)

Francesco

Anonimo ha detto...

Ma non siamo tutti uguali, non lo siamo mai stati e mai lo saremo.
C'è chi è più ricco, chi è più intelligente, chi è più bello e chi è ppiù forte e prima se ne prende atto meglio è. Questo volere uguaglianza a tutti i costi è frutto di quella stessa società che è nata per far sì che quelli che sono meno potessero sopravvivere.
Peccato che le disuguaglianze fa parte del sistema del mondo da sempre. Per fortuna.

Anonimo ha detto...

ammetto che pane burro e zucchero non l'avevo mai sentito nè immaginato. anch'io (teneramente ventunenne) andavo di panini col prosciutto. Mi viene da pensare ''forse gli altri avevo la spalla al posto del prosciutto cotto'' ;)

emy

Eagro ha detto...

Io credo che la mia merenda fosse per lo più pane fatto in casa e salame, e ricordo che sebbene non riscuotesse grande successo tra i miei compagni di classe, non lasciava indifferente la mia golosissima insegnante, alla quale ne passavo sempre un po' sottobanco. Del resto, come Insy a dieci anni pesavo quanto peso ora: sapevo che mangiare un po' di meno non mi avrebbe fatto male.

Per quanto riguarda pane e zucchero, invece... mamma che nostalgia. Me lo preparava sempre mia nonna a merenda nelle giornate torride dell'estate campana. Lei non usava il burro. Bagnava il pane con l'acqua (sempre quello fatto in casa, come per il panino) e lo cospargeva di zucchero. Io lo adoravo. Non so se perché ci mettesse qualcosa di speciale o semplicemente perché lo preparasse lei. Ho provato a rifarmi pane e zucchero un sacco di volte, ma non ha lo stesso sapore.

twitter ha detto...

Scusa ma a scuola il mio bimbo il grembiule lo porta eccome,e nn sai quanto mi da noia .......è un'omologazione ingiustissima,bleah....per non parlare della tuta da ginnastica,orrore!!!
Considerando che ha gia' molto gusto nello scegliersi i vestiti e abbinare i colori,poi,l'ingiustizia è abissale!
abbasso la Maristella!!!

efy ha detto...

ma l'ho sempre pensato che i bambini sono una massa di stronzi inferiori al metro e mezzo!

Lorenzo ha detto...

Io sono sempre stato orgogliosissimo del mio panino (confezionato della "Mulino Bianco"), con salumi o mortadella, fatta eccezione per il formaggio nei venerdì di quaresima :)