lunedì 27 giugno 2011

MATURITA'


















Ho provato a tradurre “all’impronta” la versione di Seneca data al classico per la maturità. Al liceo in latino riuscivo con molta fatica a strappare la sufficienza e 20 anni lontano dal Castiglioni Mariotti (IL vocabolari di latino per antonomasia) certo non mi ha favorito nella comprensione del testo.
Ogni anno vedo questi diciottenni intervistati dai TG e un po’ mi commuovo perché per un minuto torno a provare l’emozione di quel periodo.
In quel momento è la cosa più importante della vita e tutto il nostro futuro dipende solamente dal suo buon esito.
La maturità si trasforma così in un apotropaico rito di passaggio che se per le popolazioni indigene dell’Africa consiste nell’abbattimento di qualche animale feroce da noi si traduce, nel vero senso della parola, nell'adattamento d'un testo antico di 2000 anni.
L’altro giorno quindi vedendo quei ragazzi che davanti all’ingresso delle scuole si confrontano le ipotesi di temi che verranno assegnati (e che non sono mai quelle) o che continuano a ripassare, leggere e sottolineare i libri di testo, provo tanta tenerezza per loro ma ancora di più per il diciottenne che ero per le aspettative che avevo e per l’idea sognata che allora del mio futuro. Non che le cose poi siano andate tanto male. Nessuna frustrazione per appuntamenti mancati ne rimpianti fatali ma allora il domani era tanto vago quanto eccitante.
Poi passano gli anni e scopri che alla fine a nessuno interessa con quanto siamo stati licenziati, che le carriere si sviluppano a prescindere dal voto di maturità e ci si rende conto che non è stato che un episodio, quasi ininfluente, nel percorso della nostra esistenza.
La nostra insegnante di lettere a qualche giorno dall’esame ci disse: “ragazzi godetevi questo momento perché mai come ora la vostra vita vi sembrerà più carica di possibilità. È come avere delle carte in mano. Voli avete tutto il mazzo, con gli anni si assottiglierà ma per ora, giocatevele tutte bene”.
All’epoca non avevo compreso esattamente cosa volesse dire. In quel momento sentivo più lo stress della prova che la consapevolezza delle mie potenzialità ma poi, quando con gli anni le carte hanno iniziato a venir meno e il mazzo a ridursi ho capito a che gioco si riferisse la mia professoressa.

4 commenti:

Emy ha detto...

Mi è venuto un groppone alla gola.
Io, a soli tre anni dalla temuta maturità, sono qui che spreco i miei anni ad Economia e commercio e..con poche carte rimaste nel mazzo.
E sì, ho già capito quel gioco..

Notizie del Futuro ha detto...

Ancora oggi sono grato alla mia prof di latino del liceo (sono passati quindici anni), visto che la forma mentis che dà lo studio di quella lingua che dicono morta è quasi insostituibile per formare menti elastiche...

Anonimo ha detto...

Questi sono i tuoi post che più apprezzo, Ale. Il mazzo di carte si assottiglia, non c'è dubbio, ma poiché non c'è alternativa all'assottigliamento, credo che la cosa fondamentale sia bussare a tutte le porte, anche le più utopiche, e poi stare a vedere quali si aprono. Una volta che si sono aperte, bisogna avere un po' di culo e un po' di palle: occorre proprio entrare.

Anonimo ha detto...

Tra parentesi: io pure facevo discretamente pietà in latino, e mai mi sarei immaginato che nella vita mi sarebbe tornato utile fare una versione dal latino all'inglese, alla bella età di 35 anni, per poter ultimare il mio Ph.D.!!! Non ti dico che trauma, ma alla fine è stata superata anche quella prova.